L’OPINIONE, strategia. Regional Comprehensive Economic Partnership (RCEP): la partnership asiatica sarà un’opportunità per uscire dalla crisi?

L’accordo potrebbe mutare gli assetti economici e strategici futuri dell’Europa e dell’Occidente più in generale. L’autore ritiene dunque auspicabile che Bruxelles e Washington si confrontino subito con il RCEP, poiché esso costituirà un'opportunità sul piano geo-economico nel post-Covid, ricordando però che le aperture nei confronti di Pechino dovranno avere luogo «senza abbassare la guardia»

a cura del BG Giuseppe Morabito (ITA A), Director of the Rome Capitol Training School – Dopo otto anni di negoziati il 15 novembre è stato firmato un accordo che potrebbe potenzialmente cambiare il futuro economico e strategico dell’Europa e di tutto il mondo occidentale.

Un evento che ha avuto luogo senza una  seppur minima copertura mediatica, probabilmente in conseguenza del focalizzarsi di tutti i media sulle notizie in merito al contrasto e alle conseguenze della pandemia da «virus di Wuhan».

Si tratta di un accordo che potrebbe cambiare il futuro economico e strategico dell’Europa e di tutto il mondo occidentale.

Regional Comprehensive Economic Partnership (RCEP).

Infatti, è stato deciso di dare vita alla Regional Comprehensive Economic Partnership (RCEP), cioè un accordo in materia economica e commerciale che vede firmatari i dieci Paesi dell’ASEAN (Associazione delle Nazioni del Sud Est Asiatico) oltre a Repubblica Popolare cinese, Giappone, Corea del Sud, Australia e Nuova Zelanda.

Questo storico accordo segna la costituzione del blocco commerciale e di investimenti maggiore al mondo, in grado di rivoluzionare la geopolitica della regione e i rapporti tra gli Stati dell’Est asiatico.

Anche se esso non è stato completamente  proposto e pilotato dalla Cina ma, almeno inizialmente, frutto dell’attivismo giapponese, la vastità dell’economia della Repubblica Popolare e la sua azione economica gravitazionale inevitabilmente faranno sì che il RCEP divenga un’organizzazione sino-centrica, con un conseguente spostamento ulteriore del centro della gravità economica regionale, quindi inevitabilmente mondiale, in direzione di Pechino.

Il RCEP coinvolgerà circa il 30% della popolazione mondiale e, non dimenticando la necessità interna cinese di mantenere elevato il tasso di crescita economica, potrebbe contribuire alla creazione di almeno 200 miliardi di aumento del reddito complessivo mondiale.

Sebbene tale crescita sia una buona notizia anche per i Paesi europei, dopo che la pandemia ha messo in crisi le loro economie, la stessa potrebbe sempre generare una nuova accelerazione del trasferimento della ricchezza, quindi del potere commerciale dall’Europa, in particolare dall’Unione europea, oggi “più piccola” della RCEP.

Belt and Road Initiative (BRI).

Fondamentalmente, per gli stati con le economie danneggiate dal virus di Wuhan, che in gran parte sono anche quelle dell’Indo-Pacifico, il RCEP potrebbe migliorare anche l’accesso ai finanziamenti della Belt and Road Initiative (BRI) cinese, con tutte le implicazioni geopolitiche ed economiche conseguenti.

Va subito ricordato che anche l’Italia è entrata a far parte della rosa dei partner di Pechino nel progetto BRI, noto anche come Nuova via della seta.

Il progetto, originariamente concepito allo scopo di connettere la Cina ai mercati dell’Europa occidentale via terra e via mare, ha ormai esteso le sue ramificazioni fino all’Africa e all’America Latina, mentre i suoi obiettivi spaziano ben oltre le reti di trasporto.

Infatti, la BRI persegue l’aumento della connettività e dell’integrazione internazionale cinese non solo sul piano infrastrutturale, commerciale e logistico ma anche finanziario, energetico e persino culturale. Oggi la BRI è diventata un vero e proprio strumento di politica estera di Pechino.

