Ora che Hong Kong è entrata definitivamente nell’orbita cinese, il ricongiungimento dell’isola di Taiwan alla madrepatria torna ad essere un tema rilevante per il Partito comunista cinese.
Pechino considera Taiwan una “provincia ribelle” dal giorno in cui divenne il rifugio delle forze nazionaliste di Chiang Kai-shek, sconfitte dalle truppe di Mao Zedong, al termine della guerra civile.
Una questione controversa ed esistenziale per Pechino, ma che riguarda anche gli Stati Uniti e i suoi storici alleati in quel delicato quadrante dell’Oceano Pacifico: Giappone e Corea del Sud.
Sul finire del marzo scorso in diverse occasioni aerei militari cinesi hanno volato in prossimità di Taiwan fornendo una dimostrazione di forza, poi almeno dieci jet militari da combattimento, ne hanno violato lo spazio aereo.
L’OPZIONE MILITARE E’ ALTAMENTE RISCHIOSA
Oltre che rivendicata come parte integrante del proprio territorio, Pechino considera Taiwan come un vero e proprio avamposto americano situato nel cuore del Mar Cinese meridionale. In buona sostanza, il principale freno all’espansione cinese nella regione.
Per quanto mai scartata, l’opzione militare, oltre ad essere altamente rischiosa, danneggerebbe l’immagine della Cina, impegnata ad emergere come la forza responsabile di un nuovo ordine mondiale.
Accanto all’opzione militare ci sono quelle che prevedono il ricorso al softpower, ovvero conseguire l’obiettivo dosando forza militare e politica, dimostrando determinazione e risolutezza nei momenti chiave della contesa.
L’OPZIONE DEL SOFTPOWER HA BISOGNO DI LEVE
Ma per questo scenario impone di allontanare il terzo attore del teatro, ovvero gli Stati Uniti, impegnati a contenere l’espansionismo economico, commerciale e militare della Cina nel continente asiatico e nel resto del mondo.
Perseguire questa strategia impone però di avere una molteplicità di “leve” politico-diplomatiche da utilizzare in chiave strategica per tagliare il doppio filo che lega gli Stati Uniti a Taiwan, onde isolare quest’ultima dal potente alleato.
L’ACCORDO CINA-IRAN COME MONETA DI SCAMBIO
In coincidenza con le incursioni aeree, Pechino ha giocato la “carta iraniana”, sottoscrivendo un accordo di cooperazione della durata di 25 anni con l’Iran, il primo sottoscritto dalla Repubblica Islamica con una grande potenza mondiale.
L’accordo è stato siglato poco dopo le scintille tra Pechino e Washington agli infruttuosi colloqui in Alaska, mentre resta l’incertezza sul futuro dell’accordo sul nucleare iraniano.
Il programma di aiuti cinesi all’Iran potrebbe legarsi in qualche modo al problema di Taiwan, poiché in futuro questa potrebbe diventare la moneta di scambio con gli Stati Uniti, proprio riguardo al futuro della “provincia ribelle”.