MISTERI ITALIANI, mostro di Firenze (2). La pista misconosciuta, gli atti negati alla parte civile: finirà tutto in un’interrogazione parlamentare o forse al CSM

«Rosanna De Nuccio – afferma Marco Beltrandi – ha tutto il diritto di pervenire alla verità sulla morte di sua sorella percorrendo, tramite il suo difensore, tutte le possibili piste. Anche quelle eventualmente ancora da esplorare, perché magari in passato non lo si è fatto oppure lo si è fatto poco e male. Ma questo, ormai, risulterà possibile soltanto ricorrendo ai documenti esistenti»

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È difficile comprendere cosa stia veramente accadendo attorno all’ultimo procedimento contro ignoti sui delitti del mostro di Firenze, quello relativo al duplice omicidio commesso a Scandicci il 6 giugno 1981, quando a venire assassinati furono Carmela De Nuccio e Giovanni Foggi, una giovane coppia di fidanzati.

Esattamente a quaranta anni di distanza dal fatto, una serie di avvenimenti legati tra loro starebbero ponendo in estrema difficoltà l’esercizio del diritto di difesa della parte civile, cioè di Rosanna De Nuccio, sorella della vittima.

Si tratta di uno di quei tre duplici omicidi rimasti ancora senza un colpevole, gli ultimi della serie del mostro prima che la famigerata pistola semiautomatica Beretta cal.22 long rifle smettesse definitivamente di sparare le sue micidiali cartucce Winchester serie H.

Ella, che finora non si era mai costituita in giudizio poiché aveva sempre ritenuto le piste investigative e le successive sentenze di condanna passate in giudicato a carico degli imputati negli altri processi per i delitti del mostro (cioè Pietro Pacciani e i suoi «compagni di merende») fossero quanto meno discutibili, se non addirittura prive di fondamento.

Poi, però, aveva cambiato opinione e, riponendo finalmente fiducia nella Procura della Repubblica del capoluogo toscano aveva conferito mandato al suo avvocato, il Dottor Antonio Mazzeo.

Index librorum prohibitorum

Pareva procedesse tutto bene nel tentativo di ottenere Giustizia attraverso un chiarimento che potesse fare luce sulla verità, invece, improvvisamente due eventi hanno mutato il corso delle cose.

Il primo inquietante segnale provenne alcuni mesi or sono dal sequestro di un libro, il cui ritiro dal commercio sull’intero territorio nazionale, per «motivi cautelari» ma in assenza di un giudizio in sede civile, venne disposto dal Tribunale di Venezia.

Si trattava del saggio scritto dal giornalista e documentarista Paolo Cochi, profondo conoscitore di numerosi casi di cronaca nera che hanno funestato il Paese. “Mostro di Firenze: al di là di ogni ragionevole dubbio”, opera pubblicata per i tipi di Runa Editrice e prefata dalla criminologa Roberta Bruzzone.

Una delle tante pubblicazioni sul misterioso caso del serial killer toscano, sul quale di libri ne sono stati scritti quasi sessanta, anche se questo era particolarmente dettagliato e preciso nella ricostruzione dei fatti e delle successive indagini degli inquirenti, alle quali, per la verità, non risparmiava critiche.

Cinquant’anni di faldoni pieni di carte

Tuttavia, la particolarità del fatto era quella che il sequestro veniva disposto nel momento in cui l’autore assumeva un ruolo nel procedimento giudiziario in corso, appunto quello ancora aperto sul duplice omicidio di Scandicci del 1981, divenendo consulente di uno degli avvocati di parte civile.

Il secondo inquietante segnale fu successivo, risalente a quando l’avvocato  Mazzeo e il suo consulente Cochi iniziarono ad avere accesso agli atti delle indagini sul caso di specie, quello che gli anglosassoni definirebbero un «cold case», un «caso freddo», dove a tanti anni di distanza dal fatto l’assassino (o gli assassini) sono ancora in libertà.

