ANNIVERSARI, Salvo D’Acquisto. Il giovane Carabiniere martire ricordato a settantotto anni dal suo sacrificio

Nell’anniversario del martirio di Salvo D’Acquisto, mentre prosegue l’iter della causa di beatificazione, molte celebrazioni militari e religiose ricordano il giovane vicebrigadiere dell’Arma dei Carabinieri che donò la sua vita in cambio di quella di ventidue abitanti di Torrimpietra, destinati per rappresaglia dei tedeschi alla fucilazione

di Dino Alìas – Salvo D’Acquisto: un servo di Dio che è ormai in dirittura d’arrivo dal traguardo della beatificazione e, successivamente, da quello dell’aureola di Santo. A settantotto anni dal suo martirio, che ebbe luogo 23 settembre 1943 nell’abitato di Torrimpietra, alle porte di Roma, egli è più vivo, più presente che mai  nel “diario” non soltanto in ogni appartenente alle Forze armate e di polizia, sia in servizio che in quiescenza, ma di ogni uomo cristiano, di ogni uomo di buona volontà.  Oggi molti di essi vorrebbero vedere un’accelerazione del processo di beatificazione, affinché questo gigante della fede e della misericordia arrivasse agli onori dell’altare, il cui iter canonico è in atto già da tempo, ma in corsia particolarmente lenta presso la Congregazione per le Cause dei Santi.

D’altra parte  la Chiesa è cauta fino al parossismo. Non si possono bruciare le tappe in materia di conferimento dell’aureola di beato o di santo. Prudenza obbligatoria dunque e rigore morale alla base delle indagini, condotte con il più assoluto riserbo dal postulatore, don Giuseppe Praticò. Che passi poi del tempo non ha importanza. Importante è arrivare al traguardo con le carte in regola.

Per dovere di cronaca ricordiamo che, pur in assenza di miracoli da parte del Servo di Dio Salvo D’Acquisto, accanto al martirio per fede, alle virtù eroiche e alla perdurante  fama di santità,  dal 2017 per volontà del Pontefice la Chiesa valuta un quarto criterio per definire beatificazioni e canonizzazioni (materia coperta dalla più assoluta  precisione): il martirio della carità, ovvero l’aver offerto la propria vita per aiutare i fratelli.

Questa importante riforma datata e diffusa l’11 luglio 2017, che sarà ricordata nella storia della Chiesa, per volontà di Papa Francesco, attraverso il suo motu proprio, Maiorem hac dilectionem, sancisce che: «sono degni di speciale considerazione e onore quei cristiani che, seguendo da vicino le orme e gli insegnamenti del Signore Gesù, hanno offerto volontariamente e liberamente la vita per gli altri e hanno perseverato fino alla morte. L’eroica offerta della vita, suggerita e sostenuta dalla carità, esprime una vera, piena ed esemplare imitazione di Cristo ed è meritevole di quella ammirazione che la comunità riserva a coloro che volontariamente accettano il martirio o esercitano in grado eroico le virtù cristiane».

LE RAGIONI DI UNA SVOLTA

«O riscopriamo il cristianesimo contemporaneo come martirio oppure lo riduciamo ad una semplice aggiunta alla nostra vita». Così monsignor Vincenzo Paglia, presidente della Pontificia Accademia per la Vita, commentò il motu proprio di Papa Francesco, Maiorem hac dilectionem. Intervistato dal settimanale dell’arcidiocesi di Gorizia “Voce isontina”, monsignor Paglia esprime, innanzitutto, la propria gioia per il documento papale anche perché, sottolinea, “ne sono stato in qualche modo coinvolto come postulatore della causa di beatificazione di monsignor Oscar Arnufo Romero».

«L’arcivescovo di El Salvador, infatti – prosegue il prelato – non è stato ucciso da persecutori atei affinché rinnegasse la fede nella Trinità, ma è stato assassinato da cristiani perché voleva che il Vangelo fosse vissuto nella sua profonda intuizione di dono della vita. Questo è un aspetto già emerso in passato nel cammino che ha portato alla beatificazione di padre Massimiliano Kolbe e di don Pino Puglisi e che ora si ripresenta in quella di monsignor Romero».

