Le forze armate israeliane hanno inoltre distrutto numerose postazioni di lancio di missili anti-nave di Hezbollah, si tratta dei famigerati Silkworm (bachi da seta di produzione cinese), rendendo così possibili in maggiore sicurezza eventuali operazioni di sbarco anfibie sulla costa libanese da parte di unità commando. Intanto, nello spazio aereo siriano gli israeliani hanno impedito l’atterraggio a un velivolo cargo proveniente dall’Iran che era diretto all’aeroporto di Damasco, probabilmente recante forniture di armi per Hezbollah.
I BUNKER DI NASRALLAH
Nella guerra contro Hezbollah condotta dagli israeliani in Libano l’obiettivo principale era dunque il segretario generale e leader religioso del movimento sciita filoiraniano Hassan Nasrallah, da anni perennemente protetto da un efficace e apparentemente impenetrabile sistema di sicurezza. Emblematici al riguardo erano i suoi lunghi sermoni dai contenuti politici che il leader di Hezbollah pronunciava da dietro un robusto cristallo antiproiettile, si trattava delle rare occasioni nelle quali egli appariva pubblicamente. «C’è sicuramente un ostacolo – affermava recentemente l’esperto di contrasto del fenomeno terroristico israeliano Ely Karmon -, un bunker sotterraneo», aggiungendo che Nasrallah lo lasciava raramente. Ma, evidentemente, l’intelligence dello Stato ebraico era a conoscenza dell’ubicazione dei rifugi della guida spirituale e segretario generale di Hezbollah, e le IDF hanno conseguentemente atteso il momento maggiormente opportuno per sferrarvi contro un attacco.
VUOTO ATTORNO AL CAPO
Il Consiglio della Jihad di Hezbollah, che rinveniva al suo vertice Hassan Nasrallah, era composto da elementi con responsabilità superiori di comando. Cinque di loro sono stati fisicamente eliminati dagli israeliani negli attacchi dei giorni scorsi, tra questi anche Fuad Shukr, a capo della componente militare dell’organizzazione, un vero e proprio esercito strutturato che controlla (o, per lo meno, controllava) buona parte del Libano, in particolare la parte meridionale del Paese fino al confine con lo Stato ebraico e la periferia sud della capitale Beirut, con buona pace dell’Armée Libaneise e di Unifil. La settimana scorsa era stato ucciso anche Ibrahim Aqil, della Radwan Force, quindi era stata la volta di Ibrahim Qubaisi, appena assurto nella gerarchia di Hezbollah al ruolo di stretto collaboratore del segretario generale, al quale era alle dirette dipendenze. Nel frattempo, il 31 luglio scorso, a Teheran era stato ucciso anche il palestinese Ismail Haniyeh, uno dei leader di Hamas.
QUALCOSA DI PIÙ
Ma l’eliminazione di Nasrallah rappresenta qualcosa di più di quanto avvenuto in passato, poiché si tratta di una figura di estremo rilievo la cui caratura non sarà probabilmente sostituibile in breve tempo. Infatti, a differenza di quanto avvenuto in passato, la sua uccisione non è paragonabile ad altre eliminazioni più o meno mirate di membri anziani dell’ala militare di Hamas o di Hezbollah, ma è presumibile che gli effetti di essa, sia in Medio Oriente che a livello internazionale più ampio, possano essere dirompenti, anche e non solo con specifico riguardo al terrorismo. Di certo c’è che la morte di Hassaan Nasrallah è per Hezbollah una perdita senza precedenti, poiché priva l’organizzazione sciita libanese del suo leader di maggiore caratura. È un grosso colpo anche per la Repubblica Islamica dell’Iran, che in lui rinveniva un fondamentale ed efficace alleato al di fuori dei suoi confini.
E ADESSO?
Teheran dovrà dunque rimpiazzare il decapitato vertice di Hezbollah al più presto, poiché all’interno del Consiglio del Jihad dell’organizzazione sciita libanese gli iraniani continueranno ad avere una grande influenza. In attesa di capire chi avrà le capacità di assumere il ruolo che fu di Nasrallah ci si interroga su come potrebbe venire colmato questo vuoto nella regione: saranno ancora gli iraniani a decidere o si instaurerà un legame diretto tra altre potenze mondiali e attori locali nel frattempo emersi attraverso i conflitti? Ad avviso del citato Ely Karmon, nel breve termine questo potrebbe essere un ruolo attagliato agli Houti yemeniti, «che sono sì, proxi di Teheran, ma che negli ultimi tempi hanno registrato una crescita di prestigio sullo scenario locale in conseguenza delle loro azioni terroristiche, ad esempio nel Mar Rosso, ma non solo, dove hanno messo in difficoltà il commercio internazionale con i loro attacchi alle navi mercantili in navigazione. Oggi gli Houti stringono rapporti sempre più stretti con la Russia di Vladimir Putin e con la Cina Popolare, potenze con le quali stanno facendo rete e dalle quali ricevono direttamente forniture di armi senza passare attraverso gli ayatollah». Un quadro oltremodo complicato che si delinea a poche settimane dalle elezioni presidenziali negli Stati Uniti d’America.