AEROSPAZIO, Difesa. Le «mani cinesi» sugli F-35

Non si tratta certo di una novità, poiché è noto ormai da tempo come la Repubblica Popolare si sia andata gradualmente (ma velocemente) assicurando il controllo di buona parte delle risorse minerarie necessarie alla realizzazione dei prodotti tecnologicamente avanzati che nell’imminente prossimo futuro si riveleranno essenziali, sia nella vita civile quotidiana che nel campo militare. Risorse che non saranno sufficienti per tutti, un serio problema per il Pentagono

I nodi vengono dunque al pettine e se ne inizia a parlare sempre più pubblicamente: dopo avere sottratto questo primato agli americani, attualmente la Repubblica Popolare cinese controlla ormai l’intera filiera produttiva (80-90%) delle cosiddette «terre rare», cioè di quei metalli indispensabili alla realizzazione delle componenti essenziali di macchine delle quali, probabilmente, non si potrà prescindere dall’uso nel prossimo futuro.

Questo, sia che si tratti dei magneti permanenti installati nelle trasmissioni dirette delle turbine che permettono un ottimale funzionamento delle pale degli elettro generatori eolici offshore, che nel settore dell’elettrificazione della mobilità di massa, fattore che si vorrebbe alla base del processo di decarbonizzazione volto alla riduzione delle emissioni di gas climalteranti.

Ma a venire investito del problema è anche il settore industriale della Difesa, poiché la produzione di sofisticati sistemi d’arma richiede già oggi notevoli quantità di tali non inesauribili minerali.

È il caso del caccia di ultima generazione F-35 prodotto dalla Lockheed Martin, macchina che sia le forze armate degli Stati Uniti d’America (USAF e US Navy), che quelle dei paesi suoi alleati hanno iniziato a immettere in servizio, contando di equipaggiarci tutti i reparti di punta delle loro aeronautiche da combattimento.

Tagliare le ali agli F-35

Ebbene, per realizzare i sistemi di alimentazione elettrica e i magneti, componenti critiche di un velivolo del genere, sulla linea di produzione industriale i tecnici per ogni singolo F-35 hanno bisogno di diversi quintali di terre rare. Ora, se si riflette sul fatto che recentemente, prima anche grazie alla guerra dei dazi scatenata da Trump e adesso nella nuova fase di duro confronto tra l’amministrazione Biden e Pechino, che, su iniziativa del complesso politico-militare facente capo ai vertici del Partito comunista e dell’Armata di Liberazione, hanno varato una normativa assai più stringente in materia di cessione di materiali strategici a clienti esteri, si comprendono meglio i contorni del problema.

Lo Stato cinese imporrà rigidi controlli sia sulle attività estrattive nelle miniere (che, più o meno direttamente, soprattutto negli indebitati Paesi in via di sviluppo controlla) sia sulle esportazioni dei prodotti di esse, rendendo in questo modo difficoltosa se non impossibile la disponibilità di materiali strategici da parte dei suoi avversari, americani in testa.

Un problema che si era comunque prospettato già in precedenza, nel momento in cui era divenuto evidente come le aziende della Repubblica Popolare, attraverso una politica globale di investimenti coordinata dal vertice, stava sistematicamente acquisendo società attive nei settori in questione e, quando non se ne assicuravano la proprietà, erano comunque nelle condizioni di beneficiare della «leva» del debito estero gravante sui Paesi in via di sviluppo produttori, accumulato anche grazie alle generose erogazioni di prestiti effettuate «a loro vantaggio» da Pechino.

Pechino usa le restrizioni sui minerali per colmare il proprio «gap» tecnologico

Adesso buona parte della produzione africana e sudamericana di minerali strategici verrà impiegata in Cina, quindi sottratta al resto degli operatori del mercato e, conseguentemente, ai fabbisogni mondiali.

Di questo se ne è accorto anche il “Financial Times”, che pochi giorni fa in un suo articolo ha sottolineato come Pechino stia valutando una serie di limitazioni delle esportazioni di minerali cruciali ai fini della produzione anche dei caccia F-35 americani.

Già, perché la sottrazione di questi fondamentali materiali assume anche una valenza sul piano strettamente strategico-militare, in quanto costituisce uno degli strumenti nelle mani dei cinesi per potere, se non ridurre sensibilmente, per lo meno rallentare il progresso tecnologico statunitense nella ricerca e nello sviluppo di sistemi d’arma sempre più sofisticati.

Per restare al settore aerospaziale, dei velivoli da combattimento in particolare, bisogna ricordare come l’Armata Popolare di Liberazione disponga di macchine tecnologicamente, e quindi dal punto di vista delle prestazioni, ancora molto inferiori a quelle in linea con USAF e US Navy, questo nonostante l’industria militare di Pechino in questi ultimi decenni abbia compiuto notevoli progressi.

A questo punto quale migliore opportunità si prospetta agli strateghi cinesi per rallentare il competitor americano nella sue messa in produzione di adeguate quantità di F-35 se non quella di anemizzargli le fonti di minerali essenziali?

Le contromosse di Washington

Secondo il quotidiano della City londinese – che, si afferma, si sarebbe interfacciato con dirigenti cinesi particolarmente «curiosi» riguardo agli effetti di un’operazione del genere -, Pechino punterebbe ad abbattere le capacità militari statunitensi colpendo il prime contractor del jet fighter di quinta generazione attualmente in produzione.

Ovviamente, tale prospettiva ha spinto l’altra sponda del Pacifico a una contromossa, concretizzatasi nell’ordine esecutivo presidenziale diramato su pressione esercitata dal Pentagono lo scorso anno dall’allora inquilino della Casa Bianca, una disposizione volta a incrementare la produzione interna dei minerali strategici. A questa è seguita l’assegnazione di una imponente commessa alla società Lynas Rare Earths Ltd., ritenuto il maggiore produttore di terre rare dopo i cinesi. Ora toccherà a Joe Biden.

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