EGITTO, armi italiane. Navi e poltrone: al-Sisi è un amico oppure un nemico?

La polemica sulla cessione di armamenti al Cairo è incandescente e rischia di riflettersi perniciosamente anche sulla politica, che di questa vicenda è prima protagonista. In attesa di una pronuncia definitiva dell’esecutivo sulla spinosa questione della concessione dell’autorizzazione alle trattative per la cessione delle navi militari (e quindi alla stipula del relativo contratto), alla luce di tutto ciò è lecito interrogarsi sulla figura del committente di questi sistemi d’arma, l’Egitto di al-Sisi; insidertrend.it lo ha fatto intervistando MARCO MASSONI, analista strategico

Nelle aspettative di coloro i quali hanno interesse (di vario genere) alla vendita delle fregate FREMM all’Egitto – realizzate da Orizzonti Sistemi Navali, joint venture tra Fincantieri e Leonardo -, le trattative finali dovrebbero seguire quelle preliminari che ci sono già state, ma esse necessitano dell’autorizzazione ufficiale del Governo.

A questo punto – e alla luce dello scontro politico in atto – non risulta peregrino interrogarsi sull’esito dell’affare, cioè se si arriverà oppure no alla definitiva stipulazione del contratto con lo Stato egiziano?

Il contratto è infatti l’ultimo passaggio del procedimento, quello che nell’iter procedurale segue la pronuncia in merito dell’UAMA (Unità per le autorizzazioni dei materiali di armamento, l’Autorità nazionale preposta alla garanzia dell’applicazione della normativa vigente in materia) dovrà fornire dapprima l’autorizzazione alle trattative e quindi quella all’export, che permetterà alle unità navali di raggiungere fisicamente il Paese arabo acquirente, concludendo così l’operazione commerciale con il Cairo.

Sullo sfondo aleggia una situazione politica difficile, con alcuni partiti che formano la maggioranza che sostiene il Governo Conte 2 apertamente contrari all’operazione e altri (PD e M5S) dilaniati al loro interno sulla questione. Un’eventuale (forse remota) crisi di governo metterebbe in seria difficoltà il procedere dell’iter, ma in questo senso si è soltanto nel campo delle ipotesi, che tuttavia, seppure remote, in questi casi vanno egualmente esplorate tutte.

Nel frattempo, il consenso del Presidente del Consiglio dei ministri alla cessione delle navi – che con la sua telefonata al suo referente egiziano al-Sisi ha generato (meglio: alimentato) la polemica – ci sarebbe, tuttavia non su tratta di un consenso formale deliberato dall’esecutivo nella sua interezza.

Lo scontro politico. E qui, come accennato, sono emersi i distinguo sul caso, che rischiano – come auspicano i pacifisti e gli antimilitaristi – di marcare le divisioni in seno alla maggioranza di governo.

Nello scorso febbraio, la capogruppo del Partito Democratico alla Commissione Esteri della Camera, Lia Quartapelle, aveva evidenziato come «‪le considerazioni politiche da tenere in conto» fossero sostanzialmente due, le marcate divergenze strategiche con l’Egitto rispetto alla Libia e l’ostruzionismo del Cairo riguardo l’inchiesta sul caso Regeni.

«Vendere assetti di guerra a un paese che non condivide, ma anzi avversa la nostra visione strategica sul Mediterraneo – aveva affermato la Quartapelle – non ha senso dal punto di vista della politica estera e, finché le autorità egiziane non collaboreranno per arrivare a un accertamento processuale regolare su chi ha rapito, torturato e ucciso Giulio e sui mandanti, non lo si potrà considerare come un paese con il quale intrattenere normali relazioni tra alleati, poiché non c’è politica commerciale senza politica di sicurezza».

Erasmo Palazzotto – parlamentare di Liberi e Uguali, altro partito di governo e presidente della Commissione d’inchiesta sull’omicidio Regeni – è stato ancora più duro, dichiarando che: «Garantire l’approvvigionamento di armi a un paese come l’Egitto ci fa perdere credibilità, oltre a essere in aperto contrasto con gli impegni assunti da Governo e Parlamento sulla ricerca della verità».

Dichiarazioni inequivocabili che seguivano quelle precedenti del suo collega di partito Nicola Fratoianni, che commentando l’arresto al Cairo di Patrick Zaky, il giovane studente egiziano dell’Università di Bologna, che si era espresso così: «Se pensiamo che c’è qualcuno in qualche ufficio del Governo del nostro Paese che addirittura vorrebbe vendere delle navi militari a questi signori, di fronte a questi fatti è ancora più forte la voglia di chiederne l’allontanamento».

