a cura del professor Ely Karmon, pubblicato dal quotidiano “Maariv” il 25 agosto 2024, https://www.maariv.co.il/journalists/opinions/Article-1127305 – Secondo diverse qualificate fonti, principalmente americane, il successo dei negoziati tra Israele e Hamas per il rilascio delle persone sequestrate durante il raid del 7 ottobre includerà tra i suoi punti fondamentali la cessazione dei combattimenti nella striscia di Gaza e la sua evacuazione da parte dei militari israeliani. Una soluzione che dovrebbe convincere la leadership di Teheran ad astenersi dal compiere un grande attacco contro Israele quale ritorsione per l’eliminazione fisica di Ismail Haniyeh a Teheran, avvenuta alcune settimane fa.
DUBBI SULLE CONCRETE POSSIBILITÀ DI UN ACCORDO
A mio avviso, le possibilità che si raggiunga un accordo per la liberazione dei sequestrati sono molto basse: perché Yahya Sinwar dovrebbe volerlo, se fin dall’inizio, dopo il 7 ottobre, il suo interesse è stato quello dell’intervento diretto di Teheran nei combattimenti e ha anche espresso la sua rabbia per la posizione assunta dagli iraniani? Inoltre, Hamas sarà in grado di convincere la leadership di Teheran ad astenersi dal compiere un grande attacco contro Israele quale vendetta? Le possibilità che si raggiunga un accordo per la liberazione dei sequestrati risultano essere dunque molto basse. Nel recente passato il primo ministro israeliano Benjamin Netanyahu ha già compromesso diversi tentativi di accordo. E cosa ha fatto durante i delicati negoziati delle ultime settimane? Ha consentito la visita al Monte del Tempio del ministro della Sicurezza nazionale Ben Gvir, il quale ha dichiarato che: «La nostra politica è quella di consentire la preghiera».
CHI REMA CONTRO
Una visita che ha coinciso con quella in Israele del Segretario di Stato americano Antony Blinken, il quale ha chiaramente affermato che «ciò che è più importante ora, è che tutti si astengano dall’intraprendere azioni che possano aggravare e causare ulteriore violenza». Ma, uno come Yahya Sinwar come interpreterà precisamente la passeggiata di Ben Gvir al Monte del Tempio? Stiamo parlando di un personaggio che nel maggio 2021 ha iniziato una guerra proprio a causa dell’attività della polizia, intervenuta a seguito delle rivolte degli arabi palestinesi sul Monte del Tempio e nel quartiere di Sheikh Jarrah, violenze che in seguito condussero all’operazione “Wall Guard”. E, a questo punto, quale sarà il punto di vista di Teheran, che ha dichiarato guerra a Israele a causa dell’occupazione di al-Quds (Gerusalemme, n.d.t.) e dei luoghi santi dell’Islam.
LA DOTTRINA DELLA SPIRALE: VERSO UNA TERZA INTIFADA IN CISGIORDANIA?
Dopo l’incontro con Netanyahu, Blinken ha confermato che Israele ha accettato l’offerta di mediazione americana, tuttavia, alcune ore dopo che il Segretario di Stato americano aveva rilasciato questa dichiarazione, Netanyahu, rivolgendosi alle famiglie in lutto che lo politicamnte sostengono, ha inteso sottolineare come «non sia sicuro che si raggiungerà un accordo», rimarcando inoltre che le Forze di Difesa israeliane «non lasceremo l’asse di Filadelfia». Sfortunatamente, la strategia delle Forze armate israeliane in Giudea e Samaria (Cisgiordania, n.d.t.), che dovrebbe ridurre la diffusione delle attività terroristiche nella regione, sta invece conducendo ciecamente a una terza intifada. L’impiego di velivoli militari e droni (Unmanned Aerial Vehicle, UAV e Unmanned Combat Aerial Vehicle, UCAV, n.d.t.) a Jenin, Tulkarem e Nablus sta trasformando il nord della Samaria in una seconda Gaza, sia sul piano simbolic che su quello pratico. L’arresto di migliaia di palestinesi (e anche l’eliminazione di molte centinaia di terroristi), a fronte anche di una scarsità di posti disponibili nelle carceri, allarga in modo esponenziale la cerchia di coloro che desiderano unirsi al circolo del terrore, fenomeno conosciuto altrove come dottrina della spirale.
