L’11 novembre scorso il Fondo monetario internazionale (Fmi) ha concesso alla Repubblica del Sud Sudan un credito di emergenza di 52 milioni di dollari, somma erogata nel quadro del Rapid Credit Facility allo scopo di aiutare la sua economia di quel paese africano a superare lo shock provocato dalla pandemia di Covid-19. È la prima volta che il Paese africano riceve un sostegno finanziario dal fondo.
Lo ha reso noto lo stesso Fmi in un recente articolo redatto a doppia firma da Amina Lahreche e Niko Alfred Hobdari, membri del Dipartimento africano, che è stato recentemente pubblicato sul sito web dell’organizzazione.
Giuba anno zero. Il Sud Sudan sta uscendo a fatica da un prolungato conflitto che ha comportato un costo molto elevato in termini di vite umane e profughi. Attualmente oltre la metà della popolazione sud-sudanese necessita con urgenza di assistenza alimentare, mentre circa il 40% è sfollata o ha trovato rifugio nei paesi vicini e più dell’80% vive al di sotto della soglia di povertà.
Le inondazioni e la piaga delle locuste hanno ulteriormente aggravato le condizioni di vita di milioni di persone in quella regione.
Il Sud Sudan si trova in una condizione di sottosviluppo, con un deficit di infrastrutture di base, servizi sanitari e istruzione, inoltre deve edificare le proprie istituzioni. Un complesso di sfide difficili, soprattutto a fronte di una condizione di accesso limitato a finanziamenti a tassi accessibili.
Covid-19 e crollo prezzi petroliferi. Anche il Sud Sudan è interessato dalla pandemia di SARS Covid-19, tuttavia la reale incidenza del virus sulla popolazione locale è di difficile valutazione a causa delle limitate capacità nell’effettuazione dei test da parte delle autorità sanitarie.
Un altro contestuale fattore negativo per il Paese africano è stato il forte calo dei prezzi elle materie prime energetiche, che ha fortemente impattato su una fragile economia che in massima parte è basata sulle entrate derivanti dall’esportazione di petrolio, pari al 97% delle esportazioni complessive e fonte di una rilevante quota delle entrate in bilancio, (88%).
Una dinamica che ha ulteriormente compresso i di per loro già limitati margini di politica fiscale, questo mentre si va deprezzando il tasso di cambio, contribuendo all’aumento dell’inflazione.
Da qui il passo verso la richiesta di sostegno finanziario rivolta al Fmi, «al fine – asseriscono i due autori del paper – di fornire il necessario respiro e ridurre i costi economici e sociali dell’adeguamento dell’economia verso un percorso sostenibile».
Riforme economiche. La ricetta suggerita per lo sviluppo del Sud Sudan è quella della diversificazione dell’economia, processo che l’affrancherebbe gradualmente dalla prominente produzione di idrocarburi. Tuttavia, si tratta di un obiettivo che per essere conseguito richiede enormi investimenti in infrastrutture, sviluppo umano e nelle istituzioni, al momento estremamente deboli.
Il Fmi ha reso noto che il sostegno dei donatori si concentrerà principalmente sulle attività di natura umanitaria, mentre l’attrazione di maggiori volumi di finanziamento allo sviluppo richiederà l’avvio di una serie di riforme.
Così prosegue il documento di Lahreche e Hobdari: «Istituzioni più efficaci per la gestione delle finanze pubbliche sono una priorità assoluta e il governo sud-sudanese ha avviato queste riforme ponendosi in linea con gli impegni precedentemente assunti nel quadro dell’Accordo di pace raggiunto nel 2018. Le autorità di Giuba stanno inoltre tracciando una rotta fiscale in grado di mantenere sostenibile il debito, di promuovere la crescita economica e, al contempo, provvedere all’edificazione di una pace stabile garantendo la spesa sociale».
Questi passaggi, unitamente a quelli che dovranno condurre a un maggiore livello di trasparenza e responsabilità nell’impiego delle risorse ricevute, sono stati determinanti nello sblocco dell’erogazione della prima tranche di finanziamenti del Fmi mediante il Rapid Credit Facility recentemente approvato.