L’OPINIONE, economia. Tre ragionamenti con i numeri su cosa ha fatto davvero l’Europa e cosa l’Italia

Cosa deve fare l’Italia per avere i fondi europei? La Bce ha varato un corposo programma di acquisti di titoli di Stato, in pro-quota quelli italiani dovrebbero rappresentare il 17% del totale, mentre la Bce ne ha comprati per oltre il 40 per cento. La settimana scorsa il programma è stato quasi raddoppiato: da 750 a 1.350 miliardi.

di Mario Baldassarri (presidente del Centro Studi Economia Reale), pubblicato il 10 giugno 2020 da “Il Sole 24 Ore” – 1. Cosa ha fatto l’Europa. La Bce ha varato un programma di forti acquisti di titoli di Stato. In pro-quota i titoli italiani dovrebbero rappresentare il 17% degli acquisti totali, la Bce (banca centrale europea) ne ha comprati per oltre il 40%; la settimana scorsa il programma è stato quasi raddoppiato da 750 a 1.350 miliardi.

Commissione e Consiglio Europeo hanno messo in campo 540 miliardi di euro con il MES, la BEI ed il Fondo per la Disoccupazione.

Altri 750 miliardi (500 a fondo perduto e 250 di prestiti) dovrebbero provenire dal Recovery Fund. Il 18 giugno il Consiglio Europeo dovrà deciderne concretamente la forma e la sostanza. Speriamo che segua le linee indicate dalla Commissione.

Di questi fondi europei all’Italia potrebbero arrivare circa 250 miliardi: 80 da MES, BEI e Fondo Disoccupazione e 170 dal Recovery Fund, circa 100 dei quali a fondo perduto.

  1. Cosa ha fatto l’Italia. L’Italia ha fatto tre decreti: il Cura Italia per 25 miliardi, il decreto liquidità sbandierato per 400 miliardi, il decreto Rilancio per 55 miliardi.

Ad oggi, il decreto di marzo è operativo ma non a tutti i lavoratori dipendenti è arrivata la cassa integrazione di marzo ed aprile.

Il decreto liquidità si è dimostrato un mero annuncio. La responsabilità penale, che resta anche con la garanzia dello Stato, ha indotto le banche a fare le istruttorie sul merito di credito.

A oggi i prestiti non sono ancora arrivati e, se tutto va bene, saranno attivati 40 miliardi di prestiti e non i 400 miliardi annunciati.

Il decreto rilancio per circa la metà rappresenta la proroga della cassa integrazione e dei sussidi ai lavoratori autonomi. Poi c’è un serie di sussidi ed incentivi sparsi a pioggia. Ma soprattutto rimane un “buco” grave: l’indennizzo a fondo perduto a tutte le imprese per il fatturato perso.

Qui si è messa una toppa minuscola. L’indennizzo a fondo perduto, previsto per le imprese con fatturato inferiore a 5 milioni di euro, ha un tetto massimo di 40.000 euro ed è commisurato alla perdita di fatturato dei mesi di marzo e aprile. Pertanto alla stragrande maggioranza delle piccole e medie imprese, dopo aver dimostrato (come?) un perdita di fatturato superiore al 33%, potrà andare un indennizzo risibile di 1.000-2.000 euro.

Un semplice e rapido indennizzo potrebbe invece essere definito direttamente dalla Agenzia delle Entrate. Si prende il fatturato dichiarato l’anno, lo si divide per 365 giorni all’anno e lo si moltiplica per i giorni di chiusura. Fatti questi semplici conteggi aritmetici si mandano i bonifici alle imprese, magari come acconto e con la riserva di verifiche successive.

Sommando i tre decreti, sperando che siano completamente operativi entro luglio, l’Italia ha messo in campo risorse per un totale di circa 80 miliardi, “un terzo” dei 250 miliardi che potranno arrivare dall’Europa, oltre agli acquisti BCE dei nostri titoli di Stato.

Questi numeri sono la risposta incontrovertibile a quanti hanno sostenuto che l’uscita dell’Italia dall’euro e dall’Europa matrigna sarebbe stata la panacea di tutti i nostri mali.

  1. Cosa deve fare l’Italia per avere i fondi europei. L’Italia potrà avere le risorse europee solo a fronte di riforme strutturali. Fare le riforme però non significa convocare “stati generali” e scrivere la “lista della spesa” elencando le esigenze delle centinaia di diversi settori produttivi.

Responsabilità politica significa invece agire in orizzontale sui fattori della produzione che impattano su tutte le attività economiche. Significa cioè scegliere cinque temi, fare cinque progetti, presentarli al Parlamento in settembre insieme al DEF ed alla legge di bilancio per poi approvare tutto in tempi rapidi e con una solida maggioranza.

La madre-premessa di tutte le riforme è la prossima legge di bilancio per il 2021 che dovrà poggiare su una profonda ristrutturazione delle spese e delle entrate pubbliche. Tagli agli sprechi, malversazioni, ruberie, agevolazione fiscali corporative ed a pioggia e lotta all’evasione dovranno fornire le risorse per una riforma fiscale strutturale che sgravi famiglie ed imprese per almeno 60 miliardi di euro.

Poi si affiancano cinque riforme strutturali con i soldi per realizzarle: sanità (più medici, più infermieri, più presidi territoriali e meno ruberie negli acquisti e nelle forniture), giustizia civile e penale (al centro riforma del CSM e separazione delle carriere), pubblica amministrazione (autocertificazioni e silenzio-assenso in tempi brevi ed automatici), scuola-università (messa a norma di tutti gli edifici scolastici e assunzioni e carriere per meriti verificabili sul campo), piano per il riassetto idrogeologico e le infrastrutture (ferroviarie, stradali, portuali, aereoportuali che unifichi nord/sud-est/ovest e faccia dell’Italia intera la vera piattaforma naturale al centro del mediterraneo), ricerca ed innovazione tecnologica con al centro la riconversione ambientale.

Con questo in tre anni avremmo una ripresa strutturale della crescita tra il 2 ed il 3%, occupazione in aumento e disoccupazione in forte riduzione, conti pubblici in ordine e debito sostenibile.

Senza questo avremo un autunno terribile ed un 2021 a rischio di tempesta perfetta.

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