MUSICA, impegno civile. Dinastia canta la Sicilia con il rap antimafia di “Colapisci”

Torna il cantautore siciliano Dinastia, autore anche per Marco Mengoni e J-Ax. Il suo nuovo singolo, in radio dal 22 gennaio, nasce dalla sua continua ricerca di nuovi stimoli nel volere raccontare quello che lo circonda attraverso chiavi sempre diverse. «Così mi sono imbattuto nei cantastorie siciliani e mi ha incuriosito parecchio il loro modo di comunicare, che per certi versi ricorda quello che oggi fanno i rapper»

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Dinastia afferma che Colapisci nasce dalla sua continua ricerca di nuovi stimoli nel volere raccontare quello che lo circonda attraverso chiavi sempre diverse. «Così mi sono imbattuto nei cantastorie siciliani e mi ha incuriosito parecchio il loro modo di comunicare, che per certi versi ricorda quello che oggi fanno i rapper. Ascoltando le loro storie mi sono un po’ ritrovato in quei personaggi che con le loro chitarre, rime e cartelloni combattevano talvolta anche la mafia. È quello che faccio in fondo pure io, ho cercato infatti di raccontare la Sicilia attraverso le mie canzoni, denunciandone spesso quel cancro sociale, così è stato per “Chi gliel’ha fatto fare” così è per “Colapisci”, dove ho provato a raccontare la nostra terra e questo personaggio che, secondo i canti popolari dei cantastorie e le leggende tramandate, regge l’isola da uno dei tre pilastri sott’acqua».

Egli poi aggiunge che Colapisci vuole essere un brano che sprona le persone ad amare maggiormente il posto dove vivono, a cercare dentro ognuno di loro quell’amore che ha spinto Colapesce a salvare la sua Sicilia, «e la chiave musicale in questo senso è importante quanto l’impegno che metto nelle parole, infatti l’obbiettivo è quello di portare le persone a usare la testa per pensare e per muoverla a tempo col funky».

Colapisci

(testo e musica di: Musumeci Maurizio, Giacomo Molino, Maurizio Bassetta, Emanuele Bunetto, Antonino Mirenda)

C’era una volta un re con il suo regno ed una terra da salvare

Sorretta soltanto da tre colonne sotto il mare

Uno di queste messa male col rischio di far crollare

Sua maestà, la regina e tutti i sudditi a reame

Qualcuno ci aiuti gridava inerme quel reale

Qualcuno che abbia una soluzione una chiave

Quella terra così bella maledetta o così pare

la paura è che sprofondi per quel cancro da estirpare

Quella voce disperata fu ascoltata da un uomo

Che secondo una leggenda pare che avesse un dono

Lui era nato su quell’isola che amava con tutto se stesso

Ne pesce ne uomo, forse una via di mezzo

Figlio di Nettuno, qui nessuno lo conosce

Ha i natali sconosciuti ma il suo nome è Colapesce

Sulle spalle sue il destino di un’isola tormentata

Regge il peso degli sbagli di ogni civiltà passata

 

Colapesce da laggiù

Si chiede come va la vita sopra il blu

Se questo sforzo immane ha ancora senso

E se qualcuno ne ricorda il gesto

Colapesce noi quassù

Amiamo ricordarci che sei tu

A reggere il peso di sta terra

Vorrei vedessi quanto ancora è bella

 

Di tempo ne è passato ed io per quanto ne sappia lui è ancora sotto

E non sa di quante volte sta terra ha cambiato volto

Non ha idea di ciò che gli han dato ciò che gli han tolto

Ogni conquistatore che qui è arrivato è stato sedotto

Chissà se dal profondo del mare ha visto iniziare

Lo scontro più antico del mondo fra il bene e il male

Questa terra è una madre e in fondo vuole solo amare

Però molti dei figli purtroppo li ha visti andare

Ed è vero che da sotto Colapesce regge l’isola

ma sopra ha prosperato un cancro che l’ha resa misera

E per quanto avesse il desiderio di vederla libera

Per anni restò alla mercè di gente inetta e piccola

Terra amata e odiata, teatro di molte storie

Ispirazione per ogni uomo che tesse un’ode

Da Archimede a Pirandello, da Impastato a Falcone

Questa è la mia terra ed io ne sono un fiero cantastorie

 

Colapesce da laggiù

Si chiede come va la vita sopra il blu

Se questo sforzo immane ha ancora senso

E se qualcuno ne ricorda il gesto

Colapesce noi quassù

Amiamo ricordarci che sei tu

A reggere il peso di sta terra

Vorrei vedessi quanto ancora è bella

 

Taliu chista terra e sentu la to vuci

La sentu forti e nun mi duna paci

Sorreggi la to terra comu na cruci

Ca teni ri d’assutta o’ scuru senza luci

Ma ju nun pozzu fari autru ca taliari

Mi sentu ammaliatu e sulu menzu u mari

Un mari di putenti soldi gloria e ricchi a volontà

Nun è di certu un mari chinu di omertà

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