EMANUELA LOCCI – Si sta riaprendo il dibattito e ancora una volta ci si interroga su cos’è la NATO, le sue origini e le sue finalità in materia di prevenzione e sicurezza militare. Il suo commento?
GIUSEPPE MORABITO – La Nato è l’alleanza politico-militare istituita con il Trattato di Washington del 4 aprile 1949. Tengo a partire da questa definizione perché, oggi più che mai, nonostante “l’età”, 71 anni, dimostra di essere ancora uno straordinario produttore di sicurezza in molte aree di crisi.
Le finalità dell’Alleanza sono oggi le stesse che hanno portato alla sua creazione: garantire la libertà e la sicurezza dei Paesi membri attraverso mezzi politici e militari.
Questo, al contrario di quello che pensano in molti, non fa della Nato uno strumento di guerra, tutt’altro, ciò che più la descrive è il concetto di difesa collettiva enunciato nell’articolo 5 del Trattato. Principio che è ancora alla base di tutte le missioni e le operazioni in atto.
Nonostante le nuove adesioni, ultima la Nord Macedonia, e il dibattito su un nuovo concetto strategico, di cui da tempo di discute tra i Paesi membri, questo rimarrà sempre un punto centrale.
Come descriverebbe il ruolo della Nato quale garante nell’attuale “tempo di pace”?
Il ruolo principale della Nato è quello di garantire la libertà e la sicurezza dei Paesi membri. Questo come si può immaginare è un concetto che si presta a differenti declinazioni.
Come sul concetto strategico, anche il ruolo della Nato è oggetto di dibattito e differenti visioni. Soprattutto è dibattuto come far percepire tale missione alle audience nazionali e a quelle “esterne”. Le correnti principali sono due: la prima vorrebbe l’Alleanza come attore di hard security.
Secondo alcuni esperti questa immagine produce risultati e mostrerebbe un’organizzazione in grado di risolvere in maniera eccellente le crisi con l’uso della forza militare.
La seconda intende presentare l’Alleanza come un’organizzazione che può fornire sicurezza nel mondo senza l’utilizzo della propria forza. Ciò è possibile attraverso una serie di partenariati da cui far scaturire un’immagine più amichevole. Non dico che la Nato potrebbe trasformarsi in un consulente di sicurezza globale, ma è interessante capire che fornire una “consulenza” nelle operazioni è cosa ben diversa dall’esservi coinvolti.
Finita la Guerra fredda, tramontato il mondo bipolare e, successivamente quello unipolare a guida americana, il nuovo millennio ha portato con sé delle nuove minacce.
L’11 settembre, l’attacco di al-Qaeda alle Torri gemelle, ha segnalato l’ingresso sulla scena mondiale dei cosiddetti non-state actors e delle minacce ibride.
Per questi motivi è difficile definire «tempo di pace» il periodo in cui viviamo. Assistiamo a livello globale ad una serie di conflitti regionali, statali e inter-statali, per ora, a bassa intensità.
Il terrorismo continua a essere una fonte di inquietudine per la stabilità di alcune aree. Internet rappresenta un elemento chiave per il progresso di alcuni settori, ma allo stesso tempo può cadere vittima e essere utilizzato come strumento offensivo, da un vasto numero di attori.
Anche l’informazione è sotto attacco e con essa il cosiddetto “fronte interno” dell’Alleanza.
Questo per chiarire che, a prescindere delle visioni sul ruolo della Nato oggi, la prerogativa principale dell’organizzazione, qualunque sia il terreno di confronto, rimane sempre la stessa: garantire la libertà e la sicurezza e il benessere dei Paesi membri.
L’Alleanza è dotata di strumenti con cui è in grado di adattarsi costantemente alle nuove minacce, e continua a tenere sotto controllo l’evolversi degli scenari di sicurezza che oggi comprendono aspetti impensabili all’epoca della sua nascita.
Quale è il ruolo della Nato nelle catastrofi ed emergenze civili?
La Nato interpreta un ruolo centrale in numerose operazioni di gestione delle crisi, incluse le operazioni di emergenza civile. Lo fa attraverso l’applicazione dell’articolo 5 del Trattato di Washington che è il principio operativo secondo cui si muove l’Alleanza, ma anche su mandato delle Nazioni Unite.
Per quanto riguarda le emergenze civili, il principale meccanismo di risposta è l’Euro-Atlantic Disaster Response Coordination Centre (EADRCC).
Esso si occupa di fornire una risposta ad un’ampia gamma di emergenze civili nell’area euro-atlantica, coordinando e fornendo assistenza anche in caso di disastri naturali.
Pochi sanno che questa è stata una delle voci principali per l’adattamento al nuovo contesto di sicurezza. La cooperazione tra la Nato e i paesi partner nella pianificazione civile di emergenza include una serie di attività che vanno dalla formazione teorica, con corsi di aggiornamento, fino a quella pratica, che comprende, esercitazioni e corsi di addestramento che coinvolgono differenti apparati della sicurezza nazionale e regionale.
