Nel giornalismo convivono almeno due tipologie di professionisti: i giornalisti che osservano i fatti e da questi traggono un’opinione e i giornalisti abituati a selezionare i fatti, secondo ciò che è più congeniale alla loro opinione. I primi dicono espressamente al lettore da quale parte stanno. Gli altri tendono a nascondersi dietro il paravento dell’informazione neutra che però neutra non è.
Trump ha un cattivo rapporto con i giornalisti, li definisce produttori di fake news, materia che oggettivamente Donald conosce bene avendone anche lui diffuse spesso. Alla maggior parte dei giornalisti, il 47° presidente degli States non va a genio, motivo per cui si adoperano a metterlo in cattiva luce in ogni circostanza, mentre i suoi oppositori ricevono un trattamento diverso.
L’INIZIALE SILENZIO SU BIDEN
Ricordiamo il silenzio sulle capacità intellettive di Biden quando quest’ultimo correva le primarie. Un atteggiamento quantomeno omertoso visto che per mesi i media hanno tentato di nascondere e/o minimizzare i limiti cognitivi del presidente uscente. Silenzioo che si è interrotto solo dopo che tutti ne hanno potuto vedere le sue difficoltà nel dibattito televisivo con Trump.
Ma veniamo ad altri episodi avvenuti durante la corsa alla Casa Bianca, con il caso di Liz e Dick Cheney, considerati dai media di tutto il mondo falchi e guerrafondai per l’intervento in Iraq durante l’amministrazione neo-conservatrice di George W. Bush, i quali, una volta passati nel campo della Harris sono stati mondati da quel “peccato originale” e applauditi da quegli stessi media.
LIZ CHENEY E PORTO RICO
Richiesto di un giudizio sul Liz Cheney, ex deputata repubblicana, Trump ha detto: “Mi piacerebbe sapere cosa penserebbe Liz con i fucili puntati in faccia. Sono tutti falchi di guerra quando sono seduti a Washington in un bel palazzo e dicono, ‘Oh, cavolo, beh, mandiamo 10.000 soldati in bocca ai nemici’”. La semplificazione dei media è stata: Trump vuole fucilare i Cheney.
In un comizio a New York, un comico (sic!) pronuncia la battuta (ari sic!): “Porto Rico è un’isola che galleggia nella spazzatura”. Giustamente i media ne denunciano il fondo di razzismo, ma si spingono ad attribuirla a Trump, mentre contemporaneamente viene posto il silenziatore ad un commento di Biden secondo cui sarebbero invece gli elettori che votano Trump ad essere “spazzatura”.
L’INVESTITURA DELLA HARRIS
Tutti i media hanno ricordato il ruolo avuto da Trump nei gravi fatti avvenuti il 6 gennaio 2020. Hanno stigmatizzato – giustamente – il ruolo di sobillatore di Trump nell’assalto a Capitol Hill, ma in pochi si sono soffermati sulla defenestrazione di Biden a favore della Harris. Un “colpetto di Stato” delle famiglie Obama e Clinton ai danni del presidente uscente vincitore delle primarie.
I due fatti non sono minimamente paragonabili per gravità, ma anche il secondo è stata una cosa senza precedenti, quantomeno discutibile se guardiamo agli effetti sulla democrazia americana e ai suoi tradizionali meccanismi di selezione, sostituiti da una sorta di inedita investitura in un partito padronale.
Diversi, invece, i trattamenti ricevuti dai media: il primo episodio è stato sempre enfatizzato, mentre il secondo è stato ridotto – ingiustamente – ad una banale sostituzione in corsa. Così Biden è stato estromesso dalla Corsa alla Bianca e al suo posto è arrivata Kamala Harris che aveva bisogno di essere accompagnata da un’altra narrazione.
TRUMP VUOLE SPARARE AI GIORNALISTI
Accertato che tra Trump e i giornalisti non c’è feeling, veniamo all’ultima accusa. In un comizio in cui davanti al palco aveva i rappresentanti dei media, Trump dice: “Vedete… Se qualcuno oggi decidesse di spararmi qui, come è già avvenuto, questa volta le pallottole prima di raggiungere me passerebbero in mezzo ai giornalisti. Il che non mi dispiace”.
In buona sostanza: se dovessero spararmi di nuovo, stavolta rischiate anche voi. Una frase equivoca che Trump poteva risparmiarsi, ma che isolata dal contesto verbale è diventata sic et simpliciter: Trump invita a sparare ai giornalisti. Un’altra sintesi avrebbe potuto essere: Trump usa i media come scudi umani. Un’affermazione iperbolica, ma forse più fedele a quanto pronunciato.
Concludendo. Lo scorso 5 novembre non è stato solo votato il futuro presidente degli Stati Uniti. Si è svolto anche un referendum sulla credibilità del mondo dell’informazione, ma ancora nessuno ha ancora analizzato perché i giornalisti lo hanno perso.