Per far comprendere ancora più profondamente il significato del motu proprio papale, Paglia ricorda alcuni passi di un’omelia che proprio Romero pronunziò durante il funerale di un sacerdote ucciso dagli squadroni della morte.

«Il Concilio vaticano II – conclude monsignor Paglia – chiede a tutti i cristiani oggi, per la situazione in cui ci troviamo a vivere, di essere martiri ossia di dare la vita per il Signore e per gli altri. Ad alcuni il Signore chiede la vita fino all’effusione del sangue ma a tutti chiede di dare la vita per gli altri. Una mamma che concepisce un figlio, lo tiene nel suo grembo, lo fa nascere, lo custodisce, lo allatta e lo preserva dalle malattie è una martire perché sta donando la vita. In questo senso riscoprire il martirio come dono della vita significa comprenderne appieno il significato in tutta la sua forza, anche oggi».

MARTIRE ED EROE PLASMATO DALLA FEDE

Per capire meglio la personalità del giovane D’Acquisto bisogna ripercorrere l’itinerario della sua formazione umana e cristiana, prima il tratto della fanciullezza, nella rassicurante cerchia familiare, poi nelle scuole salesiane: un patrimonio immenso di nozioni morali, di precetti religiosi e di esempi edificanti che costituiscono il plinto solido su cui si erge il suo carattere. Infine nella vita professionale di Carabiniere e Soldato, quale Primo soldato dell’Esercito italiano!

L’immensa passione per l’Arma benemerita, la coscienza dei doveri del suo stato, la profonda convinzione di fare sempre la volontà di Dio e di vivere il precetto cristiano nel duplice comandamento dell’amore, che ha la particolarità di unire l’amore dell’Altissimo e l’amore verso  il prossimo, sono state le radici profonde dell’Olocausto, solo apparentemente improvviso, di donare la vita al posto di 22 abitanti di Torrimpietra (un piccolo borgo del litorale a nord di Roma) che dovevano essere fucilati per vendicare la morte, verosimilmente accidentale, di due paracadutisti dell’esercito germanico.

Chi scrive ha avuto il privilegio di conoscere e intervistare, nel 1975, gran parte dei ventidue ostaggi, in particolare Angelo Amadio, testimone oculare all’epoca diciottenne, che ci raccontò come D’Acquisto, intuendo quello che stava per accadere, con una scelta lucida ed eroica, unita ad un non comune senso di cristiano altruismo, all’incrollabile fedeltà al credo morale, nonché ai valori ideali che ne avevano ispirato sempre la ragione cristiana di vita, si autoaccusò  del presunto attentato chiedendo in cambio la liberazione di quegli innocenti. Poco dopo, offriva, impavido, il petto alla mitraglia tedesca, al grido di «viva l’Italia!», imponendosi al rispetto dei suoi stessi carnefici e scrivendo così una nuova pagina indelebile di purissimo esempio: eroismo e martirio, che resterà incisa a fuoco nella memoria storica.

COINCIDENZE PRODIGIOSE

Per capire più in profondità questo sacrificio è significativo rievocare alcuni passi dell’omelia celebrativa del XL anniversario della morte di questo gigante della fede e della misericordia, il 23 settembre 1983, da parte di monsignor Gaetano Bonicelli, Ordinario militare: «Salvo D’Acquisto ha fatto il suo dovere in grado eroico, ben oltre quello che il regolamento gli chiedeva. Ma perché lo ha fatto? Forse, in quel momento tragico, gli sono risuonate nel cuore le parole di Cristo. “Non c’è amore più grande che dare la vita per chi si ama”. Se la memoria del testo evangelico non l’ha aiutato, la forte educazione cristiana ricevuta in famiglia e nella scuola gli ha fatto cogliere l’essenziale del Vangelo che non è declamazione di parole, pur belle e sublimi, ma testimonianza di vita».

Rileggendo, alla luce della Storia più recente, il martirio di questo eroe dei nostri tempi, non è opportuno ne blasfemo inserire nella stessa ottica di “Santità operativa” il “Frate dalle stimmate”, San Padre Pio da Pietrelcina e Salvo D’Acquisto. Ambedue accomunati da una coincidenza davvero prodigiosa! Ed entrambi deceduti nello stesso giorno e mese: il 23 settembre, in difesa della persona umana fino al sacrificio supremo della vita, nella luce del Cristianesimo vissuto e partecipato.

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