ESTERI, investimenti e cooperazione internazionale. Cos’è l’Africa per l’Italia e per Europa?

Da alcuni anni non si fa che parlarne eppure il continente nero rimane sfuggente. Lo si dipinge alternativamente come terra delle opportunità economiche o come mostro demografico pronto a schiacciarci; giacimento a cielo aperto o antro di malattie e pandemie; partner per gli aiuti internazionali o socio nel commercio internazionale; lions on the move (McKinsey) o bottom billion (Paul Collier). Un argomento ampiamente trattato nell’introduzione di Mario Giro al volume “Piano Mattei: come l’Italia torna in Africa”, saggio collettaneo edito per i tipi di Guerini e Associati

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a cura di Mario Giro, già viceministro degli Affari esteri con della alla Cooperazzione internazionale e attualmente docente di Politica internazionale oltreché esponente della Comunità di Sant’Egidio – C’è una lunga storia di rapporti tra Africa sub-sahariana ed Europa, al centro della quale si colloca la colonizzazione che provoca sentimenti controversi e forse oggi una rottura sentimentale, una relazione di odio-amore che pareva indissolubile ma che finisce. Resta un legame: gli africani sanno quasi tutto degli europei; questi ultimi molto meno di loro. Non sono affatto sorpresi di come vengono trattati: spesso sfruttati come manodopera a basso costo e senza garanzie. Tutto ciò assomiglia molto all’economia “informale” che ben conoscono e che rappresenta l’80% di quella africana. D’altronde la globalizzazione sta rendendo “informali” vari settori anche in Occidente: ciò che in Africa si dice «informale» altrove si chiama «al nero», precario o «sommerso».

NUOVE RELAZIONI CON L’AFRICA

Per rispondere alla domanda su quali potrebbe essere una nuova relazione con l’Africa il governo presieduto da Giorgia Meloni ha proposto il Piano Mattei. Con il vertice Italia-Africa del 28-29 gennaio scorsi il nostro paese si è incamminato con decisione su tale terreno complesso. Una struttura di missione è stata creata, diretta da diplomatici di grande esperienza come Fabrizio Saggio, consigliere diplomatico del presidente del Consiglio, e Lorenzo Ortona. Inoltre tutto il sistema della cooperazione allo sviluppo ha iniziato a muoversi in quella nuova direzione con il direttore generale alla Cooperazione allo sviluppo Stefano Gatti e il direttore dell’agenzia della cooperazione Roberto Rusconi. Il viceministro degli Esteri Edmondo Cirielli dà l’orientamento politico permanente a tale struttura, che già ha compiuto le sue missioni di sistema nel continente per dialogare con le competenti autorità africane, a cui partecipano gli ambasciatori delle varie aree regionali del continente, con riunioni in loco sotto la guida del segretario generale della Farnesina Riccardo Guariglia.

PIANO MATTEI: STRUTTURA DI MISSIONE E CABINA DI REGIA

Oltre alla struttura di missione, il Piano Mattei ha una cabina di regia che rinviene al suo vertice la Presidente del Consiglio e nella quale siedono, oltre al ministro degli Esteri Antonio Tajani e il viceministro Cirielli, anche gli altri ministri coinvolti, i capi e responsabili delle principali istituzioni di stato, dal governatore della Banca d’Italia, alla Cassa depositi e prestiti, alla SACE eccetera. Partecipano anche gli amministratori delegati di grandi imprese come ENI, We Built eccetera. Infine vi sono i rappresentanti delle Ong e della società civile. È la prima volta che si istituisce una regia così ampia che permette a tutti di conoscere gli stati di avanzamento del Piano e di avere un’immagine la più completa possibile di tutto ciò che l’Italia fa con l’Africa. Come si vede si tratta di un intero pezzo di amministrazione che si sta muovendo concentrando contatti e pensiero attorno agli obiettivi che di volta in volta vengono individuati ed elaborati con i partner africani. Sui media e nei corridoi della politica si discute se le risorse messe a disposizione (come quelle del Fondo Clima, oltre alla cooperazione) siano sufficienti, ma la novità del piano risiede nel fatto che l’Africa sia diventata una priorità politica nazionale toccando quasi tutti i livelli di governo: un impulso di estroversione assolutamente necessario.

UNA PRIORITÀ DI NATURA POLITICA

Vi sono stati altri momenti recenti in cui l’Africa e la cooperazione sono stati messi al centro dell’attenzione e della programmazione governativa, come il Forum della cooperazione a Milano del 2012, voluto dall’allora ministro dell’Integrazione e Cooperazione Andrea Riccardi del governo Monti. In quell’esecutivo l’esistenza di un ministro dedicato ai temi della cooperazione è stata un’assoluta novità nella composizione del gabinetto, purtroppo non più ripetuta. Successivamente dell’Africa si parlò molto per la guerra di Libia, alle cui conseguenze il governo di Enrico Letta cercò di porre riparo senza l’aiuto degli altri europei. Furono anni in cui si discusse di Africa soltanto in termini migratori, con ripetuti tentativi di accordi con i paesi di origine dei migranti che non hanno avuto l’esito ricercato a causa di un approccio esclusivamente concentrato sulle priorità europee, prendendo poco in conto quelle continentali (come si è visto dagli scarsi risultati del vertice Europa-Africa di Malta del 2015). Del resto l’Europa ha sostanzialmente lasciato l’Italia da sola di fronte all’aumento dei flussi dal Mediterraneo.

LA RIFORMA DELLA COOPERAZIONE

Durante il governo di Matteo Renzi fu portata a termine la tanto attesa riforma della cooperazione con la nascita dell’Agenzia (legge 125, 11 agosto 2014), tuttavia operativamente rallentata da molte lentezze nella discussione sulle competenze, sul ruolo del ministero degli esteri e sulla questione della sede. Ci fu in parlamento anche l’idea di un Africa Act a cui lavorarono la deputata Lia Quartapelle e il sottoscritto. Dal 2013 si sono tenute annualmente alla Farnesina le conferenze Italia-Africa a livello ministeriale. L’impressione di fondo dei nostri partner africani era che l’Italia aveva certamente un approccio diverso, più flessibile, volenteroso e meno paternalistico degli altri europei, ma mancava di continuità. La scommessa del Piano Mattei del governo Meloni è quella di superare tale limite creando una vera e propria azione sistemica che duri nel tempo.

FRATTURA TRA OCCIDENTE E AFRICA

La frattura tra Occidente e Africa, segnatamente con la Francia in Africa occidentale, rende tale compito arduo. Nei recenti colpi di stato continentali abbiamo visto bruciare bandiere francesi e alzare quelle russe. Sono scene del Mali o del Burkina Faso e infine del Niger (anche se non in Gabon e nemmeno in Guinea Conakry). Si tratta di una rottura definitiva contro l’Occidente? Lo si è visto nei ripetuti voti alle Nazioni Unite dove il continente si è spaccato sulla condanna alla Russia. Più ancora si è notato nel caso della guerra a Gaza: l’Africa intera si è schierata coi palestinesi quasi spontaneamente. Vengono al pettine i nodi delle relazioni post-indipendenza guidate in Africa occidentale dalla Francia con il silenzio-assenso europeo. I sentimenti di vicinanza con l’antica metropoli sono progressivamente venuti meno in maniera impercettibile, quasi senza che se ne capisse la ragione. Non basta puntare il dito sul neo-colonialismo (quell’intreccio di interessi economico-politici con le ex metropoli, proseguito anche dopo le indipendenze): era sui banchi dell’accusato da molto tempo, controbilanciato tuttavia da un diffuso sentimento di prossimità culturale e linguistica che sembra improvvisamente svanito.

LA RIVOLTA DEL SUD GLOBALE

La chiamano una «rottura sentimentale» che si allarga a tutta l’Europa. Si parla di rivolta del Sud Globale. La caduta del sistema immutabile della guerra fredda ha rappresentato, com’è noto, la fine delle ideologie contrapposte. Al loro posto c’è stato l’avvento delle identità e/o delle emozioni, di per sé molto volubili. Secondo il politologo franco-americano Dominique Moïsi, le relazioni tra gli Stati e i popoli sono ormai rette da una «geopolitica delle emozioni», le più significative tra le quali sono la speranza, l’umiliazione (e il rancore a essa connesso) e la paura (del declino). Per le nazioni e le classi politiche tali emozioni non si fermano al sentimento popolare ma si trasformano in cultura e programmi partitici. Nella post-globalizzazione tutti si sentono al medesimo tempo nativi ed estranei: di conseguenza più o meno spaesati. È ciò che stanno vivendo i giovani africani: ogni punto di riferimento è scomparso, terremotato dai cambiamenti geopolitici in atto. Lo spaesamento stravolge la vita quotidiana: il vecchio mondo del quale si erano imparati valori e gerarchie, è scomparso. Tutto è in grande e generale rimescolamento, come le frontiere del Sahel che sembrano sparite nella sabbia del deserto.

IL VECCHIO MONDO È ORMAI SCOMPARSO

I jihadisti contestano i confini degli stati africani (così come fece l’ISIS in Iraq e Siria), ma anche le reti criminali li oltrepassano senza darsene cura. Il mercato globale ha insegnato a scavalcare i vecchi ordinamenti. Così Andrea Riccardi descrive lo spirito del tempo: «Davanti a un mondo così complesso siamo tutti un po’ incompetenti… ci manca la capacità di assimilare tanta informazione. A volte siamo presi da un senso di impotenza di fronte a situazioni lontane e poco comprensibili… Oggi la complessità disorienta e confonde». Uno degli effetti maliziosi è la trappola complottista: credere a congiure e dietrismi senza fine. In molti riscrivono la propria storia per affermarne una visione vittimista ricostruita ad arte, allo scopo di giustificarsi. Il vittimismo si diffonde dovunque, in un gorgo di eccitazioni e passioni con poco fondamento che si trasformano in una realtà parallela. La democrazia viene sfidata da tali narrazioni alternative che sembrano spiegare le vicende attuali in maniera più semplice. Il finto complotto (definito storico) contro la Russia/Urss, diviene una giustificazione per le scellerate decisioni di guerra del Cremlino.

UN’ANALISI LUCIDA

Ma anche le manipolazioni post-coloniali di Parigi divengono la scusante per i golpe militari anti-democratici. La geopolitica delle emozioni si sta trasformando nella «cultura della cancellazione» (Cancel Culture): ciò che non piace della storia passata, ciò di cui c’è da vergognarsi (rileggendola con lo sguardo attuale), va cancellato ed eliminato dalla memoria, forma moderna di damnatio memoriae. La storia non si cancella anche se si può dimenticare. Ciò che stanno vivendo le relazioni euro-africane oggi è un piano inclinato in cui le emozioni celano (e guidano) interessi nascosti o agende nemmeno tanto segrete di potere e controllo delle risorse. Dialogo e convivenza sono messi in crisi e la frattura avviene quasi senza averla decisa. Soltanto un’analisi lucida delle reciproche responsabilità e la ricerca di un nuovo quadro di mutuo rispetto e vantaggio, potrà permettere di ricostruire con l’Africa quella fiducia di cui oggi i giovani (africani ma anche italiani ed europei) hanno bisogno. Tale è la sfida del Piano Mattei: una prova non solo economica ma anche culturale e politica che Giorgia Meloni ha sintetizzato in una efficace formula: «Rapporto paritario e non predatorio». In queste pagine gli autori, partendo da punti di vista diversi, hanno l’ambizione di arricchire il ragionamento e lo sforzo comuni.

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