In quest’ultimo periodo abbiamo ascoltato più volte il segretario generale della Nato, Jens Stoltenberg, sottolineare l’importanza dell’Alleanza anche su questo tipo di attività.
Con un richiamo ad un migliore e più efficiente coordinamento delle risorse ha dichiarato: «La NATO è stata creata per affrontare le crisi, quella del coronavirus è una sfida contro un nemico invisibile e noi possiamo portare il nostro contributo». Per questo motivo dal 26 marzo 2020 l’EADRCC ha ricevuto diverse richieste di assistenza internazionale da parte dei paesi membri e partner della Nato per contrastare la pandemia.
Al fine di migliorare il coordinamento dell’Alleanza, Stoltenberg ha incaricato il generale Wolters di velocizzare e incrementare l’assistenza. Un impegno notevole che ha avuto applicazioni in diversi ambiti, dall’accelerazione dei voli umanitari alla costruzione di ospedali da campo, fino al trasporto di medicinali e pazienti in condizioni critiche.
È difficile dire se in futuro ci sarà un impegno ancora maggiore in questo settore, anche se lo ritengo poco credibile al momento. La sfida più importante rimane quella di aumentare le misure di coordinamento, in particolare con l’Unione europea attesa anche la quasi nulla capacità della struttura di difesa continentale.
Quale è il futuro della NATO rispetto agli interessi strategici politico-economici dei suoi membri?
Capiremo una buona parte del futuro della Nato in autunno, con le elezioni del prossimo presidente americano, sempre che il coronavirus o virus di Wuhan come lo considerano gli Usa, non induca alla modifica della data.
Negli ultimi tempi il presidente Trump è sembrato più predisposto a interloquire con la Nato rispetto al primo periodo del suo mandato, tuttavia non sappiamo come si comporterà in caso di riconferma.
Tanto meno possiamo immaginare cosa farebbe un presidente dell’ opposizione dopo i disastri strategici dei predecessori di Trump.
A parte ciò, una visione delle intenzioni future dell’Alleanza è stata fornita dalla dichiarazione finale del vertice di Londra, in cui sono stati celebrati i settanta anni dalla firma del Trattato di Washington.
Il famoso tema del burden sharing non sembra essere più una priorità, la spesa per la difesa non statunitense è cresciuta progressivamente negli ultimi anni, il che ha portato ad un incremento degli investimenti di 130 miliardi.
Le minacce individuate sono le stesse e sono: le azioni aggressive della Russia, il terrorismo, l’immigrazione e le minacce ibride.
Oltre a tutto ciò, sono due i punti che ritengo interessanti e a cui dovremo guardare con maggiore attenzione: la competizione con la Cina e la sua crescente influenza globale e lo spazio.
La Nato ha dichiarato di volersi impegnare a garantire la sicurezza delle comunicazioni dei suoi membri, compreso il 5G, riconoscendo la necessità di affidarsi a sistemi sicuri e resilienti.
Questo non può far pensare che, in futuro, potremmo vedere un coinvolgimento dell’Alleanza nei confronti di una contesa che per ora riguarda gli Usa e il governo di Pechino.
La Cina comunista rappresenta un rebus di difficile risoluzione anche guardando alle azioni che sta compiendo sia nel Mar Cinese Meridionale sia, ad esempio, nei confronti del governo democratico di Taiwan.
Sempre legato alla Cina, ma anche alla Russia, c’è il tema dello spazio. Nella dichiarazione finale di Londra, esso è indicato come dominio operativo anche per la Nato.
Lo spazio non è più, solo una questione di satelliti, coinvolge sistemi operativi cinetici, che operano sulla Terra e in orbita, interessi commerciali e risorse naturali. Ultimamente anche l’Iran cerca anche lui di entrare nello “spazio” con il lancio di un satellite il primo giorno del ramadan.
Credo che assisteremo a sviluppi interessanti in questo settore con possibili scenari che vanno dal ritorno delle negoziazioni multilaterali fino al riarmo, che ha il sapore della Guerra fredda.
Ripeto: Cina comunista, Iran e Russia sono i tre “problemi” del futuro prossimo.
In ogni caso, oggi è ancora molto difficile stabilire cosa accadrà al summit del 2021. Molto dipenderà da come il pianeta reagirà alla crisi del coronavirus.
Le priorità potrebbero essere ben altre rispetto a quelle che ho appena elencato. Non escludo anche un problema interno data la crescente deriva antidemocratica in Turchia, e gli inaccettabili, per molti paesi dell’Alleanza, accordi economico-politici del suo governo attuale.
Ci sarà tempo per osservare e decidere, ma credo che la Nato non si farà trovare impreparata qualunque sarà lo scenario futuro.
Foto: US DoD