Martedì scorso Egitto e Sudan hanno stipulato un patto di cooperazione nel campo della Difesa, una intesa che per l’Etiopia assume tutte le forme del severo avvertimento.
Infatti, i due alleati ritengono inaccettabile l’intransigenza di Adis Abeba sulla controversia di confine con Khartoum e su quella originata dalla realizzazione della imponente diga sul fiume Nilo da parte etiopica (GERD), che avrà una capienza di 13 miliardi di metri cubi di acqua.
Escalation della tensione
Il patto, firmato a Khartoum dai rispettivi capi di stato maggiore, è il frutto di mesi di relazioni sempre più intense tra le forze armate dei due Paesi, concretizzatesi tra l’altro in una serie di grandi esercitazioni militari congiunte e visite ufficiali di alto livello.
Il Cairo accusa l’Etiopia di aver portato allo stallo i colloqui sul progetto della diga e ha esortato la comunità internazionale a intervenire allo scopo di pervenire a dei progressi nelle trattative.
Il sostegno fornito dall’Egitto al Sudan risulta estremamente vantaggioso per l’esercito di Khartoum, negli ultimi tempi coinvolto in una serie di incidenti di confine con l’Etiopia. L’accordo, che include anche la cooperazione nel campo dell’intelligence, è finalizzato all’implementazione dello strumento militare sudanese allo scopo di renderlo idoneo al fronteggiamento e al contrasto di qualsiasi situazione di emergenza.
La cooperazione in campo militare
«L’Egitto – ha dichiarato il capo di stato maggiore del Cairo – è pronto a soddisfare le richieste del Sudan in tutti i campi, tra i quali quelli dell’armamento, dell’addestramento congiunto, del supporto tecnico e della sicurezza delle frontiere comuni», sottolineando poi la «gravità dei pericoli che circondano» i due Paesi alleati.
Una espressione che sembrerebbe oltrepassare il limite della retorica di circostanza, poiché la gravità delle controversie risulta oltremodo allarmante.
In ogni caso, i vertici delle due forze armate alleate hanno ribadito l’importanza dei negoziati, richiamando ancora una volta l’attenzione e l’intervento di Onu, Usa, Unione europea e Unione Africana, coinvolgendo, almeno a parole, tutti questi attori internazionali nel tentativo di riavviamento e dei colloqui e di mediazione.
I due capi di stato maggiore non hanno inoltre esitato a denunciar la «decisione unilaterale di Addis Abeba di procedere alla seconda fase di riempimento della diga rinascimentale in chiara violazione degli accordi precedentemente stipulati».
Controversie sull’acqua e la terra coltivabile
La disputa sul confine comune in atto tra Sudan ed Etiopia ha visto impegnate le forze armate di entrambi i paesi in diversi scontri a fuoco, dopo che Khartoum alla fine dello scorso anno ha schierato le unità del proprio l’esercito sulla linea di frontiera per strappare il controllo dei terreni agricoli colonizzati dai membri del gruppo etnico amhara (etiopici) a partire dal 1950.
Da allora i due paesi confinanti sono in un uno stato di tensione e si accusano a vicenda degli incidenti che vedono quali soprattutto la popolazione civile.
Nelle ultime settimane la tensione è aumentata e i due governo hanno ammassato le loro truppe ai confini.
Khartoum sostiene che la mancata condivisione da parte di Adis Abeba dei dati relativi al funzionamento della diga del GERD, situata a meno di venti chilometri dal confine, mette a rischio la vita di venti milioni di cittadini sudanesi, paventando le possibili future inondazioni e la captazione a monte del confine delle acque del Nilo Azzurro.
La questione esistenziale per il Cairo
Per l’Egitto la diga costituisce una questione esistenziale, dunque il Cairo, già afflitto da stress idrico, non esiterebbe a fare intervenire le proprie forze armate qualora Adis Abeba cercasse di imporre una situazione di fatto.
Un eventuale conflitto destabilizzerebbe l’intera regione e vedrebbe il Sudan esposto sul fronte dei combattimenti, questo in ragione del fatto che l’Egitto non ha un confine con l’Etiopia, aspetto che tuttavia non escluderebbe il coinvolgimento militare diretto del Cairo.
Negli ultimi anni il presidente (generale) el-Sisi ha impegnato il suo paese in una significativa politica di potenziamento dello strumento militare egiziano, costato miliardi di dollari in ragione dell’acquisizione di moderni e sofisticati sistemi d’arma, conferendogli la capacità di operare oltre i suoi confini. Egli, pur ritenendo che i negoziati costituiscono il metodo principe per risolvere la controversia sulla diga, non ha tuttavia mai escluso categoricamente la possibilità di un’azione militare.