IRAN, vertici dello Stato. Il prossimo presidente della Repubblica Islamica sarà un generale dei Pasdaran?

La crisi politica ed economica in atto nel Paese nei prossimi mesi potrebbe aggravarsi e, a quel punto, si potrebbe rendere necessario un «presidente di garanzia» in grado di governare le dinamiche del momento. In un perspectives paper pubblicato dal BESA Center - il nr. 1.846 del 13 dicembre 2020, a firma Ardavan Khoshnood – viene analizzato lo scenario politico-istituzionale iraniano alla luce della notizia dell’annuncio della candidatura alla carica apicale del brigadier generale Hossein Dehghan, attuale comandante del Corpo dei Guardiani della Rivoluzione, i Pasdaran

Le elezioni presidenziali nella Repubblica Islamica, che avranno luogo il 18 giugno 2021, rappresentano un indice della possibile strategia, sia interna che in politica estera, della teocrazia iraniana.

Nell’attuale composizione sistemica della struttura del potere il ramo giudiziario risulta controllato dai conservatori, che hanno espresso alla sua guida Ebrahim Raisol-Sadati, mentre quello legislativo dal maggio scorso viene presieduto da un ex comandante del corpo dei Pasdaran, il brigadier generale Muhammad Bagher Ghalibaf.

Ora, alla luce della notizia dell’annuncio della candidatura alla carica di Presidente della Repubblica da parte del brigadier generale Hossein Dehghan, attuale comandante del Corpo dei Guardiani della Rivoluzione, un altro militare, sempre dei Pasdaran, potrebbe assumere la direzione del potere esecutivo nel Paese.

Egli, in un breve video pubblicato il 24 novembre scorso, ha dichiarato che, se eletto, «sarà in grado di porre fine ai conflitti politici interni e unire il Paese».

Dehghan, al quale i detrattori rinfacciano dei trascorsi operativi non del tutto cristallini, vengono attribuite notevoli possibilità di successo alla prossima competizione elettorale. Su di lui, però, gravano le sanzioni decretate il 4 novembre 2019 dal Dipartimento del Tesoro Usa a causa del ruolo che gli viene attribuito nell’attentato stragista compiuto nel 1983 a Beirut.

Hossein Dehghan

Nato sessantatré anni fa in un villaggio non distante da Esfahan, Dehghan si è successivamente laureato all’Università di Teheran. Ai tempi della Rivoluzione del 1979, poco più che ventenne aderì al Corpo dei Pasdaran e in seguito partecipò all’occupazione dell’ambasciata americana a Teheran.

La sua carriera nel Corpo dei Guardiani della Rivoluzione Islamica fu rapida, dato che gli venne affidato il comando della struttura dell’IRGC nella capitale, che mantenne fino al 1982.

Era il periodo della repressione degli oppositori alla neonata Repubblica Islamica, della quale fu uno dei responsabili.

Quando nel 1982 Israele occupò militarmente il Libano, Dehghan ricevette  la nomina di comandante delle forze dell’IRGC in Libano e Siria, dove svolse un ruolo importante nell’addestramento e nello sviluppo delle forze di Hezbollah. Viene accusato di essere stato direttamente coinvolto nell’attacco suicida compiuto con un camion bomba da un estremista contro una base del contingente militare statunitense inviato a Beirut, azione terroristica che provocò la morte di 299 tra  americani e francesi.

Al suo ritorno nella capitale iraniana, ricoprì posizioni di vertice quale quella di comandante della componente aerea dei Pasdaran e vicecapo di Stato maggiore congiunto del Corpo dal 1992 al 1996; quindi, l’anno seguente assunse la carica di viceministro della Difesa, che mantenne fino al 2003; dal 2013 al 2017 fu ministro della Difesa nel governo Rouhani, poi venne nominato dalla Guida suprema Ali Khamenei come suo aiutante di campo per le problematiche attinenti alle industrie della difesa e la logistica delle forze armate. Infine, nel 2010 divenne segretario del Comitato politico di difesa e sicurezza del Consiglio Supremo di Sicurezza Nazionale

