ARMIERO, aerospazio. Guerre per procura e droni: nei conflitti si testano i nuovi sistemi da vendere ai belligeranti attuali e potenziali

Il mercato dei droni, macchine sempre più avanzate sul piano tecnologico, non si ferma e se l’Italia ne fuoriesce i possibili acquirenti dei velivoli si rivolgeranno altrove, poiché essi non resteranno certamente privi di questi sistemi d’arma ormai fondamentali in tutte le aree di crisi

di Giuseppe Morabito, generale dell’Esercito italiano, analista presso La NATO College Foundation – Il conflitto in Georgia aveva dimostrato, alla fine dell’ultimo decennio, che le forze armate russe erano in ritardo nell’area dei droni da combattimento (UCAV, Unmanned Combat Air Vehicle oppure, secondo l’acronimo italiano, SAPR, sistemi a pilotaggio remoto), sia per quanto riguarda lo sviluppo dei sistemi sia per l’equipaggiamento delle sue forze. La maggior parte di questi armamenti era stata progettata negli anni Ottanta.

Dieci anni dopo,  prima il conflitto siriano e poi quello in Libia, hanno confermato che è in atto un’importante inversione di tendenza. Secondo dati resi noti dal ministero della difesa russo, Mosca ha dispiegato in Siria più di settanta droni tattici di diversi modelli per le sue missioni belliche, mentre altri sono stati testati in loco al fine di sperimentare nuove procedure.

Infatti, diversi mesi prima del loro intervento nel Paese arabo, le forze speciali dell’Armata russa avevano effettuato missioni di ricognizione e uno dei loro droni era stato intercettato dall’Esercito di liberazione siriano nell’estate del 2015.

È ormai noto che le forze armate russe hanno sperimentato la guerra con i droni anche in aree addestrative in Armenia e, più approfonditamente, nel conflitto nel Donbass (Ucraina).

A differenza delle forze NATO, l’interesse russo per le missioni di guerra elettronica da piccoli droni tattici è notevole, anche perché’ l’Armata russa ha compreso che le comunicazioni a mezzo telefono cellulare erano l’anello debole delle forze armate per ottenere informazioni sulla situazione delle forze nemiche.

La campagna siriana con l’utilizzo dei droni dalle basi di Hmeimim, Aleppo e Palmyra è stata sia un’opportunità per i russi di organizzare in modo chiaro come debba essere condotto l’uso dei droni e di testare modelli che saranno presto distribuiti a tutte le forze armate, sia il modo di proseguire lo sviluppo di microdoni che sarebbero idonei per il combattimento urbano in caso di conflitto con paesi della NATO.

In merito, il Cremlino ha pubblicato in autunno un documento sulla nuova strategia per l’utilizzo intelligenza artificiale affermando che lo sviluppo di algoritmi per il controllo dei droni è una necessità fondamentale.

Ultimamente l’uso da parte di gruppi terroristici islamici di droni è stato oggetto di attenzione da parte di analisti in tutto il mondo.

In particolare per dare una prima spiegazione all’uso dei droni in Medio Oriente bisogna tener presente che negli ultimi anni la Cina Popolare è stata sempre più desiderosa di incrementare il commercio di armi e questo, per le sue industrie belliche, significa vendere estensivamente droni oltre alle armi di piccolo e medio calibro.

Da numerosissime fonti e da prove “sul campo” è ormai certo che le armi cinesi sono utilizzate e vendute in tutto il mondo, compresa la Libia.

In particolare i resti di un missile di sicura fabbricazione cinese indicano un’escalation della guerra dei droni in quell’area.

Infatti, è stato ritrovato un missile LJ-7, che è l’armamento principale del drone cinese Wing Loong.

Il Wing Loong ha caratteristiche simili al drone Predator prodotto dagli Stati Uniti ed è stato venduto ad alcune forze aeree del Medio Oriente, come quelle di Egitto, Emirati Arabi Uniti e Arabia Saudita.

Il Predator è il drone in linea d’impiego anche presso l’Aeronautica militare italiana, che in questi giorni ha reso noto di aver raggiunto le 50.000 ore totali di volo.

Non è  un caso, che sia l’Egitto sia Emirati Arabi Uniti stanno fornendo supporto logistico alla fazione dell’Esercito Nazionale libico (LNA) guidata dal Generale Khalifa Haftar, che sta combattendo contro il governo di accordo nazionale sostenuto politicamente dalle Nazioni Unite.

