Nella lettera inviata dai ministri delle Finanze dei paesi cosiddetti «frugali», guidati da Austria e Olanda, si sottolinea l’esigenza di tornare a un regime di disciplina fiscale, dunque ai canoni del Patto di stabilità e crescita.
Secondo il professor Mario Baldassarri, economista intervenuto come di consueto alla trasmissione “Capire per conoscere” andata in onda lunedì scorso sulle frequenze di Radio Radicale, «più che frugali questi Paesi andrebbero definiti “ottusi”, perché non si stanno rendendo conto di quello che è successo nei veni anni passati: i parametri di Maastricht sono sbagliati e in molti casi stupidi».
PARAMETRI DI MAASTRICHT
Ad avviso dell’ex viceministro dell’Economia e delle Finanze e attualmente presidente del Centro studi economia reale, «quello relativo all’avanzo primario, cioè il totale delle spese meno gli interessi in totale al totale delle entrate è un fatto aritmetico-finanziario, perché se c’è un avanzo primario significa semplicemente che col bilancio dello Stato si è in grado, almeno parzialmente, di pagare gli interessi sul debito pubblico: punto. Non dice altro».
Conseguentemente, sempre secondo Baldassarri, la prima cosa da fare sarebbe quella di fissare un parametro «vero», di teoria economica «ma anche di realtà economica, che è quello dell’avanzo di parte corrente».
Egli si riferisce alla distinzione delle spese per investimenti pubblici da tutto il resto della spesa: se il bilancio ha un avanzo corrente è come una famiglia che ha un reddito e riesce a risparmiare un po’, «non a caso gli economisti definiscono l’avanzo corrente del bilancio pubblico “risparmio pubblico”; dopodiché escludere gli investimenti dai parametri».
AVANZI CORRENTI E INVESTIMENTI IN DEFICIT
«Io aggiungerei una regola – ha proseguito Baldassarri -, quella che se un paese ha un avanzo corrente, che quindi sta risparmiando, proprio sulla base di quel risparmio potrà effettuare investimenti per una cifra superiore a quella risparmiata andando in deficit».
Un principio, quest’ultimo, che tuttavia non viene applicato e il ricorso all’avanzo primario, o addirittura all’azzeramento del deficit totale (come prevedeva il vecchio Patto di stabilità) costringe uno Stato indebitato come l’Italia a finanziare gli investimenti pubblici esclusivamente in contanti.
Claudio Landi, giornalista di Radio Radicale, ha a questo punto eccepito come molti dei «frugali» rilevino che, in realtà, forme di flessibilità sono già previste all’interno del Patto di stabilità e crescita, almeno all’atto della sua interpretazione, una flessibilità consentita per gli investimenti.
«I parametri o ci sono oppure non ci sono – ha replicato secco Baldassarri -, se poi ci sono ma sono “flessibili” diventa tutta un’altra storia».
IL TEMA DELLA FLESSIBILITÀ
«Il problema della flessibilità – ha egli aggiunto – non è quello di concedere o meno e in funzione di qualcosa, poiché qui occorrono patti chiari: gli investimenti pubblici vanno separati dal calcolo del deficit pubblico e, se si tratterà di veri investimenti, li si potranno fare solo ricorrendo al mutuo».
Ma quali sono i «veri» investimenti pubblici? Li dovrà certificare la Banca centrale europea? È opinione di Baldassarri che dovrebbe andare così. «La Banca centrale europea è un organo tecnico-economico, mentre se la valutazione venisse affidata alla Commissione europea si incapperebbe in un giudizio di natura politica, magari frutto di un compromesso».
Ma, oltre al problema della revisione del Patto di stabilità, l’Italia ha anche quello della revisione delle politiche di Quantitative easing della Bce. «Si tratta di due aspetti collegati che procedono in parallelo, due provvedimenti eccezionali di una fase di transizione in emergenza. In entrambi i casi si dovrà tornare a una regola di bilancio diversa da quella vecchia, nel senso che ho appena cercato di illustrare, mentre la Bce dovrà tornare a una politica monetaria meno acconsenziente, portando a esaurimento i suoi acquisti diretti di titoli di Stato, ma questo non potrà avvenire prima di due o tre anni».
SCADENZE INELUDIBILI: MUTANO LE CONDIZIONI
Insomma, viene sottolineato come si debba essere consapevoli del fatto che, quantomeno al 2023, con questi due aspetti il Paese dovrà misurarsi senza farsi trovare impreparato, poiché allora la Bce acquisterà sempre meno titoli di Stato italiani (quindi si dovrà necessariamente fare ricorso al mercato per finanziarsi, con tassi di interesse che inizieranno nuovamente a crescere) e verranno applicate le nuove regole del Patto di stabilità.
«Non farsi trovare impreparato – ha chiarito Baldassarri – significherà utilizzare bene il denaro europeo concesso per gli investimenti e portare a termine rapidamente le riforme strutturali, i cui effetti positivi sulla crescita economica, ma una crescita che dovrà essere strutturale a tassi del 3%, si produrranno nel medio termine, in questo modo sarà anche possibile abbattere il rapporto debito/Pil».
Alcuni dati utili: nel 2000 il Pil italiano pro capite risultava superiore del 20% alla media dell’Unione europea e superiore del 3% alla media dell’area euro; nel 2022, una volta recuperato le perdite causate dalla pandemia da coronavirus, si stima che il Pil italiano pro capite sarà invece inferiore alla media dell’Unione europea del 7% e inferiore del 15% alla media dell’area euro.
IL DISASTRO ECONOMICO DELLA SECONDA REPUBBLICA
Un «disastro della politica economica italiana posta in essere nel corso della Seconda Repubblica», questo è avvenuto in quel periodo secondo l’acuto giornalista Claudio Landi, una fase di vita del Paese durante la quale a Palazzo Chigi si sono succeduti ben nove esecutivi senza, però, che sia stata approntata una razionale struttura di bilancio pubblico e che siano state varate riforme di natura strutturale.
«Oggi ancora ne stiamo a discutere – ha concluso Baldassarri -, col risultato di avere ottenuto una crescita zero. Dal punto di vista economico, di fatto, i dati esprimono il fallimento della Seconda Repubblica».