ARTE, drammi. Scene di massacri attraverso il tempo

Esattamente duecento anni veniva esposto a Parigi un dipinto inquietante che raffigurava un massacro avvenuto in un lontano angolo del Mediterraneo. Nessun'altra opera nel canone artistico parla meglio di questa degli eventi verificatisi il 7 ottobre dello scorso anno in Israele

Lo sottolinea in un suo recente scritto Martin Kramer, storico del Medio Oriente presso l’Università di Tel Aviv e il Washington Institute for Near East Policy – https://martinkramer.org/2024/08/25/scenes-from-the-massacres/ -, riferendosi all’opera “Scene dei massacri di Chios”, realizzata dall’artista francese Eugène Delacroix e, appunto, presentato per la prima volta al Salon il 25 agosto 1824, esposizione che contribuì a definire il gusto artistico della Parigi del XIX secolo. Da centocinquant’anni si trova esposta al Museo del Louvre, dove milioni di persone l’hanno potuta ammirare nel corso di due secoli e sulla quale i critici si sono espressi.

BRUTALITÀ PRIMORDIALE

«Il mio scopo è più personale del loro – afferma nel suo articolo Kramer -, per me e, immagino, per molti dei miei connazionali israeliani, correligionari ebrei e amici di entrambi, questo dipinto non può che evocare la brutalità primordiale del 7 ottobre. Ho partecipato ad alcune mostre in Israele dove si è tentato di catturare quei momenti, ma la sensibilità contemporanea, unitamente alla tradizione modernista israeliana nell’arte, lo consente soltanto a un alto livello di astrazione, mentre, al contrario, la pittura di Delacroix è viscerale, poiché ricorda gli orribili video di massacri, rapimenti e abusi registrati dalle body cam dei terroristi di Hamas».

MORTE O SCHIAVITÙ

Il giovane Delacroix, che quando ultimò il dipinto aveva solo ventisei anni, si ispirò alla guerra d’indipendenza greca dal dominio ottomano iniziata nel marzo 1821. «Sto pensando di realizzare un dipinto per il prossimo Salon sul tema delle recenti guerre tra i Turchi e i Greci – scrisse a un amico nell’autunno di quello stesso anno -, penso che, date le circostanze, questo sarebbe un modo per distinguermi». Tuttavia, Delacroix non riuscì a completare la sua opera prima di tre anni, e nel 1824 qyuesta venne esposta al Salon. «Furono nuovi eventi a dargli lo slancio – prosegue Kramer nel suo articolo -, nel 1822 la prospera isola di Chios, nel Mar Egeo, governata dagli ottomani ma popolata da greci, venne conquistata da questi ultimi, ribellatisi. Gli Ottomani ne ripresero il controllo ricorrendo a una ferocia che sconvolse l’Europa. Le stime variano, ma si ritiene che abbiano massacrato, schiavizzato e fatto morire di fame almeno centomila cristiani greci, lasciando l’isola spopolata. Resoconti espliciti di torture selvagge si diffusero in tutto il continente, alimentando il movimento filoellenico con rabbia e determinazione».

UN IMPATTO DEVASTANTE

Nel dipingere il quadro, Delacroix fece affidamento su questi resoconti oltreché sulle conversazioni con un francese che fu testimone oculare dei fatti. Il sottotitolo dell’opera, così come venne all tempo presentata, era “Le famiglie greche attendono la morte o la schiavitù, eccetera”, con quell’eccetera che altro non era che una discreta allusione agli stupri. L’immagine si focalizza su un gruppo di persone disperate: uomini, donne e bambini disperati; la sconfitta, il degrado e la rassegnazione sono impressi sui loro volti. «La scena più toccante è localizzata sul lato destro del quadro – sottolinea Kramer -, dove una donna nuda e legata viene trascinata via da un indifferente cavaliere turco: ella è destinata allo stupro e alla schiavitù. Sotto giace il cadavere di una madre morta, con il proprio bambino vivo che cerca istintivamente il suo seno nudo. I corpi dei greci feriti e morti sono sparsi in un paesaggio bruciato e devastato, dove infuria ancora la battaglia».

PARALLELI CON IL PRESENTE

L’impatto dell’opera è amplificato dalle sue dimensioni travolgenti. Infatti, il dipinto è alto oltre quattro metri e largo più di tre metri (…)

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