ENERGIA, OPEC Plus. L’organizzazione dei Paesi produttori «traballa»

Secondo Michele Marsiglia (FederPetroli Italia), con un petrolio a 40 dollari al barile Russia e Arabia Saudita ritornano essere “aghi della bilancia”. Loro obiettivo è “fare fuori” il petrolio statunitense e i produttori di shale oil, rendendo il Medio Oriente l’unica grande terra del greggio internazionale

Di Michele Marsiglia, presidente di FederPetroli Italia, Pubblicato su “L’Indro” il 5 giugno 2020 – Come dice il vecchio proverbio «Passato il Santo, passata la Festa». È forse questa l’espressione più adeguata per definire cosa oggi si sta verificando sui mercati internazionali del petrolio e dopo che la già tanto chiacchierata OPEC Plus (Opec+, o «Opec Plus») sta mostrando i propri segnali di debolezza.

Prima di continuare è giusto dare una maggiore chiave di lettura attraverso il come nasce questa organizzazione di affiancamento alle politiche petrolifere.

A fine 2016, l’Opec (Organization of the Petroleum Exporting Countries), con sede a Vienna, decide di voler tagliare la produzione petrolifera totale dei suoi paesi membri che la compongono con un tetto a 1,2 milioni di barili al giorno.

Quando si mettono in atto queste politiche di restrizioni l’obiettivo è quello di sostenere e far crescere le quotazioni dei greggi, che per diversi fattori sono precipitate o hanno subito un brusco calo sul mercato.

Nel finire del 2016 il prezzo al giorno del barile si attestò sui 30 dollari (non lontano dalle quotazioni di oggi). Solitamente le decisioni dell’Opec vengono prese all’unanimità dai membri, ma nel 2016 si decise di far partecipare a questi tagli anche Paesi non-membri dell’organizzazione, come la Russia. Ed ecco la nascita dell’Opec Plus.

Però, Opec Plus, se fino dalla sua nascita ha sempre dato evidenza di una traballante linea politica, oggi, ancor più di ieri, rischia di identificarsi senza alcun che.

Se appena qualche settimana fa, insieme agli analisti e operatori internazionali, eravamo focalizzati ad analizzare le trame più segrete e critiche per l’identificazione di una strategia difensiva sui mercati, in puntuali e imminenti svalutazioni e impennate dei prezzi del greggio, oggi, con un sospiro di sollievo e una boccata di ossigeno più rilassante che questo Covid-19 sta concedendo, rivediamo la stessa immagine di tre mesi fa.

Tutti ricorderete che il prezzo del greggio aveva toccato minimi mai raggiunti nella storia con un Wti (West Texas Intermediate) a meno 37 dollari al barile lo scorso 20 aprile, e il Brent, da nostra parte, ci dava quella speranza di sostegno e garantiva ancora un po’ di fiato a tutti noi da questa parte dell’Oceano che dialoga con il Medio Oriente.

Mesi fa, che il Presidente Donald Trump si fece forte di aver raggiunto un’intesa per il taglio della produzione petrolifera e conseguente mantenimento dei prezzi dei greggi inneggiando a quella pseudo organizzazione allargata del Cartello viennese detto l’Opec ma chiamata in riserva Opec Plus.

Come con FederPetroli Italia avevano annunciato, ci troviamo in poche settimane con una risalita dei prezzi del greggio a 40 dollari a barile.

Ma oggi quelli stessi finti alleati verbali di Trump, cioè Russia e Arabia Saudita, ritornano a essere aghi della bilancia, o meglio, di due bilance che ragionano e operano indipendentemente ma falsamente per un obiettivo comune, far fuori il petrolio statunitense e i produttori di shale oil e rendere il Medio Oriente unica grande terra del petrolio internazionale.

Ieri si sarebbe dovuto svolgere in anticipo il tanto programmato incontro/vertice dell’Opec Plus, ma voci di corridoio hanno annunciato lo spostamento del vertice ufficiale della prossima settimana che, forse salterà nuovamente.

Passato – anche se solo in apparenza – questo periodo di Covid-19, Russia e Arabia Saudita ritornano sulle loro posizioni e, nei prossimi mesi (se non settimane), potrebbe esserci una nuova ondata di greggio sul mercato, stimabile in tre milioni di barili al giorno, ritornando ai livelli delle quote di produzione di tre mesi fa circa, quindi, l’accordo tanto osannato da Trump potrebbe volatilizzarsi.

Se così fosse, chi vive ancora in fase di affanno, come l’industria dei trivellatori di shale USA, si troverà travolto da un’onda anomala che equivale a uno tsunami finanziario che, in pochi giorni di quotazioni in ribasso, spazzerebbe via altri piccoli e medi cercatori di petrolio americani confinandoli al Chapter 11, come qualcuno ha già fatto ricorso nelle scorse settimane.

Wall Street da tempo è pronta a questo colpo e le maggiori Trading Floor internazionali attendono un possibile punto di rottura, questa volta con una prontezza finanziaria diversa di quella di qualche mese fa.

Una cosa è sicura, Arabia Saudita e Russia oggi sono forti nel poter decidere il bello ed il cattivo tempo sulla scena petrolifera mondiale, un’alleanza dei due Paesi scomoda e lontana di vedute, ma, nello stesso tempo, un’azione strategica che porta indistintamente vantaggio ai due Paesi su una linea politica distinta ma efficace, ognuno per la propria strada, ma detentori comuni di un’economica petrolifera internazionale.

Oltre alla Russia, il Medio Oriente – con la guida Saudita e la coda di Emirati Arabi e Kuwait, nonché di altri amici vicini – potrebbe riportare il mercato liquido del greggio in fase di stallo, avendo comunque guadagnato in soli due mesi posizioni di mercato strategiche, con politiche di approvvigionamento che non si sono mai viste prima nella regione del Golfo Persico.

Ma non mancano le polemiche sul fronte Opec e, quindi, la parte ufficiale dei produttori di petrolio, dove parte di Paesi africani e mediorientali fuori dal coro, da tempo intralcio e grandi presenti all’interno dell’organizzazione viennese, continuano indisturbati a produrre e immettere sul mercato greggio di ottima qualità, beneficiando di deroghe astratte e superficiali passate che lasciano nulla osta alle produzioni di petrolio nigeriane e irachene.

Si ritorna ad osservare una nuova partita geopolitica, ma con vecchie squadre che non si sono mai ritirate, piuttosto hanno solo giocato i loro migliori centroavanti, per poi segnare il gol finale dell’Oil & Gas internazionale.

Bisogna essere pronti alla volatilità di mercati nuovi e con colpi di scena inaspettati, ma il Paese che negli ultimi tempi gioca a nascondino nel mondo del petrolio, si chiama Cina.

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