Si è visto come le dinamiche susseguitesi nell’arco di poche settimane abbiano determinato notevoli frizioni tra la Federazione russa e l’Unione europea. L’elezione alla presidenza degli Stati Uniti d’America di Joe Biden e l’escalation di proteste e di arresti a seguito della condanna di Aleksey Navalny, oppositore di Putin che era scampato miracolosamente alla morte per avvelenamento da Novičok, hanno precipitato le relazioni tra Mosca e Bruxelles in una crisi senza precedenti, al punto che il ministro degli esteri russo Serghei Lavrov è giunto ad affermare che Mosca «è pronta a rompere le relazioni con l’Unione europea qualora Bruxelles imponesse ulteriori sanzioni nei settori a rischio per la nostra economia».
Si vis pacem para bellum
«Non vogliamo rimanere isolati dalla vita internazionale – ha aggiunto il capo della diplomazia russa -, ma dovremmo essere preparati a questo: se vuoi la pace, prepara la guerra».
È indubbio come il caso Navalny, associato al quasi contestuale insediamento alla Casa Bianca di Biden, abbia alimentato il clima di tensione tra la Russia e l’Occidente, clima emblematizzato da una scena da Guerra fredda: il rischieramento da parte statunitense dei bombardieri B-1 dell’USAF in Norvegia. Un chiaro messaggio inviato a Putin sulla volontà americana di impegnarsi senza indugi nello strategico teatro dell’Artico.
Ma, fino a oggi Mosca ha saputo muovere sapientemente le sue pedine su tutte le caselle dello scacchiere internazionale dove ancora riesce ad arrivare con i propri ridotti mezzi. Ad esempio il Mediterraneo e il Medio Oriente.
Libia: un difficile percorso verso la pace
La Libia potrebbe finalmente voltare pagina e porre fine alla devastante guerra civile che la dilania da anni, questo a seguito del risultato ottenuto grazie alla mediazione delle Nazioni Unite attraverso lo strumento del Forum di dialogo politico libico, che ha visto a Ginevra, attorno allo stesso tavolo, i settantacinque rappresentanti delle diverse fazioni politiche del Paese nordafricano. La scorsa settimana in quella sede è stata concordata l’istituzione di un’autorità esecutiva unificata e la nomina di un nuovo presidente ad interim nella persona di Abdul Hamid Mohammed Dbeibah, uomo d’affari che ha ottimi rapporti ed entrature in Turchia.
Restano ovviamente protagonisti della scena il Governo di Accordo Nazionale (GNA), unico riconosciuto dall’Onu e fino a oggi presieduto da Fayez al-Serraj dalla capitale Tripoli, e l’Esercito Nazionale Libico (LNA), assestato nella Libia occidentale e guidato dal generale Khalifa Haftar.
Autorità esecutiva unificata
L’autorità esecutiva unificata avrà il non facile compito di attuare l’accordo per il cessate il fuoco, fornire servizi pubblici essenziali alla popolazione, varare un programma di riconciliazione nazionale, riavviare l’economia e organizzare le elezioni nel Paese indette per il prossimo mese di dicembre. La riuscita del processo di pace dipenderà in buona parte dall’atteggiamento delle potenze regionali intervenute direttamente o indirettamente a sostegno delle fazioni loro alleate – in primo luogo Egitto, Qatar, Turchia e Russia, ma anche la Francia -, trasformando la guerra civile in un conflitto per procura.
Il cambiamento delle condizioni di dialogo nel Paese nordafricano si sarebbero manifestate nell’ottobre dello scorso anno a seguito del raggiungimento del cessate il fuoco tra i belligeranti, un risultato ascrivibile all’attività di mediazione del rappresentante speciale del Segretario generale dell’Onu (SRSG), posto anche a capo della missione delle Nazioni Unite in Libia (UNSMIL), Stephanie Williams, in questo incarico dopo l’avvicendamento con Jan Kubis, avvenuto il 5 febbraio.
Il contesto regionale
A contribuire al successo della mediazione delle Nazioni Unite hanno comunque contribuito anche altri determinanti fattori, quali il raffreddamento degli attriti in seno al Consiglio di Cooperazione del Golfo (CCG), che nel suo ultimo vertice tenutosi in gennaio è riuscito a riavviare delle normali relazioni con il Qatar, soluzione potenzialmente in grado di riflettersi positivamente sulla Libia, poiché potrebbe implicare forme di coordinamento in quello specifico teatro di crisi, nel quale le petromonarchie del Golfo Persico sostengono diverse parti in conflitto.
D’altro canto, Russia e Turchia intendono continuare a esercitare la propria influenza sulla Libia nella fase successiva a quella transitoria attuale, quindi anche nel futuro esecutivo che verrà formato a Tripoli dopo le elezioni di dicembre. Non solo, Mosca e Ankara hanno bisogno di basi militari permanenti nel Paese nordafricano, questo nonostante le pressioni di Washington per un loro disimpegno.
I «proxi» servono ancora
Tuttavia, sul terreno la situazione potrebbe non mutare del tutto, neppure a fronte del tracciamento di una delineata e apparentemente condivisa linea del cessate il fuoco tra la Sirte e al-Jufra, poiché la lotta per il potere verterà più che nel passato sulla capitale Tripoli. Dunque, i «padrini» delle due maggiori fazioni contrapposte starebbero pensando bene di trattenere il loro proxi sul terreno, sia nell’eventualità di un riaccendersi del conflitto che, comunque, per disporre di una forza per incidere sulle dinamiche locali.
Il ritiro delle componenti armate esterne al Paese dal teatro di crisi – siano essi mercenari di varia provenienza (come i contractors russi del Wagner Group) oppure “volontari” jihadisti fatti giungere dai turchi in Nord Africa dalla Siria – è stabilito nei termini dell’Accordo sul cessate il fuoco recentemente raggiunto dalle parti in conflitto.
Le proiezioni militari del Cremlino
Attualmente il Cremlino si trova in grosse difficoltà a causa della crisi economica, del dissenso politico interno e del le citate crescenti tensioni internazionali, tuttavia, non per questo è escluso che permanga determinata nel perseguire la propria strategia di proiezione della forza in Mediterraneo.
Consolidata la sua storica presenza militare nella Siria di Assad (base navale di Tartus e base aerea di Khmeimim), Mosca potrebbe cercare di fare altrettanto in Libia, creando proprie basi militari permanenti laddove dove sono già presenti formazioni di contractors russi.
Una ipotesi ventilata da alcuni analisti, tra i quali Kirill Semenov, la cui opinione è stata ripresa ieri dal sito online di informazioni e approfondimenti arabo al-Monitor. Egli afferma infatti che «una base navale potrebbe essere creata a Sirte e una aeronautica invece a Jufra».
Ivan avrà una sua base a Sirte?
Ma, se nel caso di Sirte, osterebbe il fatto che nella città dovranno venire ospitate le autorità del nuovo Governo di transizione unitamente al Consiglio presidenziale e, quindi, dovrà venire smilitarizzata anche attraverso l’allontanamento da essa dei mercenari oggi presenti, la previsione di Semenov resta comunque coerente qualora si facesse riferimento al possibile invio nell’area di una missione di consiglieri militari russi, formalmente incaricata di supportare i libici nella costituzione di una loro forza armata unificata.
Un aspetto che va considerato anche sulla base della non peregrina composizione dei reciproci interessi tra Mosca e Ankara, seppure con il massimo disappunto della Casa Bianca, decisa a mantenere fuori dalla Libia forze straniere.