CRIMINALITÀ estorsioni sessuali. Sextortion. Più in rete, più nella rete: l’aumento esponenziale delle vittime

L’aumento del tempo trascorso in rete in conseguenza dei «lockdown» disposti durante la pandemia da Covid-19 ha contribuito alla crescita esponenziale dei casi. La necessaria trasformazione di ogni tipo di rapporto interpersonale in comunicazione virtuale ha favorito l’incontro tra i criminali e le loro vittime, spesso minori

di Valentina Guerrisi (avvocato), Asia Vozzella, Marco Della Bruna, pubblicato su DV, house organ dello Studio legale De Vita il 17 luglio 2020 – L’aumento del tempo trascorso in rete in conseguenza dei lockdown nazionali disposti durante la pandemia da Covid-19 [1] ha contribuito ad una crescita esponenziale dei casi di sextortion.

In tale contesto, la necessaria trasformazione di ogni tipo di rapporto interpersonale in comunicazione virtuale ha favorito l’incontro tra gli estorsori sessuali e le loro vittime, spesso minori.

L’estorsione sessuale è un fenomeno che coinvolge sia adulti che minori e che, soprattutto in riferimento a questi ultimi, ha assunto dimensioni esorbitanti. Un recentissimo studio [2] ha concluso che il 5% degli studenti americani tra i 12 e i 17 anni è stato vittima di tale genere di comportamenti, mentre il 3% ha ammesso di aver minacciato chi aveva condiviso con loro immagini confidenziali.

I dati risultano particolarmente allarmanti se letti alla luce delle conseguenze che tali condotte provocano a chi le subisce. Per rendere l’idea, una ragazza di quattordici anni che ne è stata vittima ha riferito di essersi sentita debole, giudicata da tutti e di aver pensato seriamente al suicidio [3].

E purtroppo, di casi che effettivamente sono terminati in tragedia ve ne sono stati molteplici.

Nonostante, dunque, si tratti di un fenomeno certamente grave e in rapida crescita (almeno 1000 casi l’anno in Italia [4]), lo stesso risulta spesso sconosciuto, sottovalutato oppure confuso con quello, simile solo in parte, del revenge porn. Occorre, pertanto, in primo luogo, fare chiarezza circa l’utilizzo della corretta terminologia.

L’espressione estorsione sessuale o, come ormai viene comunemente chiamata, sextortion (dalla crasi delle parole “sex” ed “extortion”), raggruppa una serie di condotte estorsive, perpetrate attraverso la rete, caratterizzate dalla minaccia di diffondere immagini o video sessualmente espliciti che ritraggono la vittima, al fine di ottenere qualcosa da quest’ultima.

La sextortion e il revenge porn sono accomunati dall’essere entrambi espressione del più ampio fenomeno della pornografia non consensuale (non consensual pornography – NCP), consistente nella divulgazione di immagini con contenuti sessuali e video pornografici (a prescindere da come questi siano stati acquisiti) senza il consenso del soggetto coinvolto e con esclusione, pertanto, della pornografia commerciale [5].

La particolarità della sextortion, però, risiede nel fatto che la pubblicazione dei contenuti sessuali e pornografici non è unicamente diretta ad umiliare ed offendere la vittima, ma strettamente collegata alla coartazione della volontà di quest’ultima, al fine di estorcerle, nella maggior parte dei casi, denaro o ulteriore materiale pornografico autoprodotto.

Sebbene siano tutte accomunate dall’utilizzo di strumenti digitali, diverse sono le modalità impiegate per ottenere il materiale con cui ricattare la vittima, facendo leva sulla paura e sulle sue vulnerabilità. In primo luogo, vi sono le immagini inviate consensualmente dal soggetto prescelto, il quale viene adescato sui social network, sulle chat online, ovvero ancora, sui siti di incontri.

Definito come “catfishing”, tale schema si sostanzia nella creazione di un profilo falso al fine, non solo di garantirsi l’impunità, ma anche di simulare un’identità che faciliti l’affidamento della vittima, sicché quest’ultima sia indotta all’invio delle immagini che saranno poi oggetto del ricatto.

