POESIA, parole e sentimenti. Jonathan Giustini, “Riserva Idrica”: una sera di dicembre a Roma, ovvero, confessioni poetiche su ciò che resta

Le parole sono pietre, ciottoli di strada, grandine, gocce copiose, fiocchi di neve, piume, voci di dentro, pulsioni del cuore, ma anche, moto grezzo di quella rabbia non ancora passata al setaccio dell’anima, che ne filtra l’essenza e, ne fa solo sofferte parole d’amore

a cura di Rosario Sprovieri – Parole impalpabili, leggere, raffinatissime come zucchero a velo, pronte per essere spolverate con delicatezza sulle ore, più amare e su quelle più in ombra, della nostra vita fugace. In principium erat verbum, «le parole sono pietre», per dirla con Carlo Levi. Abbiamo infatti imparato che la parola può creare, celebrare, affascinare, immortalare, ma può altresì ferire, lacerare, deprimere, distruggere e uccidere.

QUANTE COSE POSSONO FARE LE PAROLE

La parola può comunque ben donare gioia, respiro e consolazione. Ci sono infinite parole gentili in grado di regalare sorrisi, consentendo il riaffiorare di quella luce che rechiamo nell’anima. È la “poesia della vita”, per questo è nei versi degli idealisti che si celano consolazione e spiritualità, ed è proprio, la consolazione che li fa audaci. Quando siamo consolati ci viene da fare tanto bene, sempre, invece quando c’è desolazione, la voglia è quella di chiuderci in noi stessi e non fare nulla. Questo è quanto recentemente predicato da Papa Francesco: «La consolazione ti spinge avanti, al servizio della società, alle persone» e, così è per il poeta, che si affranca dalla sua solitudine intellettuale e inizia a inviare i messaggi al mondo.

L’ESPERIENZA DI JONATHAN GIUSTINI

È quello che è successo a Jonathan Giustini, da una vita immerso fra note e versi, tra armonie e dissonanze, fra letterati e dicitori sopraffini. Alle soglie della maturità, l’incedere delle parole covate dentro, di quella poesia muta custodita gelosamente nell’anima, ha fatto sì che la spinta abbia assunto la forza del magma incandescente, caldo e inarrestabile, riversandosi ormai senza freni attraverso i tanti versi figli del pathos che hanno cercato ogni via, fino all’inattesa copiosa eruzione, inarrestabile e pura. Bellissima serata romana, quella orchestrata e diretta dall’autore stesso presso la Galleria In Cinque di Monica Cecchini, in via Madonna ai Monti. Un momento intenso e di elevato spessore culturale, un mix di versi e musiche di valore assoluto. I convenuti hanno avuto modo di apprezzare l’evento in onore di Jonathan Giustini nel salotto culturale monticiano.

RISERVA IDRICA

Riserva Idrica (Controluna Lepisma Floema 2024) è la prima antologia poetica di questi, romano e giornalista di lungo corso, voce di tante emittenti radiofoniche della Capitale. Egli, che si è occupato di musica e nutrito di letteratura e cinema, ora ha dato alle stampe un volume che raccoglie i suoi versi meditati e custoditi dentro di sé per anni: «Una riserva idrica quando non piove da tempo, che tutti noi abbiamo dentro – l’ha descritta -, che incontri improvvisamente all’uscita di una galleria. Una riserva idrica dove l’acqua è sempre più fresca, anche di quella dei torrenti. Una riserva idrica che non ne puoi misurare l’orizzonte. Una raccolta di scritti poetici sulle risorse inaspettate della vita, in profondità come in superficie, tra un padre e un figlio da sempre in cammino».

