ARMI, spese militari e consenso politico. Il «dilemma» della Difesa nella narrazione dei media, ovvero: costruire un ospedale o comprare un F-35?

Guerre, strategie, soldi, difesa comune europea e comunicazione: questi i temi al centro della discussione nel corso dell’interessante seminario che ha avuto luogo il 17 ottobre scorso presso la Sala delle Bandiere nella sede dell’Ufficio in Italia del Parlamento europeo a Roma, evento organizzato dall’Ordine dei Giornalisti del Lazio e PIUE (Ente terzo formatore) assieme al Festival della Diplomazia. Era presente anche insidertrend.it, che ha registrato l’audio integrale degli interventi dei relatori svolti durante questo intervento multidisciplinare (A674AB-17OTT24)

Alla fine le conclusioni sono state più o meno sempre le stesse di sempre: ribadita la sempre più urgente necessità di pervenire a una Difesa comune che consenta di razionalizzare la spesa dei ventisette Stati membri dell’Unione europea e potenziare così lo strumento militare del vecchio continente… però, si è rilevato come, nei fatti, l’impresa si presenti tuttavia impossibile, poiché ostano i requisiti fondamentali rinvenibili negli interessi di ogni singolo Paese e, all’interno di essi, nei molteplici vincoli nazionali sulla sicurezza e l’industria, rendite di posizione, carriere e altri fattori rispetto ai quali una concreta messa in comune risulta oltremodo difficile, se non addirittura impensabile.

UN CAMBIO DI PARADIGMA

Ma (!!!) i cosacchi dello zar Vladimir sono alle porte di Piazza San Pietro, si sarebbe detto in altri tempi: allora cosa si fa? Qualcosa, ma non abbastanza ad avviso di analisti e strateghi che caldeggiano l’opzione europea. E, in effetti, già da prima che le truppe della Federazione Russa invadessero l’Ucraina di avvenimenti in grado di stimolare una riflessione sull’argomento se ne erano verificati nel mondo, ma poi con l’operazione militare speciale lanciata dal Cremlino tutte le residue sicurezze riguardo a un mutamento dello scenario globale il più dolce possibile sono evaporate in un istante, dato che la guerra di Putin ha segnato davvero un cambio di paradigma.

DETERRENZA E DIPLOMAZIA, MA IN QUALE MISURA?

A seguito di un’attenta lettura dell’attuale scenario globale ci si rende perfettamente conto dei rischi di un conflitto su scala mondiale, qualcosa di più della «Terza guerra mondiale a pezzi» evocata ormai dieci anni fa dal Pontefice. Però Bergoglio si è fermato lì, e dal suo scranno petrino non ha rivelato l’ampiezza delle diverse quote di deterrenza e di diplomazia da applicare allo scopo di prevenire il peggio. O meglio, lo ha fatto e continua a farlo continuamente, ma a modo suo, invocando la pace universale e tentando di promuoverla in giro per il mondo attraverso i suoi emissari di buona volontà, come l’indefesso cardinale Matteo Maria Zuppi. Permane in ogni caso il fatto che il citato binomio composta da deterrenza e diplomazia andrebbe misurato e ponderato ai fini di una sua applicazione pratica.

I MEDIA: COMUNICARE NELLA PROTEIFORMITÀ GLOBALE

Quale potrebbe essere, di volta in volta a seconda dei casi, una utile variabile di bilanciamento di queste due fondamentali componenti? Qui la parola passa ad analisti e strateghi, tenuto però in debita considerazione l’aspetto relativo alle scelte che in conseguenza nelle democrazie occidentali dovranno poi assumere i decisori politici, condizionati dalle reazioni delle loro opinioni pubbliche, dunque dall’elettorato che potrebbe non mantenerli più al potere. Ed ecco il tema principe del seminario romano: come comunicare gli aspetti relativi a questa delicata materia. In effetti un tema giocoforza sovrastato dalle considerazioni svolte sulla proteiforme situazione dello scenario globale, caratterizzato da conflitti in atto e in potenza, oltreché da guerre ibride estremamente diffuse.

QUANTO SPENDONO IN ARMI LE MAGGIORI POTENZE MONDIALI

Seguendo pedissequamente la traccia del seminario non si può avviare una riflessione sul tema se non partendo dalle cifre e, nello specifico, da quanto e come si spende nel mondo per acquistare armi e fare guerre. Qualora si prendano in considerazione i bilanci della Difesa degli stati e delle unioni di stati di maggiore rilievo del Pianeta, dati relativi all’anno 2023, si rileva come il maggiore stanziatore di risorse per questa particolare funzione sono gli Usa, con 916 miliardi di dollari; segue quindi l’Unione europea con complessivi 312 miliardi di dollari (ma si tratta di un aggregato contabile, poiché l’entità è composta da 27 diversi stati sovrani); al terzo posto si pone la Repubblica popolare cinese, con 296 miliardi di dollari spesi (un gigante economico che, malgrado tutto, sarà destinato a crescere e a espandersi sul piano militare); infine, la Federazione Russa con 109 miliardi di dollari, autocrazia attualmente caratterizzata da un’economia di guerra che spinge in alto il prodotto interno lordo, che ha però perduto notevoli posizioni sul mercato dell’esportazioni di sistemi d’arma rispetto al suo passato sovietico.

SENZA GLI AMERICANI NON SI VA DA NESSUNA PARTE

Se poi, per quanto concerne l’Unione europea, queste cifre vengono analizzate nel dettaglio, emergerà con evidenza come i ventisette stati membri abbiano approvvigionato le loro rispettive forze armate con materiali d’armamento per il 76% importati da paesi produttori extracomunitari, quota che per il suo 63% proviene dagli Stati Uniti d’America. Ma ciò è fonte di sprechi, inefficienze e duplicazioni (sovente anche all’interno delle stesse strutture dei singoli stati), tre fattori forieri di scarsa interoperabilità dei reciproci sistemi d’arma in caso di operazioni condotte congiuntamente (che ormai da anni sono praticamente tutte quelle alle quali si partecipa), oltreché di frammentazione del mercato continentale. È grossomodo il medesimo discorso delle operazioni militari complesse come quelle che una volta nella terminologia in uso presso gli ambienti NATO venivano definite «fuori area»: senza i satelliti, i velivoli da trasporto strategico, la tecnologia e il supporto di Washington non si va da nessuna parte o quasi.

COSÌ PARLÒ IL FOLLETTO DELLA CITY (…)

Recentemente, nel suo Rapporto l’ex Presidente del Consiglio italiano Mario Draghi, non senza sollevare polemiche nell’agone politico, ha fatto un chiaro riferimento a Difesa, Sicurezza e Cyber sicurezza come funzioni sulle quali indirizzare risorse, poiché oggi divenute materie di più urgente rilevanza. Lo ha fatto invocando un Bilancio europeo più grande e un contestuale indebitamento comune. Insomma: unire le forze di fronte all’azione intimidatrice della Russia. Ma Draghi non è più un attore protagonista della politica europea, meno che mai un decisore, tuttavia, il parlamento di Strasburgo ha compiuto passi in direzione della richiesta di un fondo comune per la Difesa, nel tentativo di replicare precedenti esperienze di successo maturate dall’Unione in altri settori, quale quello dello spazio e dei satelliti, a fronte di sfide che si pongono nell’immediato.

UN’EUROPA DESTINATA ALLA DISSOLUZIONE

Allo stato attuale si tratta di una ipotesi davvero esplorabile, oppure l’Europa è destinata alla dissoluzione? E ancora: nel deprecabile caso di grave crisi i Paesi dell’Unione verrebbero spinti dallo spirito di sopravvivenza a una rapida integrazione dei loro sistemi difensivi? Se la nomina del lituano Andrius Kubilius alla carica di Commissario europeo alla Difesa e allo Spazio potrebbe apparire come un segnale positivo nel senso di una maggiore coesione europea in questi settori così delicati, a smorzare gli entusiasmi c’è la considerazione che le concrete competenze in materia permangono in capo all’Alto Commissario per la Politica estera e di difesa europea, mentre alla nuova figura di recente istituzione residueranno quelle relative al rafforzamento delle varie industrie del settore dei diversi Paesi membri, e non quella dell’integrazione delle loro Difese.

L’INDEFETTIBILE SOGNO FEDERALISTA

In ogni caso, anche se si pervenisse a una integrazione permarrebbe comunque irrisolto il problema dell’attribuzione del potere decisionale: a quale vertice conferirlo? L’Unione europea non è uno stato federale con un bilancio federale che rinviene un proprio vertice in grado di impegnare in un conflitto tutti gli Stati membri. Dunque, nonostante il mondo corra veloce dopo avere imboccato la ripida discesa dell’instabilità, il Vecchio continente resta inadeguato a soddisfare pienamente i bisogni espressi a seguito delle crisi in atto nel teatro globale. La «Difesa europea» è debole, e malgrado l’elevato livello qualitativo che caratterizza i suo ventisette diversi dispositivi militari essa è afflitta da un deficit sul piano quantitativo.

A674AB – ARMI, SPESE MILITARI E CONSENSO POLITICO: il «dilemma» della Difesa nella narrazione dei media; ovvero: costruire un ospedale o comprare un F-35? Guerre, strategie, soldi, difesa comune europea e comunicazione: questi i temi al centro della discussione nel corso dell’interessante seminario che ha avuto luogo il 17 ottobre scorso presso la Sala delle Bandiere dell’Ufficio in Italia del Parlamento europeo a Roma, evento organizzato dall’Ordine dei Giornalisti del Lazio e PIUE (Ente terzo formatore) assieme al Festival della Diplomazia.
Alla fine le conclusioni sono state più o meno sempre le stesse di sempre: ribadita la sempre più urgente necessità di pervenire a una Difesa comune che consenta di razionalizzare la spesa dei ventisette Stati membri dell’Unione europea e potenziare così lo strumento militare del vecchio continente… però, si è rilevato come, nei fatti, l’impresa si presenti tuttavia impossibile, poiché ostano i requisiti fondamentali rinvenibili negli interessi di ogni singolo Paese e, all’interno di essi, nei molteplici vincoli nazionali sulla sicurezza e l’industria, rendite di posizione, carriere e altri fattori rispetto ai quali una concreta messa in comune risulta oltremodo difficile, se non addirittura impensabile.
Al seminario romano hanno preso parte CARLO FELICE CORSETTI (Presidente PIUE, Vicepresidente del Collegio nazionale dei probiviri della Federazione nazionale stampa italiana, FNSI), CARLO CORAZZA (Direttore dell’Ufficio in Italia del Parlamento europeo), VITTORIO CALAPRICE (analista politico Cyber Space AI presso la Rappresentanza della Commissione europea in Italia), GIORGIO BARTOLOMUCCI (Segretario generale del Festival della Diplomazia), FABIO MORABITO (Direttore “PIU Europei”), VINCENZO CAMPORINI (generale dell’Aeronautica militare italiana, già Capo di Stato Maggiore della Difesa), STEFANO MANNINO (generale dell’Esercito italiano, attuale Presidente del Centro Alti Studi Difesa), GIORGIO ALIBERTI (Direttore dell’Unità per le autorizzazioni dei materiali d’armamento del Ministero degli Affari esteri e della Cooperazione internazionale), GUIDO D’UBALDO (Presidente dell’Ordine dei Giornalisti del Lazio), ROBERTA PINOTTI (parlamentare della Repubblica, già ministro della Difesa), MARIO MAURO (già ministro della Difesa), MAURIZIO MENSI (docente di Diritto dell’economia SNA e membro del CESE), MAURIZIO MELANI (ministro plenipotenziario, docente di Studi strategici e Politiche della sicurezza presso la Link University), ELIO CALCAGNO (Programma Difesa dell’Istituto Affari Internazionali), ALESSANDRO TAMBURRINI (Université Libre de Bruxelles Double Degree).
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