SUDAN, guerra e crisi umanitaria. Scenario aggiornato all’agosto 2024

Si estende il ricorso ai droni, sistema d’arma che ha mutato in parte la dinamica del conflitto, mentre in parallelo i negoziati per la pace avviati a Ginevra il 14 agosto scorso sono in una fase di stallo

Nel Paese africano proseguono dunque gli scontri armati tra le Forze armate sudanesi (SAF) e le Forze paramilitari di supporto rapido (RSF), divampati ormai da più di un anno, il 15 aprile del 2023, e che hanno provocato più di ventimila morti, con picchi di violenza politica principalmente negli stati di Khartoum (la capitale) e del Darfur settentrionale. I negoziati intavolati a Ginevra il 14 agosto scorso tra le delegazioni sulle questioni umanitarie sono in una fase di stallo e, al momento, non è chiaro se i belligeranti riprenderanno i colloqui interrotti, data la mancata partecipazione delle SAF.

LE CONDIZIONI POSTE DALLE SAF

La condizione che esse pongono a una ripresa delle trattative è quella dell’implementazione della cosiddetta Dichiarazione di Gedda, cioè dell’accordo in precedenza raggiunto a seguito di negoziati che ebbero luogo in Arabia Saudita lo scorso anno. Esso contempla per le parti firmatarie una serie di impegni relativi alla tutela della popolazione civile e alle operazioni umanitarie. Di risulta, le RSF dovrebbero provvedere all’evacuazione dei suoi uomini armati dalle zone residenziali. A questo punto, l’alternativa (caldeggiata dai negoziatori) potrebbe essere quella di tenere consultazioni separate al Cairo che vedano la partecipazione delle SAF, sede nella quale discutere l’implementazione della Dichiarazione di Gedda.

GUERRA DI DRONI E CONTROLLO DELLO SPAZIO AEREO

Tuttavia, alla luce di tali dinamiche il bilancio permane negativo, poiché sono ormai sedici mesi che si combatte in Sudan, anche nel Darfur settentrionale piagato da piogge torrenziali che hanno provocato delle inondazioni, aggravando così la già pesante crisi umanitaria. Sul piano militare si registrano una serie di attacchi effettuati dalle RSF mediante l’impiego di velivoli a pilotaggio remoto (droni) contro posizione delle SAF precedentemente considerate da queste ultime sicure poiché distanti dalle aree del conflitto. Tra questi rientra il tentativo di assassinio del comandante dell’esercito sudanese Abdel Fattah al-Burhan, del 31 luglio presso la base militare di Jabit, nello Stato (wilayat) del Mar Rosso. Un chiaro segnale lanciato il giorno dopo che il governo di Khartoum aveva accettato condizionatamente l’invito degli Stati Uniti d’America a partecipare ai colloqui per il cessate il fuoco in Svizzera. Fino ad allora le SAF avevano mantenuto un sostanziale controllo dello spazio aereo, disponendone pressoché liberamente ai fini degli attacchi aerei, questo anche perché, seppure le RSF controllino alcuni aeroporti, questi non sono operativi a causa della indisponibilità di jet da combattimento.

ALLEATI REGIONALI E FORNITURE DI ARMI

Era comunque prevedibile che nel corso della guerra i contendenti avrebbero fatto un ricorso ai droni da combattimento (UCAV, Unmanned Combat Aerial Vehicle): se la SAF già ne possedeva (presso la Yarmouk Factory for Military Industries, poi passata sotto il controllo della RSF nel giugno del 2023), gli alleati regionali di entrambi i belligeranti hanno comunque provveduto a rifornire i loro aventi causa, l’Iran alla SAF e gli Emirati Arabi Uniti alla RSF. Questi sistemi d’arma hanno trovato impiego nel bombardamento delle posizioni avversarie in settori del territorio sudanese in precedenza non interessati direttamente dai combattimenti, portando dunque a un allargamento della base geografica del conflitto, che ha comunque avuto a oggetto soprattutto la regione di Khartoum. La SAF impiega in prevalenza i droni in azioni di supporto delle truppe terrestri nel corso delle offensive, mentre la RSF lo fa sulla base del piano strategico che prevede la generazione di insicurezza nelle retrovie del nemico, creando così i presupposti di una minaccia costante tale da costringere il nemico a estendere le sue linee difensive, con il risultato di indebolire le proprie capacità complessive di combattimento prolungato.

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