Mutamenti a livello politico su entrambi i campi libici. Le ultime notizie pervenute dal Paese nordafricano sconvolto dalla guerra civile parlano delle dimissioni del Governo della Libia orientale, quello con sede a Tobruk che non ha ottenuto il riconoscimento dell’Onu e che è alleato del Maresciallo Khalifa Haftar.
Questo accade mentre a occidente della linea del fronte il premier Fayez al-Serraj, a capo del governo riconosciuto dalla comunità internazionale, sarebbe intenzionato ad annunciare a breve le proprie dimissioni, permanendo comunque in carica fino alla conclusione dei negoziati previsti per ottobre a Ginevra, che dovrebbero portare alla formazione di un nuovo governo.
Tobruk. L’esecutivo antagonista di quello tripolino si è dimesso a seguito di giornate di proteste inscenate contro di lui in diverse città, inclusa Bengasi.
Infatti, se inizialmente le proteste si erano concentrate soprattutto nella capitale, dove ha sede il governo presieduto da Fayez al-Serraj, lo scorso fine settimana le manifestazioni hanno invece iniziato a estendersi anche ad altre città libiche. Coloro i quali sono scesi in piazza hanno protestato contro le continue interruzioni di energia elettrica e contro il generale deterioramento delle condizioni di vita.
La conseguenza è stata la rassegnazione delle dimissioni dall’incarico di primo ministro del governo orientale da parte di Abdallah al-Thani, seguito in blocco da tutti i suoi ministri. Tuttavia esse non sono ancora definitive, poiché dovranno venire approvate dal parlamento.
Il 21 agosto scorso il governo di al-Serraj aveva proposto un cessate il fuoco alle milizie che stavano combattendo contro lo schieramento di Haftar, inoltre era stata chiesta la smilitarizzazione dell’area della città costiera di Sirte, di importanza strategica per entrambi gli schieramenti.
Non solo, perché si è richiesta la convocazione di elezioni parlamentari e presidenziali per il mese di marzo, il ritiro delle forze straniere e dei mercenari dal paese e la ripresa della produzione petrolifera, al momento ancora bloccata dalle forze di Tobruk. Il portavoce dell’esercito di Haftar, Ahmed al-Mismari, aveva però respinto la proposta di tregua bollandola come «esclusivo marketing mediatico».
Nel frattempo Haftar starebbe fornendo sempre maggiori spazi politici al portavoce del Parlamento di Tobruk, quell’Aguila Saleh che ha proposto un’iniziativa politica per unificare le istituzioni del Paese.
Tripoli. Dal canto suo, al-Serraj, capo del governo riconosciuto dalla comunità internazionale, si sarebbe detto intenzionato ad annunciare a breve le proprie dimissioni, permanendo comunque in carica per la conduzione delle fasi finali dei negoziati previsti per il prossimo mese di ottobre a Ginevra, dove si dovrebbe pervenire alla formazione di un nuovo esecutivo.
I vertici tripolini avrebbero discusso delle intenzioni del premier con i loro alleati in Libia e con quelli internazionali e l’annuncio delle dimissioni potrebbe essere fatto entro la fine della settimana.
Negli ultimi tempi Tripoli è stata oggetto dell’esercizio di crescenti pressioni a causa delle proteste di piazza, dunque, attraverso le dimissioni del premier – sostengono fonti informate in merito – al-Serraj sarebbe nelle condizioni di poter alleggerire la situazione e, dunque, preparare la sua uscita di scena dopo i colloqui di Ginevra.
Le autorità di Tripoli e quelle della Libia orientale dovrebbero giungere a un accordo relativo a una nuova forma di Consiglio presidenziale, che riunisca le due diverse amministrazioni (Tripoli e Tobruk) e convochi le elezioni, uno sviluppo che dovrebbe venire accolto favorevolmente dagli alleati di Haftar nella regione.
Infatti non sarebbero certamente pochi i segnali che si leggono tra le righe nelle cancellerie estere e non solo. A cominciare dall’Egitto, Stato chiave nel Medio Oriente che tutto – per decisione del suo presidente al-Sisi – ha puntato su Haftar. Ma anche al Cairo nell’aria serpeggerebbe una certa insoddisfazione per la piega che ha preso l’avventura libica del generale al comando del Paese, un impegno assai oneroso, seppure giustificato dalla necessità di arginare i Fratelli musulmani, che vedrebbe critici alcuni settori delle stesse forze armate.