BALCANI, Cossovo. Le eredità delle guerre nella ex Jugoslavia: cristiani perseguitati, le attività delle Ong

Da quindici anni Solidarité Kosovo lavora per la minoranza religiosa della ex provincia autonoma serba, un’attività svolta in una regione dove la popolazione cristiana vive da anni marginalizzata. La Santa Sede non ha ancora riconosciuto Pristina come Stato sovrano

Pristina, 30 gennaio 2021 – Lo riferisce Andrea Gagliarducci in un suo articolo pubblicato ieri dall’agenzia di stampa cattolica ACI Stampa, da quindici anni i cristiani in Kosovo (Kosovo i Metohija) possono contare sull’aiuto fornito da Solidarité Kosovo, l’organizzazione non governativa (Ong) fondata nel 2004 da Arnaud Guillon, allora diciannovenne e che oggi, naturalizzato serbo, è stato nominato segretario di Stato per la Diaspora dal Governo di Belgrado.

«Quella dei cristiani in Kosovo – afferma Gagliarducci – è una piccola minoranza, che dai tempi della guerra del 1998-99, a causa dell’escalation iniziata durante i precedenti conflitti nella ex Jugoslavia, si trovano in situazioni di persecuzione. Si tratta di persone di etnia serba, quasi tutti ortodossi, trovatesi a dover coesistere con la maggioranza di etnia albanese di religione islamica».

Il picco delle violenze si registrò con i pogrom del marzo 2004, quando 935 case e 30 tra chiese e monasteri ortodossi vennero dati alle fiamme, con il conseguente sfollamento di 4.000 serbi. Fu allora che Guillon decise di fondare l’Ong Solidarité Kosovo.

Con circa 12.000 donatori in tutta la Francia, l’associazione ha permesso la prosecuzione delle attività scolastiche per centinaia di bambini, oltre alla fornitura di 400 tonnellate di cibo e di numerosi capi di vestiario alle popolazioni dei villaggi cristiani.

Parlando con il National Catholic Register, Guillon ha sottolineato la difficile situazione dei serbi in Kosovo: «Hanno sperimentato una lenta pulizia etnica che si è accelerata a seguito della guerra del 1999. Oggi ci sono poco più di 100.000 serbi. Essi vivono in enclavi che sono prigioni a cielo aperto, dalle quali non possono uscire senza rischiare una piccola schermaglia. Sono regolarmente attaccati, colpiti, derubati e forzati a lasciare».

Gagliarducci riporta che la Santa Sede sta osservando con attenzione la situazione in Kosovo, un Paese che ha proclamato unilateralmente la propria autonomia nel 2008, ma al quale la Santa Sede (e altri Stati) ancora non ha riconosciuto la qualità di Stato sovrano e indipendente, pur mantenendo con Pristina relazioni cordiali. Evidentemente, oltre Tevere non è stata ancora ravvisata l’opportunità di un passo del genere, anche considerando i rapporti con la Chiesa ortodossa serba, che ritiene il Cossovo e la Metodia quale suo territorio sorgivo.

Nel Kosovo i cattolici costituiscono il 3% della popolazione. Il 5 settembre 2018 il pontefice ha elevato l’Amministrazione apostolica di Pristina a diocesi, assoggettandola quindi direttamente alla Santa Sede. Essa è parte della Conferenza episcopale dei Santi Cirillo e Metodio.

Il 10 febbraio 2010 era stato nominato delegato apostolico per il Cossovo l’arcivescovo Juliusz Janusz, un incarico che era collegato a quello di nunzio apostolico in Slovenia. «La nomina di un delegato apostolico – spiegò allora la Santa Sede – rientra tra le funzioni di organizzazione della struttura della Chiesa cattolica e, pertanto, assume carattere prettamente intra-ecclesiale».

La dichiarazione di indipendenza del Kosovo non ha tuttavia fermato la persecuzione anti-cristiana, infatti, il monastero di Vysokie Dečani venne bombardato e profanato con iscrizioni tipo «il califfato si avvicina», mentre nel 2016 le truppe della NATO riuscirono a fermare degli jihadisti armati di Kalashnikov al cancello.

Al riguardo Guyon ha sottolineato come la maggior parte degli albanesi sia tollerante, «ma gli estremisti sono molto forti e le autorità di Pristina condannano molto raramente le loro azioni».

Egli ha quindi concluso dichiarando che: «Da un punto di vista culturale, la distruzione del patrimonio serbo e ortodosso del Kosovo, patrimonio mondiale dell’UNESCO, sarebbe una grande perdita per l’umanità perché è un valore universale».

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