«Il dollaro prenderà il posto del peso e si va avanti anche sulla chiusura della Banca centrale», questo l’orientamento del Presidente della Repubblica Javier Milei, che da Buenos Aires ha inteso assicurare che sotto la sua guida il Paese sudamericano è avviato nella direzione della «dollarizzazione endogena», processo che comporterà una graduale prevalenza delle operazioni denominate nella divisa statunitense nei confronti di quella argentina. Insomma, un fenomeno in sostanziale controtendenza rispetto alle dinamiche in qualche modo avviate e allo stato embrionale dalle potenze che assertivamente lavorano (o, per il momento, dichiarano di farlo) per un’accelerazione della de-dollarizzazione su scala globale.
LA POLITICA ECONOMICA DELL’ULTRALIBERISTA
Il Presidente argentino, in economia da sempre animato da spirito ultraliberista, lo ha pubblicamente dichiarato quest’oggi intervenendo nel foro economico Idea, summit che riunisce i maggiori imprenditori del Paese sudamericano. Egli, riferendosi all’altro grande tema relativo alla sovranità nazionale (monetaria e dunque anche politica), ha sottolineato che «quando se ne verificheranno le condizioni, saremo in grado di chiudere la Banca centrale», aggiungendo che «lo scenario più probabile è quello di un’Argentina con un livello valutario molto più apprezzato grazie agli enormi investimenti in arrivo nel settore dell’Oil & Gas, oltreché in virtù della nuova legge sugli incentivi ai grandi investimenti», la Rigi (n.d.r.).
ARRIVANO I DOLLARI!
«Preparatevi – ha quindi concluso enfaticamente Milei rivolgendosi alla platea di imprenditori che lo ascoltava -, perché da lì arriverà una tremenda ondata di dollari». Gli analisti di politica economica ritengono che, sebbene le dichiarazioni di Milei siano in linea con il programma da lui presentato agli argentini in campagna elettorale, esse rappresentano tuttavia una svolta rispetto alle sue recenti affermazioni, tese a porre in dubbio una rapida uscita dall’attuale schema monetario, che mantiene forti restrizioni alla libera compravendita di divise sul mercato cambiario, il cosiddetto «cepo», fortemente inviso agli investitori esteri.