Sempre di invio consensuale si tratta nel caso di utilizzo di immagini e video ottenuti nel corso di una relazione sentimentale, affettiva o di qualunque genere. Tale modalità si differenzia dalla precedente in ragion del fatto che l’estorsore sfrutta il preesistente rapporto con la vittima, dando così maggior concretezza alla minaccia.

Vi sono, infine, i contenuti ottenuti “hackerando” i computer delle vittime: in alcuni casi si accede alla memoria del dispositivo al fine di prelevare il materiale compromettente, in altri, invece, si acquisisce il controllo della telecamera e del microfono nell’intento di carpire immagini e video del soggetto intento in atteggiamenti intimi.

Mentre tale ultima modalità è strettamente legata all’utilizzo di competenze informatiche che permettano di appropriarsi del materiale senza che sia necessaria la collaborazione della vittima – così che quest’ultima viene a conoscenza di quanto in possesso dell’estorsore solo una volta esplicitata la minaccia – le prime due sono inscindibilmente connesse al fenomeno del sexting.

Termine ancora una volta frutto di una crasi (“sex” e “texting”), che indica l’invio di messaggi, immagini o video a sfondo sessuale o sessualmente espliciti tramite dispositivi informatici portatili o fissi [6]. Si tratta, all’evidenza, di un comportamento prodromico al successivo ricatto che troppo spesso viene attribuito solo agli adolescenti, ma che in realtà riguarda persone di ogni età.

La difficile analisi dei dati. Sebbene sia intuitivamente percepibile il recente e repentino incremento del fenomeno della sextortion a causa del suo stretto collegamento con il mutamento delle relazioni da una dimensione puramente analogica ad una prevalentemente digitale, cambiamento di cui tutti al giorno d’oggi siamo testimoni, fornire dati certi in materia risulta molto complesso per tre ordini di ragioni:

in primo luogo, non esistono report provenienti da fonti istituzionali sulla materia in grado di produrre dati ufficiali e generalizzati;

inoltre, lo studio statistico risente fortemente della confusione terminologica di cui sopra si è parlato (le ricerche, in effetti, prendono in esame diversi comportamenti a seconda dell’ampiezza del significato che si intende dare al termine sextortion);

infine, i dati relativi alle condotte denunciate non rappresentano che la punta dell’iceberg.

Il fenomeno, infatti, in ragione delle sue intrinseche modalità che fanno leva sul senso di vergogna e di umiliazione delle vittime, rimane per la maggior parte sommerso.

Nonostante ciò, vi sono stati tentativi di studiare la sextortion, sia da un punto di vista quantitativo che qualitativo.

Il primo studio approfondito è stato portato avanti dalla Brookings Institution, un’organizzazione no profit con sede a Washington, la quale nel maggio del 2016 ha pubblicato un report riferito all’attività di 78 soggetti che avevano posto in essere condotte estorsive nei confronti di 3.000 vittime [7].

Da tale raccolta di dati prende le mosse un interessante articolo, pubblicato sul giornale online “Lawfare” nel marzo del 2019 [8], ove si rileva come successivamente al predetto report, e nonostante alcuni Stati americani (Alabama, Arkansas, California, Texas, and Utah) abbiano introdotto nel loro ordinamento il reato di sextortion, ancora non sia stata effettuata una raccolta di dati ufficiali. L’Attorney General dell’epoca, Loretta Lynch – alla quale era stato chiesto se il Dipartimento di Giustizia stesse raccogliendo elementi in proposito – ha spiegato che formare un database sarebbe un compito particolarmente complesso proprio in ragione delle menzionate difficoltà nella raccolta dei dati [9].

Benché ciò sia indubbiamente vero, tale circostanza certamente non esonera le autorità pubbliche dallo studio del fenomeno nel suo complesso.  A causa della totale assenza di dati istituzionali, dunque, l’autrice dell’articolo ha deciso di condurre una ricerca personale che ha portato all’identificazione di altri 124 presunti estorsori e migliaia di ulteriori vittime, il che appare quanto meno sconcertante se si considera che il solo periodo considerato è quello successivo alla pubblicazione del report di Brookings (nella specie dal 18/4/16 al 24/7/18).

Al contrario, il fenomeno ha ricevuto maggiore attenzione in riferimento a comportamenti perpetrati in danno di vittime minorenni.

Del tema si è occupato l’Europol con il report “Online sexual coertion and extortion as a crime affecting children. Law enforcement perspective”, pubblicato nel maggio del 2017. Lo studio ha portato ad affermare che la maggior parte delle condotte poste in essere nei confronti dei bambini sono finalizzate all’acquisizione di ulteriore materiale, sempre più esplicito, ritraente il minore (78% del totale dei casi analizzati).

Per quanto riguarda, invece, le minacce finalizzate all’ottenimento di un profitto economico, si è rilevato che le stesse sono prevalentemente condotte da organizzazioni criminali che hanno base al di fuori dei confini dell’Unione Europea.

Un altro fondamentale contributo all’approfondimento della materia è stato dato da Thorn [10], un’associazione non governativa, fondata nel 2012 da Demi Moore e Ashton Kutcher, il cui scopo è quello di affrontare il ruolo della tecnologia nella facilitazione del traffico di esseri umani e lo sfruttamento sessuale dei minori.

La fondazione ha condotto due ricerche sulla sextortion, la prima nel 2015 e la seconda nel 2017.

Mentre nella prima era stato preso in considerazione un campione di soggetti di età compresa tra i 18 e i 25 anni, nella seconda la fascia di età è stata ampliata dai 13 ai 25.

Il confronto tra i due studi ha portato ad affermare che le vittime più giovani sono più facilmente adescate attraverso l’utilizzo della rete (più del 60% nel caso di vittime tredicenni e più del 50% delle vittime quattordicenni), mentre con il crescere dell’età aumenta la percentuale delle vittime che conoscevano già in precedenza l’estorsore.

La ricerca ha poi rilevato che nel 62% dei casi le vittime hanno ceduto al ricatto nella speranza che quest’ultimo cessasse, ma che nel 68% di tali casi le richieste e le minacce sono divenute più frequenti. Infine, è emerso che il 56% delle vittime ha raccontato la vicenda alla propria famiglia o ad amici, il 26% ha riportato l’accaduto alla piattaforma online e solo il 17% si è rivolto alle forze dell’ordine.

Questi e gli ulteriori dati acquisiti attraverso i vari studi, lungi dall’essere di rilievo puramente accademico, sono di fondamentale importanza per contrastare il fenomeno nelle sue diverse forme.

È, in effetti, evidente che una strategia efficace dovrà essere parametrata alla specifica modalità di consumazione del reato, variando a seconda che si tratti di adulti o di minori, che la vittima sia adescata su internet ovvero vi sia abuso di una relazione precedente, ovvero ancora in base alla piattaforma utilizzata.

Gli strumenti di contrasto. Per ciò che riguarda il profilo strettamente giuridico, nel nostro ordinamento non esiste un vero e proprio reato di estorsione sessuale e la normativa potenzialmente applicabile non risulta adeguata a fronteggiare il fenomeno.

Sebbene nel 2019 sia stata introdotta con il cosiddetto «Codice Rosso» la nuova fattispecie di diffusione illecita di immagini e video sessualmente espliciti, di cui all’art 612-ter c.p. [11], risulta evidente che la stessa sia pensata e costruita in relazione al fenomeno del revenge porn che, come si è già detto, è affine ma non sovrapponibile a quello in esame.

Non è previsto, infatti, l’elemento della coartazione della volontà della vittima, tipico dell’estorsione. Tuttavia, neanche la fattispecie di estorsione di cui all’art. 629 c.p. risulta formulata in modo tale da ricomprendere tutte le condotte annoverabili nel fenomeno della sextortion.

Quest’ultima, infatti, incrimina il comportamento di chiunque, mediante violenza o minaccia, costringendo taluno a fare o ad omettere qualche cosa, procura a sé o ad altri un ingiusto profitto con altrui danno.

La giurisprudenza, però, è ormai unanime nel sostenere che il danno procurato dall’estorsore deve avere carattere patrimoniale, sicché il reato in esame non si configura nel caso in cui quest’ultimo richieda alla vittima l’invio di ulteriore materiale pornografico per appagare il proprio istinto sessuale.

In talune ipotesi, invece, è stato ritenuto applicabile il delitto di violenza sessuale di cui all’art. 609-bis c.p. in quanto, pur in mancanza di contatto fisico tra autore e vittima, la condotta tenuta denota l’intenzione di raggiungere l’appagamento dei propri istinti sessuali e l’idoneità a violare la libertà di autodeterminazione della vittima nella sfera sessuale [12].

Da tale breve accenno al panorama giuridico italiano emerge, dunque, l’assenza di una disciplina unitaria che sia idonea a circoscrivere le condotte penalmente rilevanti e ad assicurare una tutela effettiva ed omogenea a coloro i quali hanno tristemente subìto tale fenomeno.

Un quadro analogo si rileva anche in riferimento al sistema giuridico degli Stati Uniti. Volgendo lo sguardo ad occidente, infatti, si nota come, nonostante quasi tutti gli Stati abbiano introdotto leggi volte a punire la diffusione non consensuale di immagini intime, molti di essi continuano a perseguire la sextortion facendo ricorso a reati non specifici, quali l’estorsione, le molestie, la corruzione e la pornografia infantile [13].

Inoltre, sebbene altri Stati abbiano, invece, provveduto all’introduzione di un apposito reato di estorsione sessuale – Arkansas e Utah in testa – tale fattispecie non è ancora stata prevista da un’apposita legge federale. Si tratta, in effetti, di una grave lacuna, in quanto il crimine in esame, essendo perpetrato attraverso la rete, presenta un’intrinseca capacità di travalicare i confini dei singoli Stati.

Ferma restando la necessità di interventi legislativi specifici, è chiaro che la guerra contro la sextortion deve essere combattuta, prima di tutto, sul piano della prevenzione.

A tal proposito varie sono le campagne lanciate per sensibilizzare l’opinione pubblica sul tema, anche se la maggior parte riguardano esclusivamente i comportamenti di estorsione sessuale posti in essere nei confronti di vittime minorenni.

Prima tra tutti si annovera la “Say No Campaign” [14] portata avanti dall’Europol per informare i giovani e spingerli ad avere un comportamento più consapevole sulla rete.

La campagna “stopsextortion.com” [15] dell’ONG Thorn, inoltre, sottolinea l’importanza di de-stigmatizzare la vittima. Il senso di vergogna e di umiliazione che induce molti a non cercare aiuto deriva, infatti, dalla paura di essere giudicati, quando, piuttosto, il giudizio della società dovrebbe incentrarsi sull’estorsore e non sulla vittima.

La responsabilità degli Internet providers. Un tema particolarmente spinoso è quello del ruolo dei gestori delle piattaforme online attraverso le quali le condotte vengono perpetrate.

Nella specie, la responsabilità dell’internet service provider (ISP), ossia l’intermediario di servizi internet che fornisce agli utenti i mezzi per la trasmissione, connessione, comunicazione e memorizzazione dei dati online, è regolata dalla direttiva 13/2000 CE sul commercio elettronico, recepita in Italia con il d.lgs. 70/2003, la quale esenta il provider da un obbligo di controllo preventivo a condizione che quest’ultimo non sia effettivamente a conoscenza dell’illiceità del contenuto e che, una volta che lo stesso ne apprenda l’esistenza, si adoperi per la rimozione.

Si tratta di un’applicazione del principio di neutralità della rete il quale prevede, per l’appunto, che sul provider non possa gravare un obbligo di verifica preventiva di quanto pubblicato dagli utenti poiché, per un verso, si tratterebbe di un compito troppo gravoso a causa della vastità dei dati immessi quotidianamente nelle piattaforme, per altro verso, l’intento di prevenire le condotte criminose attraverso una preventiva censura dei contenuti porrebbe delicati problemi di bilanciamento con la libertà di espressione del pensiero, sancita nel nostro ordinamento all’art. 21 della Carta Costituzionale.

Tuttavia, richiedere l’aiuto degli ISP e delle piattaforme su cui vengono trasmessi i contenuti e avvengono le estorsioni è consigliato anche dalle forze dell’ordine [16]. In particolare, molti fornitori di servizi online adottano delle policy volte ad evitare comportamenti impropri nel servizio ma che, al contempo, garantiscano a tutti la liberà di esprimersi.

Ne costituiscono un esempio gli Standard della community del social network Facebook [17], attivamente impegnato nella lotta contro i fenomeni come quello in esame.

Gli elementi potenzialmente contrari agli standard vengono selezionati sia da un sistema di intelligenza artificiale, che attraverso le segnalazioni degli utenti, per poi passare al vaglio dei moderatori (cosiddetti Team di Community Operations). Sono, in definitiva, questi ultimi a prendere le decisioni concernenti la eventuale rimozione dei contenuti e le sanzioni da applicare.

A tal proposito, un’inchiesta portata avanti dal “Guardian” [18] ha rivelato che gli analisti, dipendenti delle società a cui Facebook esternalizza la moderazione, hanno in media dieci secondi per decidere se un contenuto violi gli standard della community, con le evidenti ripercussioni in punto di qualità del servizio.

La causa è certamente l’enorme mole di materiale che deve essere vagliato; per dare un’idea, in un solo mese il social network ha esaminato all’incirca 54.000 potenziali casi di revenge porn e sextortion, con conseguente disattivazione di 14.000 account [19].

Per quanto, dunque, possano essere implementati i meccanismi di moderazione, è chiaro che tanto l’attività di prevenzione, quanto i rimedi successivi, non possano essere affidati in via esclusiva a soggetti privati.

Appare evidente, pertanto, come il primo passo da muovere sia sul fronte della ricerca. Una profonda comprensione del fenomeno è, infatti, necessaria per l’introduzione di fattispecie idonee a contrastarlo in maniera efficace.

A ben vedere, in effetti, quella in esame costituisce un’evoluzione delle già conosciute forme di abuso sessuale, dalle quali si differenzia, in primo luogo, sotto il profilo dell’autore del reato.

Quest’ultimo si caratterizza per essere particolarmente disinibito, spesso forte dell’anonimato consentito dalla rete e, dunque, della consapevolezza di poter essere difficilmente identificato.

La distanza causata dal mezzo impiegato e la conseguente assenza di contatto fisico tendono a sfumare la percezione di erroneità della propria azione, riducendo il timore di una sanzione sociale e giuridica.

La sextortion, inoltre, così come gli altri cybercrimes, presenta la connaturata potenzialità di oltrepassare qualsivoglia confine fisico, anche statuale, sicché non si rende più necessaria la compresenza dei soggetti coinvolti.

Al contrario, la vittima può veder lesa la propria intimità anche nel luogo ove si sente più protetta. L’illusoria sensazione di sicurezza percepita tra le mura della propria casa, infatti, la espone ancora di più a contatti pericolosi con soggetti abili a sfruttarne la vulnerabilità. Il legislatore, dunque, dovrebbe intervenire quanto prima, in modo da apprestare una tutela idonea nei confronti delle potenziali vittime.

Nell’immediato risultano sicuramente molto utili le indicazioni fornite dalle Forze dell’ordine che, tanto in Italia quanto in altri Paesi, consigliano di bloccare i profili degli estorsori e denunciare immediatamente i fatti, senza temere di essere giudicati [20].

Agire rapidamente, infatti, può essere vitale per fermare subito una possibile diffusione del materiale oggetto dell’estorsione. Nonostante ciò, in molti casi, la paura e il senso di umiliazione sono talmente forti da spingere la vittima, terrorizzata all’idea di vedere esposto in pubblico il suo lato più intimo, a cedere al ricatto. Parte del problema, infatti, è proprio la generale tendenza ad incolpare la vittima (cosiddetto victim blaming), che contribuisce a rendere maggiormente efficace il meccanismo estorsivo.

Un approfondito studio delle diverse modalità e degli effetti delle condotte di estorsione sessuale consentirebbe, inoltre e soprattutto, una prevenzione efficace. In tale prospettiva, sarebbe necessario sensibilizzare sempre di più i minori sui pericoli connessi alla produzione e all’invio di proprie foto e video intimi in rete.

Allo stesso tempo, la società e le istituzioni dovrebbero impegnarsi attivamente nella condanna del victim blaming e promuovere azioni di sostegno concreto in favore delle vittime, affinché non si sentano isolate e costrette a ricorrere a gesti estremi.

[1] https://www.europol.europa.eu/newsroom/news/exploiting-isolation-sexual-predators-increasingly-targeting-children-during-covid-pandemic;
[2] Patchin, J. W., & Hinduja, S. (2020). Sextortion Among Adolescents: Results From a National Survey of U.S. Youth. Sexual Abuse32(1), 30–54 https://doi.org/10.1177/1079063218800469 in “Countering Technology-Facilitated Abuse. Criminal Justice Strategies for Combating Nonconsensual Pornography, Sextortion, Doxing, and Swatting”, Amanda R. Witwer, Lynn Langton, Michael J. D. Vermeer, Duren Banks, Dulani Woods, Brian A. Jackson;
[3] “It made me feel worthless. Everyone at school pegged me as a slut off of some weak moments, and it made me very depressed. I had honestly thought suicide was the answer for a while”-  https://www.thorn.org/wp-content/uploads/2019/12/Sextortion_Wave2Report_121919.pdf;
[4] Dario D’Elia, “Estorsioni a sfondo sessuale via mail, l’Italia fra i paesi più colpiti. Ecco come difendersi”, repubblica.it, 22 aprile 2020.
[5] Cfr. R. De Vita – M. Della Bruna, “Non consensual pornography: dal revenge porn alla sexual extortion” -https://www.devita.law/non-consensual-pornography-dal-revenge-porn-alla-sexual-extortion/
[6] http://www.treccani.it/vocabolario/sexting_%28Neologismi%29/;
[7] https://www.brookings.edu/research/sextortion-cybersecurity-teenagers-and-remote-sexual-assault/;
[8] https://www.lawfareblog.com/new-data-sextortion-124-additional-public-cases;
[9] https://www.documentcloud.org/documents/3006080-Sextortion-Letter.html;
[10] https://www.thorn.org/sextortion/;
[11] Tale fattispecie punisce la condotta di chi, dopo averli realizzati o sottratti, invia, consegna, cede, pubblica o diffonde immagini o video a contenuto sessualmente esplicito, destinati a rimanere privati, senza il consenso delle persone rappresentate,
[12] Cass. Pen., Sez III 12/10/2006, n. 34128
[13] https://www.hg.org/legal-articles/sextortion-should-it-be-a-federal-crime-53756;
[14] https://www.europol.europa.eu/activities-services/public-awareness-and-prevention-guides/online-sexual-coercion-and-extortion-crime;
[15] https://www.stopsextortion.com/;
[16] https://www.facebook.com/commissariatodips/photos/sextortion-la-polizia-postale-e/646825392145812/
[17] https://www.facebook.com/communitystandards/child_nudity_sexual_exploitation; https://www.facebook.com/communitystandards/sexual_exploitation_adults;
[18] https://www.theguardian.com/news/2017/may/21/revealed-facebook-internal-rulebook-sex-terrorism-violence;
[19] https://www.theguardian.com/news/2017/may/22/facebook-flooded-with-sextortion-and-revenge-porn-files-reveal;
[20] https://www.nationalcrimeagency.gov.uk/what-we-do/crime-threats/kidnap-and-extortion/sextortion-webcam-blackmail

A219 – SOCIETÀ, CYBERCRIME: REVENGE PORN E SEXUAL EXTORTION. La «pornografia non consensuale» (NCP) è un fenomeno sempre più diffuso e in grado di colpire chiunque non sia adeguatamente informato sui rischi del web.

Spesso le vittime di tali attività criminali sono minorenni e nella metà dei casi verificatisi giungono addirittura al suicidio; insidertrend.it ha trattato questo spinoso tema e i suoi addentellati con il professor ROBERTO DE VITA, avvocato che presiede l’Osservatorio sulla cyber security dell’Eurispes.

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