di Monica Tommasi – Il presidente di Legambiente Ciafani, dalle pagine di un inserto del Corriere della Sera, ha insultato gli Amici della Terra, colpevoli di opporsi all’arroganza con cui i suoi sodali dell’industria eolica pretendono di trasformare l’Italia e i suoi paesaggi. La presidente Tommasi ha risposto, in modo misurato ma netto, replicando all’incredibile diktat «così dovrà cambiare il paesaggio italiano».
Ma davvero per salvare il pianeta dai cambiamenti climatici dovremo rassegnarci a sfregiare per sempre il paesaggio italiano con pale eoliche sempre più alte sui crinali e colline ricoperte da pannelli solari?
Se lo sono chiesto tredici associazioni ambientaliste storiche, tra cui gli Amici della Terra, che più di un mese fa hanno scritto al Presidente del Consiglio e ai ministri competenti per chiedere di istituire un tavolo tecnico di concertazione nazionale che definisca i termini della pianificazione degli impianti di energia rinnovabile secondo standard di sostenibilità.
La richiesta è dovuta alla preoccupazione per i nuovi obiettivi europei di decarbonizzazione al 2030 per raggiungere i quali, il Governo italiano prevede di raddoppiare la potenza eolica già installata e triplicare quella fotovoltaica. Preoccupa la superficialità con cui si dà per scontato che questa sia una strada obbligata, senza nemmeno considerarne i costi ambientali ed economici e le alternative.
Preoccupa l’arroganza con cui alcuni promotori di queste tecnologie, sostenuti dalle relative filiere industriali, pretendono di cambiare il volto all’Italia, stabilendo unilateralmente nuovi criteri di “bellezza”, assimilando addirittura i giganteschi tralicci eolici alle cattedrali gotiche del medioevo.
I nuovi prepotenti vorrebbero tacitare ogni dissenso, ogni protesta locale, ogni discussione. Chiedono, per queste tecnologie, di superare le leggi e le procedure che valgono per ogni altra infrastruttura o impianto produttivo. Chiedono di esautorare le Sovrintendenze, di ignorare i danni alla biodiversità e il consumo di suolo.
Sperano che tutto passi sotto silenzio, che non ci sia dibattito pubblico nel merito delle strategie di de carbonizzazione. Infatti, se si esaminassero i dati, se si valutassero i risultati delle diverse misure, se si tenesse conto degli errori già fatti in questi anni, le cose da discutere sarebbero molte e non certo favorevoli ad una ulteriore diffusione di pale eoliche o di grandi impianti fotovoltaici in aree agricole.
Per esempio: solo per raggiungere gli obiettivi 2020 di queste fonti intermittenti (quindi non sostitutive degli impianti tradizionali), l’Italia ha già speso 224 miliardi in circa trenta anni, il maggior investimento dal dopoguerra ad oggi, superiore a quello fatto per il Mezzogiorno d’Italia. Il problema è che questo sforzo finanziario a carico delle bollette elettriche ha coperto appena l’8% dei consumi energetici del paese. E si badi-solo il 2,9% è stato prodotto da fotovoltaico ed eolico.
È provato invece che i risultati maggiori in termini di riduzione della CO₂, duraturi e non penalizzanti per le aziende, ci sono stati e possono esserci con gli investimenti in efficienza energetica su cui il nostro paese ha veramente maturato esperienze innovative sia in relazione all’utilizzo di fonti rinnovabili che in relazione al risparmio di fonti fossili come il gas, indispensabili alla transizione energetica.
Certo, quella dell’efficienza è una strada più complessa del semplice impianto di pale e pannelli, all’altezza però di un paese evoluto come l’Italia e rispettosa dei suoi valori culturali e ambientali.
Ma, attenzione! Chi racconta che è tutto facile, che basta sacrificare le nostre bellezze, sta dicendo balle e può fare enormi danni.