Mentre nella capitale libanese si continuano a prestare disperatamente i soccorsi alle vittime del disastro di martedì scorso, aggiornando il bilancio dei decessi – quasi 140 morti, tra di essi anche una cittadina italiana di novantadue anni residente a Beirut e 5.000 feriti – il procuratore militare Fadi Akiki avrebbe convalidato l’arresto di sedici persone ritenute a vario titolo responsabili dell’accaduto, tra le quali figurano anche alti funzionari delle dogane e del porto.
La situazione dal punto di vista sanitario, già non splendida in condizioni normali, è divenuta oltremodo critica, poiché tre ospedali della città sono stati chiusi a seguito dei danni subiti a causa dell’esplosione, mentre altri due, a loro volta colpiti, costretti a un funzionamento ridotto.
Incidente o attentato terroristico? Al momento sulle cause che hanno determinato la violenta esplosione nessuna ipotesi viene esclusa, seppure quella relativa a un incidente sia quella maggiormente accreditata.
Nell’immediatezza dell’evento, Badri Dahar, direttore delle dogane libanesi aveva dichiarato alla stampa che nel magazzino 12 all’interno del porto risultavano depositate sostanze chimiche esplosive che «possono avere causato un’esplosione di tale intensità».
Sempre in quei concitati momenti alcune fonti di informazioni estere rendevano poi noto che nella parte superiore del magazzino in fiamme vi erano dei fuochi d’artificio, mentre i locali situati nel sotterraneo erano stati adibiti a deposito di armi, «probabilmente da Hezbollah», si affermava.
In seguito, il responsabile dell’Intelligence e della sicurezza libanese aveva invece precisato che gli esplosivi confiscati alla milizia sciita diversi anni fa erano stati depositati in un altro magazzino situato nei paraggi, questo mentre altre fonti riconducibili agli apparati di sicurezza del Paese confermavano la versione secondo la quale l’incendio sarebbe divampato in un magazzino di fuochi d’artificio per poi diffondersi in quelli vicini, dove erano state immagazzinate notevoli quantità di nitrato di ammonio, che hanno quindi generato la seconda, tremenda, esplosione.
“Al Manar”, emittente televisiva satellitare di Hezbollah sposava infine l’ipotesi secondo la quale tutto sarebbe iniziato con un corto circuito e, sostanzialmente allineata, anche “Al-Mayadeen” – altra emittente televisiva libanese – riaffermava che «l’incidente non sarebbe stato il frutto di un atto terroristico».
Precedenti simili. Quelle mostrate di seguito sono alcune immagini riprese nell’immediatezza di tre catastrofiche esplosioni verificatesi in tre differenti Paesi che potrà essere utile confrontare tra loro.
Si tratta, nell’ordine, dell’esplosione al porto di Beirut verificatasi martedì scorso, di quella dell’enorme impianto chimico di Tolosa, in Francia (avvenuta nell’ottobre 2001, che provocò 30 morti e 2.000 feriti – allora vennero diffusi rapporti di intelligence che attribuivano la causa a un attentato perpetrato da al-Qaeda, ma il governo di Parigi negò decisamente questa possibilità) e dell’incidente verificatosi nel porto cinese di Taijin nell’agosto 2015, provocato dall’esplosione di sostanze chimiche (in quel caso i morti furono 800).
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Stefano Scaini, l’esperto di esplosivi e di balistica interpellato da insidertrend.it per comprendere di più sul caso, escluderebbe però l’ipotesi terroristica.
«Il quadro della situazione delineato nell’immediatezza dell’evento viene avvalorato oggi da qualche elemento in più divenuto in seguito disponibile – afferma Scaini -, poiché, tutto sommato, si tratta di un evento che, anche ripercorrendo casi simili negli ultimi trenta anni, confermerebbe l’incidente. Infatti, il punto dell’esplosione nel porto di Beirut coincide con i silos dove erano state stoccate le ingenti quantità di nitrato di ammonio».
Nitrato di ammonio. Il nitrato di ammonio è uno dei componenti utilizzato nella produzione sia di esplosivi che, però, di fertilizzanti, esso rientra infatti nell’elenco delle sostanze a cosiddetto uso duale.
Esso, se mescolato ad altre sostanze (come ad esempio il gasolio) forma un esplosivo detonante, ma se preso in sé, se innescato non esplode, reagendo invece con violenza nel senso della combustione, mentre qualora si trovi in grandi quantità accumulato in un “contenitore” come un silos, può giungere a produrre effetti di natura esplosiva, seppure permanga preponderante l’aspetto combustivo.
«Inoltre – prosegue Scaini – il colore del fumo prodotto dall’esplosione e quello delle polveri sollevate non indurrebbe a ritenere che si sia trattato di una detonazione di un esplosivo ad alto potenziale come potrebbe essere il plastico, impiegato in ambiti militari».
In una zona portuale come quella interessata dall’esplosione è normale che vengano stoccate a distanze ravvicinate sostanze quali, ad esempio, zucchero, cereali, segatura di legno, quindi esiste il rischio che si vengano a creare della atmosfere definite “potenzialmente esplosive”.
«Io tenderei quindi a escludere la matrice terroristica del fatto – sottolinea Scaini -, propenderei invece per un incidente rilevante di natura industriale, ma ovviamente, se dei terroristi avessero fatto esplodere un auto-bomba in prossimità di un silos contenente queste sostanze, incluso il nitrato di ammonio, avrebbero ottenuto il medesimo effetto di quello provocato dal disastro di martedì scorso, poiché queste ultime andrebbero ad amplificare l’effetto dell’esplosione dell’auto-bomba».
Si tratta dunque di sostanze pericolose in grado di venire innescate mediante una esplosione di entità di molto minore.
Si pensi a un molino dove si produce farina, cioè un impianto che secondo le norme di sicurezza ATEX dovrebbe essere monitorato continuamente e nel quale il rapporto aria/polveri di farina potrebbero condurre l’atmosfera interna a condizioni tali da essere potenzialmente esplosiva.
In questi casi non sarebbe necessario fornire l’adatta causa esterna per mezzo di una sostanza esplosiva di innesco, poiché basterebbe la scintilla generata dal colpo di un martello su un chiodo che viene piantato nel muro, cioè un’attività di manutenzione ordinaria effettuata senza seguire le previste procedure di sicurezza.
«Se al porto di Beirut fossero state coinvolte nell’esplosione anche cinque tonnellate di esplosivo al plastico, la differenza in termini di magnitudo non sarebbe apprezzabile. Per altro, l’onda d’urto (onda di sovrappressione) visibile nei vari filmanti postati in rete o trasmessi dalle televisioni ha viaggiato a una velocità di molto inferiore a quella che sarebbe stata provocata da un esplosivo di natura militare».
Fumo e vapore. Inoltre, la nube bianca che si è visto espandersi al momento dell’esplosione era vapore, cioè aria in condensazione generata dalla combustione (a temperature elevatissime) del nitrato di ammonio che, conseguentemente, genera quantità enormi di calore elevato che, incontrando la temperatura dell’atmosfera imperturbata, ha generato a sua volta una mole di migliaia di metri cubi di vapore.
«Questo mentre il colore dei fumi dell’esplosione sono bruniti e non neri, come invece si sarebbe dovuto verificare se a bruciare fossero stati esplosivi di tipico impiego militare, come quelli al plastico, che vengono definiti “a bilancio di ossigeno negativo”, poiché si mangiano tutto l’ossigeno che trovano attorno a loro. Inoltre, se il plastico fosse stato presente in quantità rilevanti non si sarebbe generata quella nube bianca di vapore».