La «solida cordata» che ambisce alla guida dell’esecutivo

Dehghan è l’unico, finora, ad aver annunciato la propria candidatura alle prossime elezioni presidenziali, tuttavia, si ritiene che almeno altri cinque alti ufficiali dei Pasdaran starebbero valutando la possibilità di presentarsi alle elezioni. Si tratterebbe di Mohsen Rezaee, Rostam Ghasemi, Ali Shamkhani, Muhammad Bagher Ghalibaf, Parviz Fattah Gharebaghi.

Se davvero tutti questi ex comandanti ai vari livelli dell’IRGC dovessero per davvero candidarsi alla Presidenza della Repubblica cosa se ne potrebbe dedurre? Che la Repubblica Islamica sta attraversando (o si prepara a farlo) una profonda fase di instabilità e di crisi e che quindi deve ricorrere alla militarizzazione delle proprie istituzioni per farvi fronte?

Nella sua analisi Khoshnood afferma che «è troppo presto per sapere come si svilupperanno gli eventi», tuttavia non esclude che altri elementi di vertice dell’IRGC potranno comunque astenersi dal presentare la loro candidatura o ritirarsi dalla competizione al fine di favorire l’elezione di Dehghan.

Ma cosa potrebbe significare l’elezione di un ufficiale dei Pasdaran come Dehghan alla Presidenza della Repubblica? Come influirebbe sugli equilibri tra i falchi e i riformatori?

Qui, forse, si rinviene una parte della risposta agli inquietanti interrogativi formulati sopra, poiché è certo che Dehghan goda di una fiducia trasversale, fatto dimostrato dai suoi diversi danti causa nel corso della propria brillante carriera, personalità di massimo livello che furono (e in parte ancora sono) espressione di entrambi i contrapposti schieramenti politici. Come i riformisti Muhammad Khatami e Hassan Rouhani e l’intransigente Mahmoud Ahmadinejad, che da giovane combatté gli iracheni di Saddam nelle trincee paludose dello Shatt-el-Arab.

Il militare «giusto» al «momento giusto»

«Emergenza», «trasversalità» e «cordata», forse sono questi i tre termini basilari ai quali fare riferimento nei prossimi mesi quando si approccerà un’osservazione alle dinamiche politiche e istituzionali dell’Iran.

Il pragmatismo, dote della quale i persiani assolutamente non difettano, potrebbe ispirare le prossime scelte di un establishment trovatosi di fronte all’acuirsi della crisi politica e finanziaria nel Paese. Esso potrebbe dunque optare coeso per la chiamata di un ufficiale al ruolo apicale della Repubblica Islamica, poiché a quel punto soltanto un uomo capace di controllare le dinamiche in atto sarebbe davvero un presidente di garanzia.

La sua funzione sarebbe quella di garantire la salvaguardia della variegata élite, componendo i contrapposti interessi espressione dei vari centri di potere iraniani.

Nella sua analisi pubblicata dal recente perspectives paper del BESA Center, Khoshnood conclude ricordando come Hossein Dehghan abbia avuto modi di mettere in luce le sue spiccate capacità.

Infatti, uno dei suoi principali successi, conseguito nel 2016 sotto la presidenza di Rouhani, fu il raggiungimento di un accordo con la Repubblica Popolare cinese in materia di contrasto del terrorismo e della cooperazione in campo militare, che segnò una significativa espansione dell’influenza di Pechino in Medio Oriente, un accordo che fu la prova delle sue capacità.

Tutto muta sullo scenario internazionale, inclusa l’amministrazione statunitense e questo porrà lo stesso Dehghan di fronte a gravi scelte. Come quelle relative al programma missilistico Iraniano, diretto e gestito dalle forze aerospaziali dell’IRGC, rispetto al quale il brigadier generale in odor di presidenza si è sempre dichiarato contrario a ogni negoziato.

Condividi: