CULTURA, Trieste. I centodieci anni di Dorfles e la presentazione del catalogo della mostra “Il segno rivelatore di Gillo”

Eclettismo e genialità, sperimentazione e innovazione, interdisciplinarietà delle arti: questo fu il raffinato intellettuale che visse tra la sua città, New York e Milano. Martedì 23 giugno Marianna Accerboni, curatrice del volume, presenterà «da remoto» l’opera

Il prossimo martedì 23 giugno ricorreranno i centodieci anni dalla nascita di Gillo Dorfles, il poliedrico e originale artista triestino scomparso a Milano nel marzo di due anni fa.

Il genetliaco del geniale sperimentatore del disegno pittorico, che caratterizzò la propria attività a cavallo dell’Atlantico implementando il concetto innovatore dell’interdisciplinarietà delle arti, sarà dunque l’occasione per proporre il catalogo della mostra “Il segno rivelatore di Gillo”, ideato e curato – così come la mostra – da Marianna Accerboni, la cui realizzazione è stata resa possibile anche grazie al contributo dall’Associazione culturale Gillo Dorfles e al fondamentale sostegno della Fondazione CRTrieste e del Rotary Club Trieste Alto Adriatico.

Alle ore 12:00 di martedì, collegandosi da remoto dalla Sala conferenze della Biblioteca statale Stelio Crise nella città giuliana – laddove la rassegna è allestita -, l’architetto Accerboni presenterà dunque in diretta dal suo profilo Facebook (www.facebook.com/marianna.accerboni) questo apprezzabile catalogo che contiene i riferimenti a opere, documenti e testi di Dorfles, molti dei quali inediti.

All’evento interverranno anche l’assessore alla Cultura del Comune di Trieste Giorgio Rossi, la direttrice della Biblioteca Francesca Richetti e il presidente del Rotary Club Trieste Alto Adriatico Giancarlo Cortellino.

Il video della presentazione permarrà visibile sul profilo facebook di Marianna Accerboni e sarà inoltre inserito nel suo sito web, all’indirizzo http://www.mariannaaccerboni.com/, nonché sul suo canale Youtube: https://www.youtube.com/user/MariannaAccerboni:

Tra sperimentazione e creatività. È difficile sintetizzare in poche righe strette dagli spazi giornalistici di un articolo per una testata Online ciò che è stato e ha fatto il longevo artista e sperimentatore nato in una città stimolante e al contempo attraversata negli anni di Dorfless da successive radicali trasformazioni con il loro corollario di inquietudini e speranze come Trieste.

Dorfles vide la luce nell’ultimo, breve periodo, nel quale la città era ancora il principale porto dell’Impero austroungarico, la florida «Città imperiale», così come venne definita fino alla sconfitta di Vienna nella Prima guerra mondiale.

La pubblicazione a cura della Accerboni, anch’ella triestina, si articola in quattro sezioni (disegno, design, documenti e foto, selezione di artisti del Friuli Venezia Giulia dei quali egli si era occupato), riflettendo appieno spirito e corpo della rassegna, introducendo tuttavia anche delle novità.

Infatti, in apertura del volume si trova un testo critico che delinea un ritratto inedito del Dorfles uomo e come artista che sottolinea in modo marcato come il disegno costituisse l’elemento fondamentale della sua creatività, che la Accerboni definisce «disegno pittorico».

Quindi la sperimentazione più ardita, espressa negli anni tra il 1933 e il 1957. In questo senso risultano di estremo interesse i dettagli, meticolosamente riportati dalla curatrice, frutto delle testimonianze dirette rese dal Dorfles medesimo, relative alla frequentazione del critico (assieme al gallerista triestino Leo Castelli, suo grande amico di gioventù) della Cedar Tavern, un bar ristorante di New York al margine orientale del Greenwich Village, dove si ritrovavano scrittori e artisti dell’avanguardia.

Inoltre, il Black Mountain College nella Carolina del Nord, importante incubatore della sperimentazione americana ed europea che trovò la sua forma anche attraverso il concetto innovatore dell’interdisciplinarietà delle arti, del quale furono protagonisti, tra gli altri, compositori dello spessore di John Cage, pittori come Robert Rauschenberg e coreografi rivoluzionari come Merce Cunningham.

