ECONOMIA, Made in Italy. Le esportazioni nel «nuovo corso» americano

Joe Biden si è insediato alla Casa Bianca, cosa dunque potrà cambiare adesso nell’economia e sui mercati internazionali? Lo abbiamo chiesto a un qualificato operatore del settore in grado di analizzare le dinamiche attuali e potenziali da un osservatorio privilegiato: Lucio Miranda, presidente della corporation Export Usa, in collegamento da New York con insidertrend.it

Ebbene, «la politica estera degli Stati Uniti cambierà rispetto all’era Trump – ha esordito Miranda -, anche se non come farebbero presagire i titoli in prima pagina pubblicati dai giornali italiani. Il percorso con la Cina rimarrà tortuoso e, non penso che l’amministrazione Biden cambierà di molto e subito l’atteggiamento in campo commerciale nei confronti di Pechino. Anche perché non va dimenticato che il nuovo presidente è un campione dei “blu collar”, ed è nota la sua vicinanza con le Unions, i potenti sindacati americani».

Riguardo all’Europa, invece, il presidente di Export Usa si attende un marcato processo di normalizzazione dei rapporti. «Ci aspettiamo una diversa politica riguardo ai visti», ha egli proseguito «cioè della possibilità di trasferirsi negli Usa per lavorare a seguito di un investimento o di un trasferimento intra-aziendale, ovvero con altri tipi di visti equipollenti, perché ultimamente la situazione era divenuta veramente ostica».

Export Usa, la corporation

La corporation presieduta dal nostro interlocutore di oggi ha tre sedi: Rimini, Bruxelles e, appunto, New York.

Export Usa rinviene la propria mission nel supporto alle imprese italiane ed europee a penetrare il mercato americano, quindi a esportare e a investire negli Stati Uniti. Si tratta di una organizzazione di “specialisti” del mercato americano, considerato in tutti i suoi aspetti: trasporti, dazi, marketing, personale, vendita online, ricerca di distributori e controparti, distribuzione di prodotti alimentari e deperibili in genere, messa a norma, importazione di medical devices, cosmetici, pratiche di concessione di visti lavorativi, creazione di società di diritto statunitense, tenuta della contabilità, aspetti fiscali come la dichiarazione dei redditi o la consulenza in materia di fiscalità internazionale, eccetera.

Un lavoro complesso che sta divenendo ancora più complesso in ragione dei cambiamenti continui del corpus normativo in America, col quale è necessario restare al passo, come di recente è stata la rivoluzionaria riforma fiscale varata da Donald Trump.

Chi si rivolge a questo genere di consulenti?

Solitamente, agli uffici di Export Usa si rivolgono quegli imprenditori che intendono espandersi in America, sia i piccoli e i medi che le grandi imprese, in questo secondo caso soprattutto quando hanno bisogno di una consulenza specialistica avente a oggetto elementi chiave molto particolari.

Inoltre, lo fanno anche gli investitori, per esempio quelle famiglie italiane che lo intendono fare negli Stati Uniti.

«Al riguardo – egli ha quindi sottolineato – spezzerei una lancia in favore di SACE e SIMEST, che, ad esempio, con le loro iniziative nel settore dei finanziamenti all’internazionalizzazione stanno aiutando molto le piccole e medie imprese italiane a internazionalizzarsi».

E le microimprese? «Il microimprenditore ha un problema – ha rilevato Miranda -, non sono in possesso delle risorse per poter affrontare un processo di internazionalizzazione. I vantaggi di un sistema come quello italiano, basato sulla piccola e media impresa si rinvengono nella creatività e nella flessibilità, però le loro ridotte dimensioni ne limitano il volume di risorse disponibili. E qui, Confindustria, nelle sue reti territoriali ha realizzato diversi progetti facendo “fare rete” ai microimprenditori allo scopo di realizzare progetti, anche a livello internazionale,  con risorse comuni, progetti che altrimenti a causa della loro complessità e dei loro costi proibitivi non si sarebbero potuti sviluppare».

Uno sguardo alla nuova fase della globalizzazione

Secondo Miranda, la pandemia di coronavirus ha messo a nudo un altro aspetto negativo della globalizzazione, quello delle cosiddette “catene del valore” troppo lunghe.

