di Giuseppe Morabito, generale in ausiliaria dell’Esercito italiano e attualmente membro del Direttorio della NATO Defence College Foundation – Come è noto, re Abdullah di Giordania ha reso noto di aver sventato in questi giorni un «atto di sedizione» grazie all’arresto di un ex principe ereditario, Hamzah, e di altre diciassette persone.
Il sovrano ha definito l’accaduto come «il calvario più doloroso del suo regno», dichiarando mercoledì scorso che: «Niente può avvicinarsi allo shock, al dolore e alla rabbia che ho provato, come fratello e capo della famiglia hashemita, e come leader di questo caro popolo».
Parlando nei giorni successivi al fermo del principe Hamzah, egli ha fatto poi sapere che il suo fratellastro era a casa sotto la sua protezione e che l’ex erede al trono giordano gli aveva «offerto la sua lealtà».
Spaccatura interna alla casa regnante hashemita
I commentatori giordani hanno fatto poco per mascherare la più grave spaccatura pubblica nella famiglia al potere e, soprattutto, non hanno dato alcun chiarimento sulle affermazioni di alcuni funzionari secondo cui un governo straniero aveva appoggiato un colpo di stato che, apparentemente, il principe Hamzah aveva ormai portato alle fasi finali dell’organizzazione.
Molti ad Amman hanno puntato i riflettori sul dilemma che attanagliava Abdullah II, il quale, evitando un discorso pubblico, mirava a soffocare sul nascere la sfida alla sua autorità. Fino a pochi giorni fa Hamzah appariva come un membro della famiglia reale popolare e carismatico, tuttavia, la profondità dei suoi legami con la società giordana rimaneva a chi conosceva bene la famiglia reale poco chiara.
Infatti, chi conosce la Giordania sa quanto sia importante la posizione delle tribù che compongono la variegata popolazione del paese sugli arresti dei presunti cospiratori. Quanto precede è importante per il destino del re che vede il suo amato paese afflitto da problemi economici che sono stati amplificati dalla pandemia da virus cinese. La crisi economica ha indebolito il sistema di mercato della Giordania e ha messo a dura prova l’accordo tra famiglia governante e i clan che hanno sostenuto il regno per decenni.
Le dichiarazioni di Hamzah
Inoltre, l’ex principe ereditario Hamzah ha rilasciato due dichiarazioni video provocatorie e molto insolite durante gli arresti domiciliari e, lunedì, è emersa una registrazione del suo incontro con uno dei vertici delle forze armate giordane. Strano, se vero, che sia successo in un paese dove le forze armate sono devote al re in modo assoluto.
Il re ha affermato che Hamzah, che aveva sollevato dalla posizione di suo erede nel 2004 decidendo , logicamente, in favore di suo figlio, aveva firmato una promessa di sostegno. «Si è impegnato dinanzi alla famiglia (hashemita) a seguire il percorso dei suoi genitori e nonni, a essere fedele al loro messaggio e a porre l’interesse della Giordania, la sua costituzione e le sue leggi al di sopra di ogni altra considerazione».
«La sfida dei giorni scorsi non è stata la più difficile o la più pericolosa per la stabilità della nostra patria, ma è stata la più dolorosa per me, perché i guai e la discordia erano dentro e fuori la nostra unica casa».
Quella dichiarazione ha alimentato discussioni in tutto il paese e nella regione e ha scatenato speculazioni diffuse e forse fantasiose sul paese straniero che si presume sia stato dietro un complotto che il ministro degli esteri, Ayman al-Safadi, ha dichiarato fosse stato fermato all’ultimo momento.
Il ruolo dei sauditi nella vicenda
L’Arabia Saudita ha categoricamente negato qualsiasi coinvolgimento e ha definito un nonsenso le voci che accusavano Riyadh di essere in contatto con Hamzah. Mercoledì il ministro degli esteri saudita Faisal bin Farhan è volato ad Amman per incontrare il suo omologo giordano con l’intenzione di «esprimere completa solidarietà al re di Giordania Abdullah e al suo governo».
Il presidente americano Biden ha telefonato ad Abdullah mercoledì stesso ribadendo il sostegno di Washington a un partner regionale che per decenni è stato centrale nella proiezione di sicurezza regionale di Washington. Biden ha fatto sapere che continuerà a sostenere un monarca che è stato fondamentale della lotta contro i terroristi dello Stato islamico mentre continuava a salvaguardare il confine orientale di Israele attraverso un patto di reciproca e solida sicurezza di lunga data.
Chi ha sostenuto la possibilità di interferenze straniere sostiene che l’Arabia Saudita e Israele siano potenzialmente desiderosi di sbarazzarsi di un re non disposto partecipare agli Accordi di Abramo e che in alcune dichiarazioni ha ultimamente continuato a supportare la causa palestinese.
Gli Accordi di Abramo
Gli Accordi di Abramo tra Israele, Emirati Arabi Uniti e Bahrein, e successivamente Sudan e Marocco, grade e indiscutibile successo dell’amministrazione Trump, parrebbe abbiano aperto una crisi decisionale ad Amman che teme che la custodia dei luoghi sacri musulmani di Gerusalemme possa essere la ricompensa dell’Arabia Saudita per aver accettato la normalizzazione con Israele, unendosi ai quattro stati arabi che lo hanno già fatto dallo scorso anno.
Come indicato in precedenza, l’Arabia Saudita ha confermato sostegno al re e quindi tutto parrebbe essere chiarito a favore di Abdullah che essendo hascemita Bani Hashem, è tra i discendenti diretti del profeta Maometto attraverso sua figlia Fatima e suo marito Ali bin Abi Talib, che era anche cugino paterno del profeta.
Sin dai tempi del suo impegno diretto come pilota nel combattere l’Isis, Abdullah II ha incarnato il mondo islamico moderno, patriottico e moderato capace di coniugare fede e tradizione con modernità e laicità. Pochi sanno la madre del re, Antoinette Avril Gardiner, era figlia di un ufficiale inglese e di origine ebraica. In conclusione, c’è da sperare che torni la calma nella meravigliosa Giordania e questo brutto episodio sia solo un episodio.