Inoltre, nel marzo 2021 sarà reso noto il XIV Piano quinquennale della Cina Popolare e, almeno da quanto finora noto, l’obiettivo del Partito comunista cinese (PCC) sarà quello di migliorare la sicurezza economica, tecnologica e della catena di approvvigionamento.

Gran parte di esso sarà dedicato a ridurre il divario economico generato dalla rapida urbanizzazione, fenomeno che interessa le città cinesi e le campagne, così come tra le ricche comunità costiere e quelle rurali, invece meno abbienti.

Una parte del Piano dovrebbe poi venire dedicata al rafforzamento della sicurezza interna a seguito dei disordini sociali e le proteste democratiche recentemente verificatesi a Hong Kong e, come noto, repressi con la forza da Pechino.

Rafforzamento della sicurezza interna della PRC: Hong Kong e Taiwan.

Il piano conterrà anche importanti indicazioni per una ulteriore modernizzazione dell’Esercito Popolare di Liberazione (PLA), con l’obiettivo di “elevare il livello di sicurezza nazionale”. Dato che Pechino vede Taiwan come parte della Cina e non ne riconosce l’indipendenza in quanto considera l’isola una “posizione strategica” per la sua “sicurezza nazionale”, le implicazioni per Taipei e la sicurezza strategica regionale potrebbero essere gravi.

La democratica e libera Taiwan, quindi, senza l’appoggio degli Usa e delle democrazie occidentali, rischierebbe di correre veramente dei rischi.

L’obiettivo specifico del piano sarà trasformare il PLA, dal suo attuale status, in una forza in grado di produrre sia deterrenza sia coercizione in ambito locale e internazionale.

Dato che, quando si parla di Cina, l’area locale in questione è l’Indo-Pacifico, il futuro non può che rinvenire nei piani di Pechino, sia la coercizione degli Stati all’interno dell’area locale, sia la deterrenza, e passo successivo l’espulsione/esclusione dall’area stessa, delle forze armate statunitensi.

In altre parole, Pechino mira ad avere una capacità militare moderna rafforzata attraverso delle tecnologie quali sistemi missilistici ipersonici, intelligenza artificiale, sciami di droni, nanotecnologica, super computer e tecnologia biologica (i virus “liberati” fino ad oggi funzionano…).

Comunque, a parere di alcuni osservatori di geopolitica, si starebbe palesando il fatto che, sulla scia delle polemiche mondiali seguite alla crisi pandemica e dell’aggressiva diplomazia, Pechino abbia forse deciso di mutare approccio e osservare, almeno nelle dichiarazioni di facciata, le regole e le norme internazionali.

Un nuovo referente alla Casa Bianca.

Tale approccio, oltre a essere esattamente ciò che vogliono gli Stati Uniti d’America e i loro alleati occidentali, è anche il motivo per cui le democrazie della regione, come Australia, Giappone, Corea del Sud e altre, hanno aderito al RCEP.

Le stesse motivazioni potrebbero essere prese a modello anche per porre le basi dei futuri rapporti con il neoeletto presidente americano.

Infatti, attese, ad esempio, le posizioni sul cambiamento climatico, che sono al centro della politica estera del team di Joe Biden, Washington dovrà necessariamente confrontarsi con Pechino qualora quest’ultima non dovesse rispettare gli accordi sul clima.

Non ci sono essere dubbi neppure sul fatto che la Cina si veda in competizione strategica con gli Stati Uniti e il resto dell’Occidente. Pechino con tutta probabilità cercherà di escludere gradualmente gli americani dal libero scambio nell’Indo-Pacifico, rafforzando così la percezione globale di un declino degli Usa,  nonostante la nuova amministrazione in carica.

In conclusione, si auspica che sia Washington che l’Europa si confrontino da subito con il RCEP, inquadrando questo approccio come un’opportunità geo-economica post-Wuhan e, soprattutto, ricordando che tale apertura nei confronti di Pechino dovrebbe avere luogo per tutti «senza abbassare la guardia».

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