Diversa la condizione del Movimento 5 Stelle, che si trova tra l’incudine della patata bollente nelle mani del suo Presidente del Consiglio e del suo ministro degli Esteri (Di Maio) e il martello della base, in massima parte convinta che per Regeni e Zaky si debbano fare valere le giuste ragioni nei confronti dello Stato egiziano.

Anche qui, però, con degli importanti distinguo, come quello del sottosegretario all’Interno Vito Crimi, capo politico a interim del Movimento, che invece – con un evidente sforzo di equilibrismo comunicazionale – ha difeso l’operazione commerciale con il Cairo affermando che: «Non vendere le fregate all’Egitto non avrebbe portato nessun valore aggiunto nel percorso per raggiungere la verità sulla morte di Giulio Regeni» e che «È comprensibile lo sdegno della famiglia Regeni quando dice di sentirsi tradita dal Governo italiano».

Società civile e antimilitaristi: l’appello al boicottaggio. Chiara invece la posizione delle associazioni pacifiste e della società civile. In un comunicato congiunto, Rete Italiana per il Disarmo e Rete della Pace hanno definito «inaccettabile, oltraggiosa e in aperto contrasto con le norme sancite dalla legge vigente» la possibile imminente autorizzazione da parte del Governo italiano di ingenti forniture militari alle forze armate egiziane, aggiungendo che: «La legge n.185/1990 non solo vieta esplicitamente le esportazioni di armamenti verso i Paesi i cui  governi sono responsabili di accertate violazioni delle convenzioni internazionali in materia di diritti umani, ma prescrive che l’esportazione di materiale di armamento e la cessione della relative licenze di produzione devono essere conformi alla politica estera e di difesa dell’Italia».

da una parte di questa componente della società italiana è giunto addirittura un appello al boicottaggio delle banche che finanziano la produzione e la vendita di sistemi d’arma.

Rilanciando l’appello delle organizzazioni pacifiste, le tre riviste promotrici della Campagna di pressione sulle (la definizione è loro) «banche armate» – cioè Missione Oggi (missionari saveriani), Nigrizia (missionari comboniani) e Mosaico di Pace (movimento Pax Christi),

Essi, nell’invitare le comunità religiose ed ecclesiali, le associazioni e i gruppi territoriali a contattare i propri istituti di credito per chiedere loro «di manifestare pubblicamente il proprio diniego alla concessione di prestiti e servizi finanziari finalizzati alla vendita da parte dell’Italia di armi all’Egitto», hanno altresì suggerito di «valutare la possibilità di trasferire il proprio conto corrente presso banche che hanno assunto una posizione chiara in questa materia, nonché direttive rigorose e trasparenti per quanto concerne il finanziamento e il sostegno alle aziende militari e al commercio delle armi».

In effetti, quello delle cessioni di materiali di armamento all’Egitto è un business non indifferente, in quanto il Cairo si pone in cima alla lista dei paesi non NATO destinatari delle esportazioni delle imprese italiane.

Finché c’è guerra c’è speranza. Secondo le previsioni il Cairo dovrebbe essere destinatario di forniture militari italiane per un ammontare stimato tra i nove e gli undici miliardi di euro.

Oltre alle due citate fregate multiruolo FREMM, anche altre quattro unità navali e venti pattugliatori (che potrebbero essere costruiti nei cantieri egiziani), ventiquattro caccia multiruolo Eurofighter (e qui, riguardo alla variegata linea di volo dell’aeronautica egiziana ci sarebbe da discutere) e altrettanti velivoli da addestramento avanzato M-346.

Nel 2019 le imprese italiane del settore armiero hanno esportato sistemi d’arma per complessivi 5,1 miliardi di euro, cifra che aveva fatto registrare una leggera flessione rispetto all’anno precedente. Tra i principali destinatari dell’export militare italiano figuravano appunto l’Egitto (871 milioni di euro di commesse, principalmente costituite dai 24 elicotteri AW-149 e gli 8 AW-189) e il Turkmenistan (446 milioni di euro).

Ora, la commessa relativa alle fregate FREMM General Purpose – la nave Emilio Bianchi e la Spartaco Schergat – inizialmente destinate alla Marina militare italiana ma poi “stornate” a quella egiziana, avrebbe un valore di oltre un miliardo di euro.

Ovviamente, qualora la cessione dovesse avere luogo, la Marina italiana necessiterà di una compensazione per il “buco” apertosi nel suo programma di rinnovo della propria flotta, che – si afferma – potrebbe venire colmato con l’ingresso in linea (ma in ritardo rispetto ai tempi originariamente previsti) di altre due FREMM, oppure, in alternativa – ma si tratta soltanto di voci di corridoio – ricorrendo per l’immediato ad alcuni nuovi pattugliatori d’altura.

