L’amministrazione presieduta da Joe Biden ha temporaneamente sospeso diverse importanti cessioni di materiali d’armamento a Paesi esteri che erano state decise al tempo in cui alla Casa Bianca c’era Donald Trump. Tra queste figura anche il contratto relativo alla fornitura di cinquanta velivoli da combattimento F-35 agli Emirati Arabi Uniti (EAU), la cui esecuzione era stata accelerata da Washington a seguito dell’accettazione da parte di Abu Dhabi della normalizzazione delle relazioni con lo Stato di Israele.
Una sospensione della cessione di sistemi d’arma dal non indifferente valore di 23 miliardi di dollari che potrebbe essere seguita da quella di un altro importante accordo con una petromonarchia del Golfo Persico, relativo alla fornitura di munizionamento all’Arabia Saudita.
Washington «riesamina» la vendita degli F-35 agli arabi
In precedenza, entrambe le vendite erano state duramente criticate dai rappresentanti del Partito Democratico eletti al Congresso degli Stati Uniti d’America. Il Dipartimento di Stato in una propria dichiarazione ufficiale ha reso noto che si tratta di una sospensione in attesa di un «riesame» delle citate cessioni, poiché «quando si tratta di vendita di armi è normale che all’inizio del suo mandato un’amministrazione riveda le vendite in sospeso allo scopo di assicurarsi che rispondano agli obiettivi strategici del Paese e corrispondano alla sua linea di politica estera».
L’annuncio dell’amministrazione Trump relativo alla vendita degli F-35 agli emiratini era stato fatto nell’immediatezza della sconfitta elettorale del presidente fino a quel momento in carica, il 6 novembre scorso.
Quello degli F-35 è un contratto miliardario che ha seguito la firma degli Accordi di Abraham tra Israele, Bahrain e Emirati Arabi Uniti, in base ai quali quegli Stati arabi avevano accettato di normalizzare le relazioni con Israele.
Trump aveva esplicitamente sostenuto la vendita di armi per motivi meramente commerciali, affermando che acquistando da produttori statunitensi (l’industria aerospaziale e della Difesa) i sauditi avrebbero creato posti di lavoro negli Usa. Inoltre, il tychoon divenuto presidente l’aveva propagandata all’opinione pubblica interna come un modo per scoraggiare l’Iran, seppure per effetto di quella cessione di sistemi d’arma strategici gli EAU sarebbero divenuto il primo Stato arabo (e il secondo in Medio Oriente oltre a Israele) a schierare in linea quel tipo di velivoli da combattimento.
Da Washington, i membri del Congresso critici riguardo all’operazione di natura diplomatico-commerciale avevano eccepito sulla cessione di sistemi d’arma tecnologicamente avanzati, affermando che i sauditi avrebbero potuto utilizzare i modernissimi caccia nella loro guerra che da anni combattono con alterne fortune nello Yemen, un conflitto che ha provocato una delle peggiori crisi umanitarie del mondo.
Garantire la supremazia militare a Israele
Meno di un mese dopo l’annuncio della vendita degli EAU, c’era stato poi il tentativo di bloccare l’accordo al Senato, che però era fallito.
In un’intervista rilasciata nel novembre scorso al quotidiano online “The Times of Israel”, il futuro Segretario di Stato di Joe Biden, Antony Blinken, aveva negato l’apparente natura dello scambio di F-35 a fronte dell’accettazione da parte di Abu Dhabi dell’accordo di normalizzazione delle proprie relazioni con lo Stato ebraico.
«L’amministrazione Obama-Biden ha reso disponibili quegli aerei a Israele e solo a Israele nella regione», aveva in quell’occasione dichiarato Blinken, che aveva rivestito l’incarico di consigliere per la sicurezza nazionale di Biden, di vice consigliere per la sicurezza nazionale del presidente e vice segretario di stato durante l’amministrazione Obama.
Sempre la medesima testata online israeliana, ha oggi ripreso una recente osservazione dell’analista di strategia Neri Zilber, che aveva osservato che adesso «sarà interessante vedere se gli Emirati Arabi Uniti inizieranno una normalizzazione lenta con Israele in risposta alla presa di posizione di Biden sull’accordo sulle armi».
Israele e gli Emirati Arabi Uniti hanno firmato l’accordo di normalizzazione mediato dagli Usa nel mese di settembre del 2020, ma l’amministrazione presieduta da D presieduta da Donald Trump ha poi formalmente notificato al Congresso degli stati Uniti d’America la prevista vendita di armi alla petromonarchia araba soltanto due mesi dopo. In precedenza, all’atto del raggiungimento dell’Accordo di Abraham, i tre paesi interessati insistettero riguardo al fatto che l’intesa in materia di armamenti non faceva parte dei negoziati che avevano condotto alla normalizzazione delle relazioni bilaterali tra Abu Dhabi e Gerusalemme, questo seppure, in realtà, fosse un aspetto della questione molto chiaro.
Il possibile blocco delle forniture
Infatti, l’Accordo di Abramo mise gli emiratini nella favorevole condizione di ottenere il caccia stealth di 5ª generazione dagli americani, mentre gli israeliani sarebbero stati perfettamente consapevoli di uno sviluppo del genere, poiché l’accordo sulle armi era parte dell’intesa con gli arabi.
Successivamente, nel mese di ottobre Israele ha annunciato che non si sarebbe opposto alla vendita degli F-35 agli EAU, mutando diametralmente atteggiamento rispetto alla sua precedente fermezza in senso contrario. Una decisione presa a seguito degli incontri tra il ministro della Difesa dello Stato ebraico Benny Gantz e il suo omologo statunitense dell’epoca, Mark Esper, che si era concluso con la “codifica” ulteriore dell’impegno assunto da Washington a mantenere il vantaggio strategico militare di Gerusalemme nella regione mediorientale.
Analisti israeliani della materia ritengono inoltre che Gantz in quella sede si sia anche assicurato l’impegno americano relativo alla fornitura di un consistente pacchetto militare «in compensazione dei sofisticati sistemi d’arma che Washington si preparava a cedere a uno Stato arabo.
Ora, la conclusione di questi stessi analisti è che, poiché un trasferimento di sistemi d’arma così sofisticati richiederà alcuni anni prima di essere perfezionato, l’amministrazione Biden potrebbe sempre fare in tempo a bloccarla mettendo in discussione l’accordo stipulato dal suo predecessore alla Casa Bianca, seppure nella storia degli Usa non si rinvengano molti precedenti del genere.