Essi ebbero accesso alle carte del processo Pacciani in virtù di quanto previsto dal Codice di procedura penale, dopo avere ottenuto l’autorizzazione del Presidente della Corte d’Assise. Al riguardo, va ricordato che in quel processo il contadino di Mercatale Val di Pesa venne accusato di aver compiuto tutti e otto i duplici omicidi ascrivibili al mostro di Firenze.

E in effetti, quella del mostro è una lunga linea rossa originante alla fine degli anni Sessanta. A tracciarla la citata pistola Beretta, la medesima arma da fuoco, precedentemente rubata in un’armeria e mai più ritrovata, che da allora sparò in tutti i casi di omicidio del mostro .

L’inspiegabile diniego opposto

Un permesso, quello all’accesso agli atti che, come a volte prassi nei palazzi di Giustizia, viene accordato «per cortesia» anche dal Pubblico ministero, in questo caso il Dottor Luca Turco, che attualmente si occupa degli aspetti ancora non chiariti sui delitti.

Faldoni pieni di carte, cinquant’anni di indagini depositati negli scaffali della Procura della Repubblica di Firenze. Oltre a quelli relativi ai delitti di Scandicci, Mazzeo e Cochi chiesero di visionare anche quelli sul duplice omicidio di Vicchio commesso il 29 luglio 1984.

Ma a questo punto accadde qualcosa: nel momento in cui l’avvocato di parte civile inoltrò alla Corte una seconda richiesta riguardante gli atti di altri processi al mostro, motivata dalla necessità di approfondire maggiormente alcune specifiche vicende, attraverso una decisione senza precedenti la magistratura, in un primo momento gli negò l’accesso, poi il diniego venne esteso anche a quelli del duplice omicidio del giugno 1981.

Una lesione dell’indiscutibile diritto alla difesa della parte civile, a maggior ragione poi in un rito accusatorio, non più inquisitorio come una volta, dove quindi le parti in giudizio, accusa e difesa, dovrebbero trovarsi sullo stesso piano e discutere ad armi pari davanti a un giudice terzo.

Una sentenza e molti dubbi

Ad avviso dell’avvocato Mazzeo, tutto andrebbe ricondotto all’ordinanza di archiviazione dell’ultima inchiesta, quella che ha visto indagati Giampiero Vigilanti e Francesco Caccamo, un’ordinanza redatta dal Giudice per le indagini preliminari Angela Fantechi il 10 novembre 2020.

«Le mie indagini difensive – afferma al riguardo Mazzeo – prendono avvio proprio in conseguenza di questa ordinanza, poiché in essa il Gip dichiarò che la sentenza che aveva condannato Vanni e Lotti, in quanto chiamati in correità, aveva lasciato aperti degli interrogativi, sia perché gli episodi sui quali il Lotti aveva riferito erano de relato, sia per forti i dubbi sulla sua attendibilità».

Una sentenza dunque, quella a carico di Pacciani e dei compagni di merende, che ingenera non pochi dubbi, e questo anche a parere del Gip, che infatti concluse scrivendo nell’ordinanza che, purtroppo, si vedeva «costretta ad archiviare» poiché gli elementi fino ad allora raccolti non erano tali da poter sostenere un’accusa in dibattimento. Tuttavia, ella però sottolineava, «deve aggiungersi che l’archiviazione del procedimento non comporta preclusioni di nessun tipo», poiché «in qualunque momento, nuove emergenze possono condurre a una riapertura delle indagini».

Le indagini difensive della parte civile

Ed ecco dunque le indagini difensive della parte civile. Il dettato della Carta costituzionale (in giudizio la difesa ha pari dignità rispetto all’accusa) e gli artt.393bis e ss. C.p.p. formano un combinato disposto che, alla luce del fatto che in questo specifico caso chi agisce è un congiunto di una delle vittime (la sorella), assume ancora più forza. A maggior ragione poi, in quanto le indagini difensive condotte dall’avvocato suo patrocinante e dai suoi consulenti, almeno in astratto non dovrebbero confliggere con gli obiettivi della Pubblica accusa.