Gli Emirati hanno finanziato la costruzione della base aerea di Al-Khadim, un ex aeroporto nella provincia di Al-Marj nella Libia orientale e, dal 2016, dispiegano nella base aerei di attacco e droni Wing Loong al fine di fornire la copertura aerea per le forze di Haftar.

La Cina, è noto, sta promuovendo lo sviluppo e l’impiego di droni e secondo fonti del Pentagono alcune stime indicano che Pechino prevede di produrre oltre 42.000 sistemi senza pilota terrestri e marittimi entro il 2023.

In merito, la Rand Corporation – think tank californiano con stretti legami con l’US Air Force – ha reso noto che la diffusione dei droni cinesi potrebbe avere implicazioni preoccupanti anche per gli Stati Uniti.

Dopo la neutralizzazione del Capo del Corpo delle Guardiani della Rivoluzione iraniana e, quindi, del riferimento ideologico dei potenziali combattenti sciiti, Suleimani (e la conseguente messa a nudo della pochezza strategica dell’Iran) è tornata alla ribalta delle cronache – al momento non raggiungibile da nessun altro paese – la capacità statunitense di impiegzo dei droni.

Durante e dopo la guerra del Golfo, l’esercito Usa ha iniziato a far volare droni sull’Iraq, segnale dell’interesse americano ai moderni droni militari. Nell’ultimo decennio, la Central Intelligence Agency ha utilizzato veicoli armati e pilotati a distanza per neutralizzare gruppi di terroristi che si organizzavano per effettuare azioni contro le forze statunitensi in Pakistan e Afghanistan.

La già citata neutralizzazione di Soleimani è stata un perfetto esempio della capacità americana di intraprendere azioni militari contro i terroristi ovunque si nascondano, dimostrando che i droni stanno ora giocano un ruolo chiave nel contrasto alle minacce in ambito internazionale.

Le potenzialità anti drone dell’Iran sono state, quindi, sconfessate dopo la parziale dimostrazione di capacità, lo scorso giugno 2019, quando un drone di sorveglianza americano era stato abbattuto dagli iraniani nello Stretto di Hormuz.

Tornando al conflitto alle porte del nostro paese, in Libia, dopo l’intervento della Turchia, tutto è cambiato quando Erdoğan ha confermato di aver drasticamente aumentato il suo supporto militare alle forze armate del governo di Tripoli di Al-Serraj (GNA) che è anche largamente sostenuto economicamente dal Qatar.

Insieme ai mercenari ex terroristi turcomanni, Ankara ha inviato droni armati di fabbricazione turca, vale a dire il Bayraktar TB2. Più piccolo e con una portata molto più corta rispetto al Wing Loong cinese, che, come precedentemente indicato, viene usato dalle truppe fedeli al Generale Haftar, il Bayraktar è, comunque,  in grado di individuare e distruggere i bersagli di terra del LNA, creare problemi alla logistica delle sue linee di rifornimento e attaccare le basi aeree avversarie che per lungo tempo sono state considerate sicure. Le truppe di terra filo-governative affiancate dai mercenari turchi, al momento, possono operare con copertura aerea e conoscendo le posizioni del nemico.

Proprio la Libia è l’esempio migliore, da portare all’opinione pubblica, di guerra per procura della quale i droni sono uno degli strumenti bellici principali. Le grandi potenze, che sono anche le principali produttrici con le loro industrie, si sfidano in territori “neutri” per loro, sperimentando le possibilità dei loro prodotti e la loro capacità di confrontarsi con i paritetici mezzi delle controparti.

Siria, Donbass, Golfo Arabico (Golfo Persico) sono le altre e più note aree della guerra per procura. Ce ne sono altre, meno note e pubblicizzate dai media, al di fuori della nostra area d’interesse primaria.

In Italia, la Piaggio Aerospace costruisce il drone P1HH (anche con funzioni civili di monitoraggio) che è il fiore all’occhiello della nostra tecnologia aeronautica.

Piaggio Aerospace, in crisi commerciale anche in conseguenza del fermo produttivo dovuto al Virus di Wuhan (Covid-19) ha una forza di lavoro di 980 addetti e il proseguire dell’attività è fondamentale anche per l’indotto d’imprese fornitrici. È noto che sia il Governo Italiano sia il Ministro della Difesa Lorenzo Guerini stanno seguendo la problematica.

Il mercato dei droni non si ferma e se l’Italia esce dal mercato i possibili acquirenti si rivolgeranno altrove, certo non resteranno senza questa tecnologia ormai fondamentale in tutte le aree di crisi.

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