ASSENZA DI ORIZZONTI POLITICI
La prosecuzione della soluzione selvaggia e violenta in Cisgiordania, contestualmente all’assenza di tentativi di ricorrere all’Autorità palestinese «riformatrice» per una soluzione nella striscia di Gaza, non lascia ai palestinesi alcun orizzonte politico. Alla fine, alla luce di questo cupo scenario, il regime iraniano sarà portato a compiere un significativo intervento di forza contro Israele, quindi a una guerra regionale? La considerazione principale da fare, a mio avviso, è che a guidare le decisioni dei leader iraniani sarà la minaccia diretta in caso di guerra regionale, cioè l’esposizione alla distruzione delle loro infrastrutture (come i terminali petroliferi nel Golfo), degli impianti nucleari e di quelli dei giacimenti di petrolio e gas, tutte molto vulnerabili, come si è potuto osservare nel caso del bombardamento israeliano del porto di Hodeida nello Yemen.
INCOGNITE DI AMPIO RESPIRO
L’US Navy è presente nella regione: nel Mar Mediterraneo, nel Mar Rosso e nel Golfo Persico; ma il dispositivo navale americano aveva lo scopo di scoraggiare Teheran, non di sferrare un attacco. A due mesi dalle presidenziali di novembre negli Stati Uniti, la leadership iraniana correrà il rischio di sfidare il presidente Joe Biden prima della fine del suo mandato (e della sua carriera politica) allo scopo di impedire il successo di Kamala Harris e dei democratici alle elezioni? Se così fosse, ciò porterebbe alla vittoria di Donald Trump, un presidente che si troverebbe immediatamente, al momento del suo insediamento, a dover affrontare la sfida iraniana e le sue conseguenze sul piaano globale. Parrebbe tuttavia che a Teheran si tama molto questo scenario e, conseguentemente, si stiano anticipando gli eventi. È interessante notare come l’FBI abbia confermato di aver aperto un’indagine a carico dei presunti responsabili (iraniani) dei tentativi di hacking mirati alla campagna presidenziale sia di Trump che della Harris.
LE SOTTILI MANOVRE DEI PARTI
I collaboratori più vicini a Trump hanno dichiarato che l’hacking sarebbe legato al fatto che i giornalisti ricevevano copie di un documento interno relativo a J.D. Vance, suo candidato alla carica di vicepresidente, con l’obiettivo di sabotarne la campagna elettorale e quella dei repubblicani. Ma, allo stato attuale non è affatto sicuro che il regime iraniano si assuma i rischi sopra illustrati, soprattutto quelli relativi alla sfida americana, per vendicare la morte di un leader palestinese nel suo territorio, verificatasi in circostanze ambigue e imbarazzanti. Permane in ogni caso aperta la questione Hezbollah: se e come vendicherà la morte del «capo di stato maggiore» dell’organizzazione, Fouad Shakr. Al riguardo i funzionari della sicurezza israeliani sono molto preoccupati, temono una dura reazione contro obiettivi militari strategici e, soprattutto, civili, nel territorio dello Stato ebraico. L’escalation nelle ultime settimane della guerra di logoramento e i successi dell’organizzazione islamista sciita libanese, soprattutto nel ricorso massivo ai droni, per la quale Israele non è in grado attualmente di rispondere in maniera completa ed efficace, sollevano quindi serie preoccupazioni.
GLI INTERESSI SUPERIORI SONO QUELLI DELLA REPUBBLICA ISLAMICA
Ma, in fin dei conti, Hezbollah e il suo vasto arsenale missilistico e di velivoli a pilotaggio remoto dell’organizzazione sono stati costruiti da Teheran per servire gli obiettivi strategici supremi di Teheran. Pertanto, in questa fase del conflitto ritengo che la Guida suprema, ayatollah Khamenei, opterà per la salvaguardia dell’interesse del regime teocratico, evitando rischi derivanti da scelte che potrebbero portare a una guerra totale. In fondo, egli è stato convincente con Hassan Nasrallah, inducendolo a non esagerare nella sua vendetta.