Le parole, le storie e i concetti. Segue un’intervista inedita della nipote Giorgetta allo zio. Raccolta nel 2017, ripercorre la vita e i diversi successivi passaggi nell’esperienza e nell’approfondimento intellettuale e artistico che, infine, avrebbero condotto Dorfles all’elaborazione del proprio linguaggio filosofico e artistico. Passaggi che richiamano l’interesse per le teorie di Rudolf Steiner, padre dell’antroposofia, che Dorfles aveva condiviso con la madre e influenzarono la sua arte.

Quindi gli anni Quaranta, intenso periodo di attività non soltanto pittorica, poiché a esso risalgono la realizzazione delle sue prime ceramiche, opere realizzate nella proprietà di famiglia a Lajatico, nel Volterrano, dove i Dorfles si erano rifugiati durante la Seconda guerra mondiale.

Nell’intervista egli spiega poi le motivazioni e il significato del conseguimento della laurea in medicina con specializzazione in psichiatria, la sua successiva esperienza nell’ambiente manicomiale di Trieste e il rapporto tra arte e psichiatria.

Nel corso dello studio preparatorio per il catalogo è emerso poi un nuovo documento che si aggiunge ai numerosi inediti ritrovati dalla curatrice in occasione della rassegna. Si tratta di un curioso libretto in versi dal titolo “Le laudi tergestine. Elogio poetico di sessanta personalità del gran mondo triestino”, pubblicato nella città giuliana dopo il 1925. In queste pagine l’autore – che si firma Cirillo Menapio, pseudonimo di Piero Lustig – dedica un sapido ritratto in rime al giovane Doerfles (come all’epoca si scriveva il suo nome), che già allora si palesava sospeso tra profondità di pensiero e mondanità.

Le rime introducono al mondo scanzonato, tuttavia anche colto e avanzato, della Trieste tra gli anni Venti e Trenta, nella quale il giovane Dorfles si formò a contatto con Svevo, Saba, Leo Castelli, Fini, Bobi Bazlen e altri.

La casa milanese. La sezione dedicata al disegno propone una ventina di bozzetti inediti di animali e personaggi fantastici realizzati alla metà degli anni Cinquanta per i nipoti Piero e Giorgetta e, in una sorta di antologica, l’evoluzione dagli anni Trenta al 2016 del suo segno, declinato in bianco e nero o percorso da un cromatismo originale e acceso. Di seguito, il suo raffinato design per tessuti, tappeti, arazzi, manifesti pubblicitari e servizi da caffè.

Oltre a tutto questo, il catalogo pubblica mosaici, etichette per vini e un gioiello, disegnati da Dorfles e mai esposti, testimonianze emerse nel corso della preparazione della rassegna avvenuta nella casa studio milanese del grande intellettuale, luogo dal quale proviene la maggior parte delle opere e dei materiali in esposizione e che oggi è divenuto la sede dell’Associazione che porta il suo nome.

Gli inediti. Il catalogo della Accerboni raccoglie anche una selezione di documenti inediti, tra i quali una delle cinque lettere scritte tra il  1928 e il 1930 a Dorfless dal suo amico pittore Arturo Nathan, una della figlia di Svevo (Letizia Fonda Savio) e della zia materna di lei e cognata di Svevo (Dora Oberti di Valnera Veneziani), epistole indirizzate al direttore de “La Lettura del Corriere d’Informazione”, scandalizzate perché Dorfles in un suo articolo pubblicato nel 1946 aveva appellato – tra altre osservazioni poco simpatiche – la Villa Veneziani (dove Svevo visse con la famiglia della moglie Livia) come il «patibolo borghese» dello scrittore.

La quarta sezione illustra infine il suo legame con l’arte della sua città d’origine e con quella del Friuli Venezia Giulia, questo attraverso l’esposizione dei lavori di oltre una decina di pittori e scultori di cui si era occupato, quali Leonor Fini, Arturo Nathan e Getullio Alviani, affiancando all’opera di ogni autore un suo testo critico.

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