Per il momento Fincantieri resta formalmente proprietaria delle navi che potrebbero venire cedute all’Egitto e, allo stesso tempo, anche custode dei sofisticati apparati tecnologici che in essa sono stati istallati.

L’Egitto è un Paese amico oppure nemico? I sostenitori della cessione delle FREMM la definiscono non soltanto come una operazione di natura commerciale, bensì anche strategica, poiché permetterebbe agli egiziani di rafforzare rapidamente la loro flotta a fronte della necessità di controbilanciare l’attiva presenza militare turca nel Mediterraneo e nell’Africa settentrionale, confermandosi così l’Egitto – essi affermano – il principale partner strategico dell’Italia nella regione assieme all’Algeria.

L’Egitto – proseguono i fautori della cessione -, oltre ad essere il più importante Paese arabo e dell’Africa, è anche un partner al quale l’Italia è legata da rapporti in campo commerciale ed energetico, con l’Eni che opera nel giacimento di gas naturale di Zohr, nelle acque egiziane, inoltre il Cairo risulta rivestire un ruolo fondamentale ai fini della stabilità e degli equilibri nella regione, dunque vitale anche per la sicurezza e gli interessi italiani.

Certamente, va rilevato che sul discusso e controverso committente in questi ultimi due giorni si è detto e scritto di tutto, tuttavia, ispirandosi al pragmatismo e alla realpolitik non gli si può negare la sua importanza nel senso sopra descritto.

Tuttavia, non possono però neppure chiudere gli occhi di fronte alle violazioni dei diritti civili e umani delle quali si rende spesso responsabile il deep state egiziano, dunque diviene lecito interrogarsi su a chi l’Italia andrà a vendere questi sofisticati sistemi d’arma.

I crucci del generale. Non è certamente un segreto che l’Egitto (al pari di altri Paesi della regione alleati dell’Occidente considerati per decenni “moderati”) sia una sostanziale autocrazia, espressione di un relativamente esteso establishment, riconducibile in ultima analisi ai vertici militari, che si mantiene al potere attraverso il ricorso a metodi autoritari, violando non infrequentemente i diritti umani.

Tuttavia, che lo si neghi o meno, l’Egitto permane comunque un importante referente nel Nord Africa e nel Medio Oriente, un referente afflitto da serie problematiche di natura economica e politica che minano la sua stabilità.

Nel quadro degli sconvolgimenti, delle mutevoli alleanze e dei conflitti regionali divampati negli ultimi anni, in parte combattuti per procura, ad esempio non vi è assoluta certezza riguardo a cosa stia davvero accadendo nel Sinai, laddove i servizi di sicurezza interna e i militari egiziani hanno perso il controllo di parte del territorio della penisola e da dove giungono spesso orripilanti fotografie di giovanotti morti ammazzati a colpi di fucile automatico, ai quali le autorità del Cairo si attribuiscono l’appartenenza a organizzazioni terroristiche jihadiste.

In quei luoghi è difficile comprendere bene – almeno per gli osservatori esterni – chi realmente viene ucciso e per mano di chi. Una regione che, per altro, confina con la Striscia di Gaza palestinese, controllata da Hamas.

Poi c’è la crisi libica a ridosso dell’estesa frontiera occidentale, dove lo scontro coinvolge direttamente il Cairo non fosse altro per via della necessità del gruppo di potere che esprime il capo del governo, generale Abdel Fattah al-Sisi, di contrastare i nemici politici e militari dei Fratelli musulmani e gli alleati di questi ultimi, senza contare gli incastonamenti nel complesso mosaico di alleanze e conflittualità del Medio Oriente allargato.

Senza dimenticare il sud depresso del Paese, afflitto da serie problematiche di stress idrico e povertà.

L’argomento è stato trattato da insidertrend.it nel corso dell’intervista con l’analista strategico MARCO MASSONI, il cui audio integrale è possibile ascoltare di seguito.

A249 – EGITTO, CESSIONE DI ARMAMENTI ITALIANI: I RAPPORTI TRA ROMA E IL CAIRO ALLA LUCE DEI CASI REGENI E ZAKY. Prendendo spunto dalla polemica politica divampata a causa della possibile vendita delle fregate FREMM ad al-Sisi, insidertrend.it ha interpellato sulla materia l’analista strategico MARCO MASSONI.

La polemica sulla cessione di armamenti al Cairo è incandescente e rischia di riflettersi perniciosamente anche sulla politica, che di questa vicenda è prima protagonista. In attesa di una pronuncia definitiva dell’esecutivo sulla spinosa questione della concessione dell’autorizzazione alle trattative per la cessione delle navi militari (e quindi alla stipula del relativo contratto), alla luce di tutto ciò è lecito interrogarsi sulla figura del committente di questi sistemi d’arma, l’Egitto di al-Sisi. (11 giugno 2020)

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