Sarà Mohammad Younes Menfi, diplomatico libico dell’est della Libia, a guidare il Consiglio presidenziale libico, che, coadiuvato da altri due elementi apicali delle fazioni in lotta (Abdullah al Lafi e Musa al Kuni, originari rispettivamente della Tripolitania e del Fezzan), dovrà traghettare il Paese nordafricano alle elezioni indette per il prossimo 24 dicembre, le prime dal 2014 e dal momento della frattura istituzionale tra l’Est di al-Serraj e l’Ovest di Haftar.
Abdul Hamid Mohammed Dbeibeh, ingegnere laureatosi in Canada e potente business man misuratino sostenuto dalle tribù occidentali, ricoprirà invece la carica di primo ministro ad interim.
Un risultato positivo dunque, visto ovviamente con favore dall’ONU, che tuttavia potrebbe venire messo in discussione, oltreché pesantemente condizionato, dalle tensioni e gli attriti in atto tra le potenze globali e regionali che rinvengono i loro proxi nelle varie fazioni libiche in guerra ormai dal febbraio 2011, in primis Francia e Turchia.
L’emarginazione di Tripoli e i germi di una ulteriore frammentazione
Si ritiene infatti che questo esecutivo transitorio, deciso alcuni giorni fa dal Foro di dialogo politico libico (FDPL) ne quadro del percorso di riconciliazione nazionale promosso dalle Nazioni Unite, possegga in sé tutti gli elementi per condurre a una nuova fase di instabilità, allontanando così le prospettive della riunificazione istituzionale del Paese.
La ragione principale è che l’accordo raggiunto a Ginevra non ha conferito alcuna rappresentanza al gruppo di potere di Tripoli nelle cariche politiche del nuovo Governo di Unità Nazionale (GUN).
L’architettura disegnata dall’ONU prevedeva il riferimento a liste trasversali di quattro candidati, con l’aspirante capo del Consiglio presidenziale e i suoi due vice provenienti dalle tre regioni che compongono il Paese, cioè Tripolitania, Cirenaica e Fezzan, mentre nessun vincolo geografico era stato stabilito per il candidato alla carica di primo ministro.
Una cornice che non era però in grado di includere completamente i diversi desiderata delle varie fazioni esistenti, tutte esprimenti propri specifici interessi. Una soluzione, dunque, in grado di portare a un’accentuazione della frammentazione del tessuto politico e socio-tribale, in particolare nella parte occidentale del Paese, dove i gruppi di potere e le milizie che controllano la capitale sono oggi più lontani dai nuovi responsabili ufficiali della politica libica.
Queste componenti dell’attuale mosaico potrebbero quindi contrastare in vario modo l’insediamento del GUN che prenderà il posto di quello fino a ora presieduto, con alterne fortune da Fayez al-Serraj.
Haftar avalla l’operazione dell’ONU
Ahmed al-Mismari, portavoce dell’Esercito Nazionale Libico (LNA), la forza armata che fa capo al generale Khalifa Haftar, si è congratulato con il popolo libico «per i risultati del Forum di dialogo politico, sotto gli auspici della Missione di sostegno delle Nazioni Unite in Libia, per gli sforzi continui e reali della rappresentante speciale ad interim del segretario generale dell’Onu in Libia, Stephanie Williams, che hanno portato all’elezione della nuova autorità esecutiva a cui aspirano tutti i libici».
«In questo contesto – ha egli aggiunto – il Comando generale si congratula con le figure nazionali che sono state elette per adempiere alle funzioni di capo del Consiglio presidenziale, Mohamed Yunus Menfi e capo del governo nazionale, Abdul Hamid Mohammed Dbeibah», concludendo infine che: «I libici sperano di poterli vedere al loro diligente lavoro nel fornire servizi ai cittadini e preparare il Paese alle elezioni generali previste per il 24 dicembre 2021, secondo quello che è stato concordato essere l’inizio del processo democratico, e la costruzione del nuovo stato libico, uno stato di istituzioni e di diritto».
Dal canto suo, il presidente al-Serraj aveva di recente cercato di consolidare il dispositivo politico-militare che fino ad allora lo aveva sostenuto annunciando l’istituzione della cosiddetta Autorità di supporto alla stabilità (ASS), un nuovo apparato di sicurezza direttamente dipendente da lui, quindi, al di fuori della catena di comando dei due ministeri chiave in materia di sicurezza, quello dell’interno e quello della difesa, alimentando la nuova struttura mediante linee di finanziamento indipendenti.
Un modo per conferire legittimità alle milizie a lui fedeli e intervenire nella lotta intestina in atto tra alcune potenti fazioni armate tripoline che riflettevano i contrasti tra lo stesso al-Sarraj e Bashaga.