Numerose, secondo quanto riportato dal quotidiano al-Monitor, le photo opportunity di cui ha beneficiato il principe ereditario saudita Mohammed bin Salman durante il suo tour in Asia della scorsa settimana sarebbero frutto di una operazione di ricostruzione della propria immagine, seriamente messa in discussione dagli ultimi drammatici avvenimenti.
Il commento di Bruce Riedel, pubblicato il 24 febbraio scorso è caustico: lo staff dell’attuale uomo forte di Riyadh avrebbe organizzato un’accurata operazione mediatica al lo scopo di dimostrare l’inalterata credibilità della figura del principe sul palcoscenico mondiale. Nel corso delle visite ufficiali in Pakistan, India e Cina sono si è evitato di affrontare problematiche imbarazzanti come il brutale assassinio del giornalista Jamal Khashoggi, perpetrato nel consolato saudita di Istanbul, o come il sanguinoso conflitto in atto da anni nello Yemen, dove le forze armate di Riyadh e quelle dei suoi alleati si sono impantanate.
A Islamabad, New Delhi e Pechino MbS ha promesso enormi investimenti e il suo supporto diplomatico. Obiettivo principale del viaggio era infatti il ripristino della propria immagine che si era andata offuscando negli ultimi mesi, convincendo al contempo i sudditi del Regno del capitale di credibilità di cui ancora godrebbe a livello internazionale. Tuttavia, il viaggio all’estero è iniziato con qualche imprevisto. Prima il suo ritardato arrivo nella capitale pachistana, sul quale non è stata poi fatta chiarezza, quindi l’improvvisa cancellazione delle due tappe previste in Indonesia e Malesia, anche stavolta senza che ne venisse fornita alcuna spiegazione.
Dato che le visite ufficiali di un membro della famiglia regnante vengono scrupolosamente preparate con largo anticipo anche nei loro aspetti coreografici, cambiamenti di programma del genere hanno indotto gli osservatori a ritenere che nel frattempo possano essere sorti problemi di sicurezza, incluso il timore di manifestazioni ostili. In Pakistan, il premier Imran Khan ha organizzato per l’ospite un sontuoso ricevimento e, confermando le storiche strette relazioni intercorrenti tra Islamabad e Riyadh, lo ha insignito della più alta onorificenza nazionale, donandogli anche una mitragliatrice d’oro.
Entrambi i Paesi si trovano in gravi difficoltà e si appoggiano quindi reciprocamente. Il Pakistan, in pessime condizioni economiche, è peraltro accusato dai suoi tre vicini (Iran, Afghanistan e India) di fornire santuari ai terroristi jihadisti. In particolare, le relazioni con New Delhi e Teheran in questa fase sono particolarmente tese. Dal canto suo, in questo particolare momento MbS è costretto a lavorare molto sulla comunicazione nel tentativo di far passare in secondo piano le proprie responsabilità in ordine alla vergognosa vicenda dell’omicidio di Khashoggi e della catastrofe umanitaria in atto nello Yemen.
A questo varrebbero le sue promesse: venti miliardi di dollari in nuovi investimenti nel Pakistan. Ma pochi prendono seriamente in considerazione questa offerta, che ritengono non si concretizzerà in futuro, come testimonierebbe anche il seguito delle roboanti dichiarazioni rilasciate durante la visita del presidente americano Trump a Riyadh nel 2017, che non si sono poi materializzate nel gigantesco business allora paventato alla stampa. Un altro contrattempo è stato quello dell’opposizione indiana al volo diretto del principe ereditario da Islamabad a Delhi, segnale dell’estrema tensione attraversata dai due atavici nemici, alimentata negli ultimi tempi dai numerosi attacchi terroristici compiuti dal gruppo Jaish-e-Muhammad, che rinviene la sua centrale in Pakistan.
A MbS è toccato quindi fare il giro largo, raggiungendo l’India passando per la Penisola arabica. Il copione è stato però il medesimo: anche Narendra Modi ha steso al saudita il tappeto rosso. Bin Salman gli ha promesso un prossimo volume di affari pari a cento miliardi di dollari, cosa che, per un primo ministro in scadenza che dovrà affrontare nuove elezioni in primavera, fa alquanto comodo poiché gli offre l’opportunità di utilizzare questa promessa a fini propagandistici.
In Cina Mohammed ha camminato sulla Grande Muraglia ed è stato filmato durante i suoi incontri con la leadership comunista alla guida della potenza economica e militare che per i sauditi rappresenta il primo partner commerciale. Egli ha appoggiato pubblicamente la politica di Pechino nello Xinjang, cioè in quella provincia all’estremo occidente della Repubblica Popolare che i musulmani chiamano Turkestan orientale.
Laggiù, al confine con le ex Repubbliche sovietiche dell’Asia centrale, molto lontano dal progresso e dal benessere della Cina miliardaria, la polizia e l’Armata popolare usano da tempo la mano pesante nei confronti della componente islamica degli uiguri, in perenne scontro con gli han. Uiguri che, a loro volta, in alcune loro componenti organizzate praticano il terrorismo come forma di lotta contro Pechino. Il principe venuto dal deserto, custode dei luoghi Santi dell’Islam, avrebbe quindi avallato la repressione cinese dei musulmani locali, e il silenzio della leadership saudita contribuisce a garantire anche l’inerzia allo specifico riguardo dell’Organizzazione della cooperazione islamica.
È un periodo di intensa attività diplomatica, che vede i sauditi protagonisti, poiché mentre il principe era in visita in Asia, il sovrano, bin Abdul-Aziz al Saud si recava allo storico vertice di Sharm el-Sheikh per partecipare alla prima conferenza di Lega araba e Unione europea. Un fermento coincidente con alcuni riequilibri a livello istituzionale e diplomatico in seno al ramo regnante della famiglia.
Ma i resti del cadavere del giornalista Kasshoggi sono ancora caldi, non soltanto perché al consolato di Istanbul li hanno carbonizzati sulla griglia assieme ai trentacinque chili di carne arrosto acquistata per confondere le narici dei turchi che si sarebbero trovati a passare per la via. Difficilmente il battage propagandistico riuscirà a far cadere nell’oblio i terrificanti errori commessi dalla leadership saudita negli ultimi tempi, e per il momento le cancellerie delle democrazie occidentali restano precluse ai notabili di Riyadh.