Le indagini condotte negli archivi della Procura da Mazzeo e Cochi altro non erano se non finalizzate alla ricerca del colpevole, «seppure – sottolinea sempre Mazzeo – al di fuori della vulgata accettata e inserita nella sentenza di condanna basata sulla chiamata in correità del Lotti, riguardo alla quale il Gip ha espresso seri dubbi».

Ma c’è un altro importante aspetto che caratterizza le ricerche dei difensori della signora De Nuccio: il duplice omicidio di Scandicci del 6 giugno 1981 è un delitto sul quale non si è ancora formato alcun giudicato, inoltre il reato di omicidio è imprescrittibile.

Delitti legati da un «vincolo pertinenziale»

«Avrei dovuto avere la massima disponibilità degli atti – lamenta l’avvocato Mazzeo -, invece il Dottor Turco con un Decreto emesso nel febbraio scorso mi ha respinto la seconda istanza mediante la quale, dopo una disamina della mole di documenti d’archivio relativa al processo Pacciani, gli avevo chiesto una serie di ulteriori atti riguardanti persone, circostanze e cose».

Gli atti di cui il difensore richiede copia – si motiva nel Decreto di respingimento dell’istanza del Piemme – non riguardano il reato in esame (cioè l’omicidio di Carmela De Nuccio e di Giovanni Foggi) bensì altri fatti di reato.

«Secondo il Pubblico ministero – conclude quindi Mazzeo –, per trovare l’assassino avremmo il diritto di consultare esclusivamente il fascicolo riguardante l’omicidio di Carmela Di Nuccio. E questo nonostante si tratti di otto duplici omicidi legati da un vincolo pertinenziale, si pensi soltanto alla pistola utilizzata dal serial killer: siamo di fronte a una discriminazione nel diritto alle indagini difensive, una discriminazione della par condicio tra accusa e difesa, che invece dovrebbero avere pari dignità processuale».

Un provvedimento che, sempre secondo l’avvocato di parte civile, confliggerebbe anche con il dettato dell’art. 116 C.p.p., che attribuisce il diritto di estrarre copia di atti da un procedimento a chiunque ne abbia interesse e, «per un difensore di parte offesa in un procedimento per il quale non è ancora intervenuta alcuna sentenza, c’è interesse a indagare».

Che fare?

A questo punto, non rinvenendo più sedi giurisdizionali presso le quali presentare ricorso, la parte civile (cioè il patrocinante avvocato Mazzeo), sostenuto dall’ex parlamentare del Partito Radicale Marco Beltrandi, si rivolgeranno al Presidente della Corte di Assise di Firenze, al Procuratore Capo della Repubblica e al suo sostituto, il Dottor Luca Turco, chiedendo loro di «revocare una decisione incomprensibile», altrimenti, essi aggiungono, «ricorreremo a tutte le istanze extra-giudiziarie che ci saranno consentite».

«Rosanna De Nuccio – afferma Beltrandi – ha tutto il diritto di pervenire alla verità sulla morte di sua sorella percorrendo, tramite il suo difensore, tutte le possibili piste, anche quelle eventualmente ancora da esplorare perché in passato non lo si è fatto o lo si è fatto poco e male. Ma questo, ormai, lo si può fare soltanto ricorrendo ai documenti esistenti».

«È inaccettabile – conclude l’ex parlamentare radicale – che un archivio pubblico contenente la documentazione su fatti di tale gravità non venga reso disponibile, conseguentemente, qualora la magistratura fiorentina permanga su questa sua posizione di diniego, faremo presentare una interrogazione parlamentare al ministro della Giustizia, sia in Parlamento, sia nelle Commissioni parlamentari Giustizia di Camera e Senato, riservandoci inoltre di investire del caso anche l’attuale Presidente nazionale delle Camere penali, informando, infine, di questo anomalo comportamento anche il Consiglio Superiore della Magistratura».

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