A sette giorni dal voto del 5 novembre abbiamo pronosticato la vittoria di Trump, ma abbiamo sbagliato per difetto. Eravamo convinti che Kamala Harris fosse in corsa solo per i media compiacenti e i sondaggi fallaci. Motivi per i quali prevedevamo una vittoria repubblicana, ma ne abbiamo sottodimensionato la portata. Eppure, nell’insieme, tutto si tiene. Con un po’ di ritardo, gli Stati Uniti hanno importato qualcosa che l’Europa ha conosciuto prima: la crisi della sinistra.
Il partito democratico non incarna più il sogno americano diffuso e viene percepito come il partito dello status quo, delle élite e dei residenti nei centri metropolitani. Anche negli States il partito democratico ha assunto posizioni che allontanano dal proprio orizzonte il mondo del lavoro e privilegiato il rapporto con i colletti bianchi dei servizi, rispetto a quelli blu delle tute operaie e ai colli rossi degli agricoltori. Ha dimenticato che se il cuore è a sinistra, il portafoglio è spesso nella tasca destra.
LE COSTE BLU, IL RESTO ROSSO
Basta dare un’occhiata alla carta che divide gli Usa in Stati rossi e blu: l’America profonda, costituita prevalentemente da piccoli centri in rosso, tra due coste blu, quella del Pacifico più di quella dell’Atlantico concentrata perlopiù nel New England.
La rappresentazione grafica di una dinamica elettorale nota da tempo in Europa. Le destre conquistano le periferie industrializzate e le campagne, lasciando agli avversari i centri cittadini che meno subiscono la crisi economica e i problemi relativi al degrado e alla sicurezza. E quando si comincia a verificare il fenomeno, la sinistra confonde la causa con l’effetto e si consola dando la colpa alle derive populiste.
I MEDIA SCHIERATI CON LA HARRIS
La maggior parte di giornalisti e media ha dato conto dei limiti di Trump – che sono tanti – ma non abbastanza da aver impedito a Biden di batterlo nel 2020. Mentre in pochi hanno dato conto della vacuità del pensiero della Harris e dell’errore commesso nella scelta del suo vice Walz. La Harris ha contato su una informazione collaterale.
Ciò a cui abbiamo assistito è una competizione in cui – anche negli States – la sinistra è stata distante dai temi cari agli elettori. “It’s economy stupid!”, disse a suo tempo James Carville, ma il mantra sul mantenere l’economia al centro del dibattito è stato questa volta fatto suo da Trump, anziché dai democratici.
Il partito democratico ha perso consensi perché è percepito a tutelare i diritti dei già tutelati; per aver coltivato la cultura woke che considera degenerata ogni idea concepita dalla civiltà occidentale; per aver abbracciato l’agenda gender e la teoria queer che propaganda l’inesistenza delle differenze tra i sessi biologici.
LA SINISTRA HA PERSO I RIFERIMENTI
Negandosi alle rivendicazioni dei ceti sociali bassi e medi, la sinistra ha perso la sua ragion d’essere soprattutto su tre temi correlati tra loro: immigrazione, multiculturalismo e sicurezza. Un trittico di problemi che ha reso il suo tradizionale blocco sociale vulnerabile alle issues law and order del Grand Old Party.
Kamala Harris si è allontanata dai problemi reali del Paese confidando nella presunta superiorità morale del proprio elettorato su quello dell’avversario e passando dalla strategia della gioia a definire Trump come un fascista.
Un’affermazione che ha offeso oltre 60 milioni di elettori già considerati “deplorevoli”. Dimenticando che in una competizione elettorale, coloro che votano preferiscono farlo esprimendosi “per” qualcosa, piuttosto che “contro” qualcuno.
Una considerazione banale che sembra essere completamente sfuggita al partito democratico ripiegato nella lotta al “nemico”, ruolo nel quale Trump è perfettamente a suo agio.