«Queste estese supply chain a un certo momento sono state spezzate dal Covid-19, con la conseguenza, ad esempio, che qua in America non arrivavano rifornimenti né dalla Cina e né dall’India e questo si è rivelato particolarmente problematico perché negli anni precedenti la globalizzazione aveva falcidiato interi settori produttivi, lasciando Paesi come gli Stati Uniti scoperti dal lato di alcune specifiche produzioni, anche strategiche seppure assolutamente non sofisticate dal punto di vista tecnologico, come una mascherina protettiva dal costo di una frazione di centesimo di dollaro».

Al riguardo è utile riflettere su un aspetto: il 40% dei materiali utilizzati nelle produzioni da parte delle big pharma americane arrivano dall’Asia, India e Cina in primo luogo.

«Il ripensamento in chiave critica delle supply chain fortemente sbilanciata sull’Asia porterà sicuramente dei vantaggi nei confronti di fornitori alternativi, come l’Europa, che si troverebbe in una posizione favorevole nell’export verso gli Usa, con Germania e Italia ai primi posti per quanto riguarda i macchinari».

Paradigmi che superano l’apparente razionalità nelle scelte economiche 

A questo punto, nello svolgere le proprie considerazioni Miranda pone un punto fermo: «In certe situazioni l’apparente razionalità applicata alle scelte di natura economica passa in secondo piano, poiché le decisioni devono necessariamente riferirsi ad altri paradigmi. Ad esempio, se sono necessarie delle mascherine protettive dal virus e non risulta possibile approvvigionarsene in quantità adeguate da fornitori che le commercializzano a basso prezzo, quelle mascherine andranno prodotte con costi maggiori nel proprio paese. Si impongono dunque principi di importanza superiore».

Miranda ha infine concluso l’intervista concentrando l’attenzione sull’Italia. «A mio avviso – ha egli affermato -, questo Paese ha soltanto un grosso problema: la burocrazia, che mette al tappeto il sistema Italia, inchiodando a essa anche la mentalità dei cittadini. Riguardo agli imprenditori, invece, ritengo che essi dovrebbero formarsi una mentalità diversa, perché spesso essi tendono a confondere la spesa con l’investimento: se un’impresa vuole entrare per la prima volta in un mercato grande come quello americano deve entrare nell’ottica dell’investimento finalizzato alla promozione del proprio marchio, esattamente come ha fatto in precedenza in Italia quando ha fatto nascere e crescere la propria azienda».

Di seguito è possibile ascoltare l’audio integrale dell’intervista con Lucio Miranda, presidente di Export Usa, registrata mercoledì 20 gennaio 2021 (A295)

A295 – ECONOMIA, COMMERCIO INTERNAZIONALE E MADE IN ITALY: COSA CAMBIERÀ CON BIDEN ALLA CASA BIANCA? Ai microfoni di insidertrend.it LUCIO MIRANDA, presidente di Export Usa, una corporation che si occupa di tutto quello che serve a un’impresa per penetrare il mercato americano.
Joe Biden si è insediato alla Casa Bianca, cosa dunque potrà cambiare adesso nell’economia e sui mercati internazionali? Lo abbiamo chiesto a un qualificato operatore del settore, in grado di analizzare le dinamiche attuali e potenziali da un osservatorio privilegiato: Lucio Miranda, presidente della corporation Export Usa, in collegamento da New York con insidertrend.it.
Ebbene, «la politica estera degli Stati Uniti cambierà rispetto all’era Trump – ha esordito Miranda -, anche se non come farebbero presagire i titoli in prima pagina pubblicati dai giornali italiani. Il percorso con la Cina rimarrà tortuoso e, non penso che l’amministrazione Biden cambierà di molto e subito l’atteggiamento in campo commerciale nei confronti di Pechino. Anche perché non va dimenticato che il nuovo presidente è un campione dei “blu collar”, ed è nota la sua vicinanza con le Unions, i potenti sindacati americani».
Riguardo all’Europa, invece, il presidente di Export Usa si attende un marcato processo di normalizzazione dei rapporti. «Ci aspettiamo una diversa politica riguardo ai visti», ha egli proseguito «cioè della possibilità di trasferirsi negli Usa per lavorare a seguito di un investimento o di un trasferimento intra-aziendale, ovvero con altri tipi di visti equipollenti, perché ultimamente la situazione era divenuta veramente ostica».
Condividi: