ENERGIA, guerre e prezzi petroliferi. Gli attacchi ai pozzi iraniani rischiano di innescare un’altra Desert Storm

Questo l’apocalittico commento espresso da Michele Marsiglia, presidente Federpetroli Italia, che ha analizzato l’attuale scenario mediorientale alla luce delle tensioni che lo stanno interessando, focalizzando in particolare l’attenzione sui riflessi di un incremento esponenziale di esse sulla produzione, il trasporto e, quindi, lo scambio di materie prime energetiche

«Se venissero attaccati i siti petroliferi, ci troveremmo di fronte a uno scenario molto simile a quello della prima guerra del Golfo, a un’altra Desert Storm. A quel punto verrebbe a mancare il petrolio non solo per noi, ma sull’intero mercato internazionale, un po’ come accaduto con la chiusura dei rapporti con la Russia. Ma questo non sarebbe nemmeno l’effetto peggiore».

EFFETTI DI UN EVENTUALE ATTACCO A POZZI E TERMINALI IRANIANI

Questo l’apocalittico commento espresso da Michele Marsiglia, presidente Federpetroli Italia, che ha analizzato l’attuale scenario mediorientale alla luce delle tensioni che lo stanno interessando, focalizzando in particolare l’attenzione sui riflessi di un incremento esponenziale di esse sulla produzione, il trasporto e, quindi, lo scambio di materie prime energetiche. «Attaccare i pozzi avrebbe effetti devastanti. Ancora adesso, in Iraq si contano i danni della stagione di guerra di Desert Storm e oggi, a distanza di quasi trent’anni da allora, si lavora per arginarne le conseguenze negative. In Kuwait, laddove le bombe sono cadute trent’anni fa, si sono formate delle vasche nelle quali affiora il greggio, che in quelle zone è alto: un disastro».

Michele Marsiglia, presidente di Federpetroli Italia

LA POSIZIONE DI WASHINGTON

«L’amministrazione Biden ha detto di sì all’attacco ai pozzi petroliferi, ma ha negato il placet a Israele per quello ai siti nucleari degli ayatollah, e lo ha fatto per ovvie ragioni. Ora, il quesito che ci si può porre è se l’abbia fatto per elevare i prezzi, Per gli Stati Uniti, infatti, il problema non si porrebbe, poiché dispongono di una produzione interna e importano petrolio e gas dall’America Latina. Il guaio è per chi sta da quest’altra parte dell’Oceano». Si valutano dunque i vari possibili scenari ancora aperti. «L’Iran – prosegue il presidente di Federpetroli Italia – ha reso chiaramente noto di essere pronto a colpire nel caso venissero attaccati i suoi porti e i suoi siti produttivi: le forze della Repubblica Islamica a quel punto cercherebbero di attaccare le strutture energetiche di altri paesi dell’area. A cominciare, temo, da Israele e da altre potenze regionali locali».

I VARI SCENARI POSSIBILI

Marsiglia paventa l’innesco di un effetto domino dalle conseguenze imprevedibili. «L’unica certezza risiederebbe nel fatto che il Golfo Persico, e non il Canale di Suez che è solo una porta, è il terminale ultimo per l’Europa, dunque il luogo dal quale transita il 78% dei flussi petroliferi mondiali: una volta colpito verrebbe paralizzato. Fermi i carichi per l’Europa, fermi quelli per la Cina Popolare; a quel punto non si tratterebbe più soltanto di una questione esclusivamente logistica, che in ogni caso sarebbe grave, ma sarebbe un disastro. A cui si unirebbe poi la catastrofe ambientale. In fatti, non è mica facile gestire l’esplosione di un pozzo e neppure le conseguenze, a cominciare dalla fuoriuscita incontrollata di greggio. Tutto petrolio che finirebbe nelle acque del Golfo Persico, proprio come accadde ai tempi di Desert Storm».

velivoli da combattimento israeliani F-35I Adir ed F-16I

SE TEHERAN BLOCCA LO STRETTO DI HORMUZ

«Prima dell’ultima escalation e dell’ipotesi di attacco ai pozzi, negli osservatori si faceva strada l’idea che si potesse chiudere lo stretto di Hormuz e il Golfo Persico al passaggio delle navi. In questo caso, si sarebbe verificato quello che abbiamo, in un certo senso, già vissuto nei mesi immediatamente successivi all’insorgere del conflitto tra Russia e Ucraina con il gas. Il prodotto, nel nostro caso il petrolio, c’è, tuttavia diverrebbe impossibile consegnarlo nei paesi europei, che dipendono dall’approvvigionamento estero. Quindi sarebbe come non averlo, a prescindere dal prezzo al barile, aspetto che a quel punto passerebbe in secondo piano. Il vero problema non risiede nel Canale di Suez, che è solo l’ultimo terminale, ma in ciò che potrà accadere nel Golfo Persico: è da lì che passa l’80% del commercio mondiale di greggio, i rifornimenti per Europa, Africa e Asia».

FATTORE PREZZO: CONFLITTI, MERCATI, LOGISTICA E OPEC+

Una dinamica del genere farebbe schizzare in alto i prezzi al barile, «quello che porrebbe l’Opec nelle condizioni di bypassare problemi e divisioni intestine, ottenendo al contempo senza colpo ferire e senza intaccare i livelli produttivi di superare le tensioni interne e adeguare immediatamente i prezzi. L’Arabia Saudita, che di recente ha esercitato pressioni al fine di pervenire a un piano di tagli graduale, ha evidenziato che un prezzo del greggio tra i 60 e i 70 dollari al barile in questo momento non sarebbe una quotazione ottimale. Però, ci sono altri Stati membri dell’organizzazione dei produttori petroliferi che puntano a produrre e guadagnare, pertanto a Riyadh si sono sentiti in dovere di avvisare tutti che, se dovesse continuare così il greggio arriverà a costare 50 dollari al barile, prezzo che per i produttori sarebbe stracciato».

la petroliera Mercer Street colpita da un drone nel Golfo dell’Oman

PREZZI FUORI CONTROLLO

Le tensioni in Medio Oriente stanno rimescolando le carte in tavola. «Al di là dello scenario peggiore, quello degli attacchi diretti alle infrastrutture, ai porti e ai siti di produzione, permane la questione logistica, che di suo sarebbe in grado di incidere con incrementi straordinari del costo del petrolio, sulla falsariga di quanto già accaduto col gas». Tutto questo, ovviamente, si ripercuoterebbe pesantemente sui consumatori finali. «Condizioni straordinarie avvererebbero prezzi fuori controllo – conclude Marsiglia -, abbiamo già assistito a notevoli aumenti del prezzo dei carburanti, abbiamo già acquistato la benzina a due euro al litro: magari potrebbe arrivare a costare anche di più, con tutto quello che ne conseguirebbe riguardo ai trasporti, alla logistica e ai prezzi finali pagati dai consumatori di tutti quei beni primari e non che arrivano nei negozi».

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