COME UN SILLABARIO

La poesia è come un sillabario/ può restare chiuso per tutta una stagione/ e in un’altra aprirsi/ come un fiore. Il libro di Jonathan è un po’ un affaccio sull’anima, proprio in quell’attimo in cui fa ritorno la primavera. Aria frizzantina e venti nuovi, come quando a sciogliersi è la neve e, così, ecco la folata di parole che parevano quasi dimenticate, una ventata e ricompaiono a sciami. Un sussulto nel sentirle ri-pronunciare, perché è un ritorno al sogno, alla voglia d’immaginare al di là della realtà per cercare una nuova alba, un nuovo scintillante inizio, un nuovo cammino di speranza: una vita oltre la vita. Il grillo s’apparecchia davanti alla luna/in questa notte bellissima e profumata./ Ha un vestito d’argento stirato di fresco/Lui è riuscito a superare il confine che divide il destino.

UNA MUSICA DOLCE

Una musica dolce, accompagna magistralmente ogni storia, delicate le atmosfere e le sottolineature di ogni accordo, di ogni melodia per piano e sax, del dialogo musicale dei maestri Andrea Terrinoni e Nicola Alesini. Le lacrime mi affogano i colori/ e la paura si dilata nel pomeriggio./Sono le sbarre che ho costruito,/non proteggono, non impediscono,/piuttosto affettano il cielo… È un incedere di parole pregne, cariche di tanti significati, parole palpitanti, versi che muovono le coscienze. Lettera ai prepotenti… se avessi vent’anni tornerei/accanto a te che ai cento anni/e un volto da bambina eterno/dove la vita si è fermata/ Arrivano piano le note e la voce del maestro Ernesto Bassignano che emoziona nell’interpretare una delle canzoni antimilitaristi più struggenti di Luigi Tenco, “Padroni della terra, opera di quell’intellettuale d’oltralpe che fu Boris Vian, letteratura nata nel tempo degli chansonnier francesi, del Tabou club nella Rue Dauphine.

MUSICA NELLA RAREFAZIONE DEI VOCABOLI

Composizioni musicali nate dall’influenza dei poeti della rarefazione della parola, dagli emetici e dalle loro prese di posizione contro la guerra. Cessate di uccidere i morti. Non gridate più se li volete ancora udire, se sperate di non perire. Hanno l’impercettibile sussurro, non fanno più rumore del crescere dell’erba lieta ove passa l’uomo. Le chiamano riserve idriche./Ieri sera un passero nella tua stanza/smuove la piccola vergogna/e la dolcezza mi invade/come la rondine caduta/ che affida con occhi lunghi e sottili/la sua vita nelle mie mani/ cha la riportano al volo…/ Prende corpo da un pianissimo la voce struggente e passionale della fisarmonica del maestro Marcello Fiorini, echeggiano suoni che appartengono al rumore della memoria, alle piazze di Buenos Aires e ai suoi drammi. Fonte d’ispirazione e di dolore inspiegabile, dove tutto si trasforma in poesia, in speranza. in sussulti di pura musica contemporanea, ben lontana da ogni antico cliché.

EMOZIONI

L’emozione a volte gioca qualche tiro mancino. Capita anche a un grande professionista della voce, però anche se a calare è il tono, è il cuore che pulsa più forte. Teresa tu che da un quartiere provieni/ dove si confondono le razze, i mestieri/ e dove forse anche l’amore non avrebbe età/ Ed ecco  un leggiadro pizzicare di chitarre, non solo suoni nati dalla simpatia delle corde tese, bensì mani, voci e unisoni di cuori a rispolverare Roma, a narrare d’oceani e di mari e del sogno antico dell’oltrepassare l’orizzonte. Figli della filosofia dei canta-cronache sono Piero Brega (filosofo e architetto) e Orietta Orengo (musicista), una unione perfetta di voci e di stati d’animo erede di Sergio Liberovici e Michele Straniero. Ispirati e veri, popolari ed eruditi compagni letterari di Italo Calvino, Gianni Rodari e Umberto Eco. Insomma, che dire? Si tratta soltanto di poesia? Affatto. Soltanto di musica? Neppure. Soltanto di teatro? No. Soltanto umanità vera: sola, disorientata e a volte smarrita. Umanità che si ritrova e riconosce in versi e canti che scuotono e riempiono l’anima.

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