CINA, tensioni nel Pacifico. Minacce di Pechino a Taiwan: la US Navy replica facendo la «voce grossa»

I reali rischi di una invasione miliare dell’isola di Formosa da parte dell’Armata di Liberazione popolare cinese e la reazione di Washington, con l'ammiraglio Philip Davidson che chiede il rafforzamento della presenza americana nella regione. Il generale Giuseppe Morabito, membro del Direttorio della NATO Defense College Foundation, ha analizzato per insidertrend.it la dinamica che potrebbe innescare una escalation, valutando le concrete possibilità che si giunga a uno scontro armato

«Taiwan rischia di subire un’invasione militare da parte della Cina Popolare entro sei anni», lo ha affermato l’ammiraglio Philip Davidson (capo del Comando statunitense della regione Asia-Pacifico cha ha sede alle Hawaii) nel corso di un’audizione al Senato degli Stati Uniti d’America, la notizia è stata successivamente resa nota dal quotidiano britannico “Guardian”.

«Temo che Pechino stia accelerando verso l’obiettivo di soppiantare il ruolo degli Usa sull’isola – ha poi egli aggiunto riferendo alla Commissione sulle forze armate del Senato -, penso che questa minaccia si manifesterà nei prossimi sei anni».

Incremento della presenza militare cinese nell’area

«L’incremento della presenza militare cinese nell’area di Taiwan, ha quindi sottolineato, ha già indebolito il delicato equilibrio preesistente, rendendo più forte il rischio di un intervento senza che gli Usa possano reagire efficacemente».

Per il momento l’aggressività cinese si è concretizzata più che altro in termini politici ed economici, questo nel tentativo di isolare ulteriormente Taiwan, che è autonoma e democratica dal 1949. Soltanto pochi giorni fa il ministro degli esteri della Repubblica Popolare, Wang Li, durante la sessione plenaria del parlamento di Pechino aveva ribadito come Taiwan fosse «una parte inalienabile del territorio cinese» e che i due lati dello Stretto «verranno riunificati».

«Auspichiamo che gli Stati Uniti comprendano l’elevata sensibilità della questione», aveva poi aggiunto, concludendo con l’auspicio che l’amministrazione Biden «non giochi con il fuoco».

Le alleanze regionali

Washington è il principale alleato di Taiwan e, secondo l’ammiraglio Davidson, dovrebbe rafforzare la propria presenza nell’area al fine di garantire, all’occorrenza, una risposta adeguata all’aggressività cinese.

Al riguardo va evidenziato che il presidente Biden venerdì terrà i primi colloqui congiunti con i leader di Australia, India e Giappone, tesi al rafforzamento di un’alleanza a quattro ritenuta dai commentatori un baluardo contro la Cina. Per lui si tratterà di uno dei primi vertici, seppure in formato virtuale.

«Il fatto che il presidente abbia deciso che questo sia uno dei suoi primi impegni multilaterali segnala l’importanza che diamo alla stretta cooperazione con i nostri alleati e partner nell’Indo-Pacifico», ha dichiarato la portavoce della Casa Bianca Jen Psaki.

India e Australia, i «vicini preoccupati»

L’incontro del cosiddetto “Quad” ha luogo nel pieno delle crescenti tensioni con la Cina, che mostra i muscoli nella regione sia nel campo economico e commerciale che in quello militare.

Il primo ministro australiano Scott Morrison ha affermato che il presidente Biden «sta portando tutto questo a un altro livello. Sarà un momento storico nella nostra regione, e manda un messaggio forte sul nostro sostegno a un Indo-Pacifico sovrano e indipendente».

Il ministero degli esteri indiano in una propria nota diffusa alla stampa ha affermato che «i leader discuteranno questioni regionali e globali di interesse condiviso e si scambieranno opinioni su aree concrete di cooperazione per il mantenimento di una regione indo-pacifica libera, aperta e inclusiva».

Rituali minacce

Per contestualizzare gli eventi è necessario evidenziare che in questa settimana, durante l’annuale Congresso Nazionale del Popolo, che quest’anno celebra i cento anni della nascita del Partito comunista cinese (PCC), il governo di Pechino ha nuovamente dichiarato che intende perseguire attivamente la riunificazione con l’isola di Taiwan e che la riunificazione pacifica necessita degli sforzi da entrambe le parti lo Stretto di Taiwan, ma a causa dei «secessionisti taiwanesi» e dell’interferenza degli Stati Uniti, Pechino non avrebbe scelta e dovrebbe quindi  procedere verso il suo obiettivo con sforzi non pacifici, incluso quello militare.

Wu Qian, portavoce dell’Armata Popolare di Liberazione ha a sua volta dichiarato che: «Pechino è disposta a lottare per la riunificazione pacifica attraverso lo Stretto con la massima sincerità e i migliori sforzi, ma lo farà non promettendo di abbandonare l’uso della forza e si riserva la possibilità di prendere tutte le misure necessarie contro le interferenze delle forze esterne e dei separatisti di Taiwan».

Leggere tra le righe

L’espressione che promuove la «riunificazione della Cina» è apparsa per il secondo anno consecutivo, poiché nel 2019 si era parlato di «riunificazione pacifica della Cina». Molti osservatori hanno notato che il termine «pacifica» è scomparsa dai discorsi ufficiali, tuttavia, le dichiarazioni rese nel 2021 contemplano ancora una promozione della «crescita pacifica delle relazioni attraverso lo Stretto di Taiwan».

Per concludere, nel rimarcare come le dichiarazioni rese durante il Congresso del Popolo costituiscano anche un elemento di propaganda a fini interni, va comunque rilevato che se anche stavolta Pechino non manca di minacciare Taipei, tale minaccia non deve rimanere inascoltata dalle democrazie mondiali.

Pechino perde la «guerra delle ananas»

Una nota di colore risiede infine nel goffo tentativo di Pechino di minare l’economia di Taiwan proibendo l’importazione degli ananas prodotti a Taiwan.

La reazione del popolo taiwanese è stata quella di acquistare tutto il raccolto non esportato, vanificando così la sanzione ed evitando di mettere in crisi un importante settore dell’economia nazionale.

Stavolta è andata male va però tenuto in considerazione il fatto che la Repubblica Popolare cinese è adusa con frequenza al ricorso alla leva delle sanzioni commerciali allo scopo di mettere in difficoltà le economie dei paesi non amici.

Recentemente lo ha fatto anche con l’Australia, ora: chi sarà il prossimo?

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