SAHARA OCCIDENTALE, controversia. Il conflitto è finito: ora bisogna negoziare i termini di un accordo

Ad avviso di Thomas M. Hill «il riconoscimento della sovranità del Marocco da parte della Francia costituisce un passo decisivo verso la fine del conflitto», poiché, di fatto, «l’accettazione del controllo di quel territorio da parte di Rabat sta aumentando a livello internazionale. A questo punto, il popolo sahrawi e l'Algeria dovrebbero negoziare con il Regno nordafricano le condizioni di pace prima che lo status quo diventi permanente»

a cura di Thomas M. Hill, pubblicato il 14 agosto 2024 dall’United States Institute of Peace, https://www.usip.org/publications/2024/08/western-saharas-conflict-over-negotiating-terms-comes-next; le opinioni espresse in questa analisi vanno ricondotte all’autore – Una delle guerre più lunghe dell’Africa si è avviata verso la conclusione lo scorso mese luglio, quando la Francia ha riconosciuto la pretesa di sovranità del Marocco sul Sahara Occidentale. Tale evento, considerato unitamente alla supremazia militare di Rabat sul campo, di fatto, non lascerà al movimento indipendentista Sahrawi altra scelta se non quella di accontentarsi di una qualche forma di autonomia all’interno del Regno nordafricano.

LA REALTÀ DEI FATTI

Sebbene questa realtà risulterà insoddisfacente per i circa 173.000 sahrawi che vivono nei campi profughi, la loro migliore opzione (e quella di chi li sostiene, cioè l’Algeria) è ora quella di cogliere l’opportunità di negoziare le migliori condizioni di pace possibili con il Marocco, ponendo così fine a un conflitto che mantiene così tante persone senza patria e in miseria, rimuovendo al contempo un importante fattore di crisi nelle relazioni tra Rabat e Algeri, migliorando in questo modo il livello di stabilità regionale. La popolazione indigena sahrawi e la sua leadership politico-militare (il Fronte Polisario) hanno combattuto per l’indipendenza fino dagli anni Settanta, quando la Spagna controllava il Sahara Occidentale.

UNA CONTROVERSIA SEGUITA AL DISIMPEGNO SPAGNOLO

Nel 1975, a seguito del ritiro di Madrid, il Marocco ha rivendicato, occupato e iniziato a sviluppare quel territorio ponendolo al di sotto della sua sovranità. Con il sostegno della confinante Algeria, il Polisario ha intrapreso uno sforzo infruttuoso al fine di liberarlo e stabilirvi la Repubblica Democratica Araba Sahrawi. Quindi, nel 1991 le Nazioni Unite si sono impegnate nella risoluzione del conflitto istituendo una missione di mantenimento della pace, alla quale è stato conferito il mandato di organizzare e garantire lo svolgimento di un referendum popolare sullo status del territorio conteso. Ma quel referendum non ha mai avuto luogo e il Sahara Occidentale permane oggi sotto il controllo di Rabat, con molti dei suoi ex abitanti regione esiliati nei campi profughi in Algeria.

CRESCENTI RICONOSCIMENTI DELLA SOVRANITÀ DI RABAT

Nel 2020 il presidente degli Stati Uniti d’America, Donald Trump, ha riconosciuto ufficialmente la «sovranità marocchina sull’intero Sahara Occidentale», questo perché il Regno nordafricano aveva riconosciuto lo Stato di Israele nel quadro degli Accordi di Abramo. Tale mutamento da parte di Washington ha giovato alla proposta marocchina formulata nel 2007, relativa all’autonomia del Sahara Occidentale quale «unica base per una soluzione giusta e duratura» alla controversia. All’epoca numerosi fautori dell’indipendenza sahrawi, tra i quali l’Algeria, giudicarono la presa di posizione della Casa Bianca come uno sviluppo dannoso e inconcludente, tuttavia, da allora trentasette stati nel mondo hanno seguito l’esempio americano e oggi il riconoscimento francese appare decisivo.

RUOLO E «PESO» DELLA FRANCIA

In quanto potenza coloniale più di recente dal Maghreb, la Francia è probabilmente l’attore esterno maggiormente influente sulla regione. Parigi prospetta il suo futuro economico al Marocco e non all’Algeria, dunque, la sua decisione di porre fine alla propria neutralità sulla controversia relativa al Sahara Occidentale riflette e rafforza un crescente consenso internazionale a sostegno delle rivendicazioni di sovranità marocchine. Il controllo di fatto che attualmente esercita Rabat su quel territorio conteso diverrà permanente, a meno che il Polisario non si attivi rapidamente al fine di negoziare maggiori concessioni rispetto a quelle offerte dal Regno nordafricano nel quadro del suo piano di autonomia presentato nel 2007.

ALLINEAMENTI E DINAMICHE

Le opposizioni europee alle rivendicazioni di sovranità marocchine negli ultimi anni si sono ridotte, questo in parte a causa dell’incremento degli scambi commerciali con Rabat, in parte alla luce del precedente statunitense. Anche la maggior parte degli Stati della Lega Araba e molti di quelli dell’Unione Africana si sono allineati a questa posizione, paesi influenti come Cina, Russia, Turchia, Regno Unito e Italia rimangono ufficialmente neutrali, ma c’è da domandarsi per quanto tempo ancora. Poiché le Nazioni Unite non hanno compiuto progressi concreti verso una soluzione pacifica, il Marocco controlla più di tre quarti del Sahara Occidentale, che continua a sviluppare sul piano economico colonizzandolo, integrando sempre più il territorio e i suoi abitanti nello Stato.

IL PIANO DI AUTONOMIA

Nel 2007 il Polisario ha respinto il piano di autonomia presentato dal Marocco, che prevedeva il controllo di Rabat sull’intero territorio, tuttavia, si è offerto di lasciare che il suo popolo «gestisse i propri affari democraticamente attraverso organi legislativi, esecutivi e giudiziari che godevano di poteri esclusivi». Diciassette anni dopo, l’incapacità di ottenere militarmente l’indipendenza ingenera un quesito: di quali ulteriori concessioni marocchine ha bisogno il Polisario per accettare il Piano di autonomia? Una delle questioni aperte è quella relativa al diritto al ritorno per 173.600 rifugiati sahrawi che attualmente vivono in cinque campi profughi nei pressi della città di Tindouf, nell’Algeria sudoccidentale. Mentre il Piano marocchino prevede la piena integrazione nel tessuto del Paese delle persone da rimpatriare, i sahrawi vorranno sicuramente maggiori garanzie su «chi sarà» il benvenuto al ritorno.

ALCUNE QUESTIONI APERTE

Chiederanno opzioni chiare per chi deciderà di non tornare, dei quali alcuni non hanno mai messo piede nel Sahara Occidentale. L’agenzia delle Nazioni Unite per i rifugiati o altre organizzazioni umanitarie aiuteranno a reinsediare queste persone? Quale risarcimento potranno chiedere i Sahrawi al Marocco per le proprietà all’interno del territorio rispetto alle quali non saranno in grado (o sceglieranno) di non riprendere? Si riuscirà a formare una coalizione di stati donatori pronti a risarcire tutti questi sfollati? Nel 1948 le Nazioni Unite chiesero agli stati membri di fornire supporto finanziario per risarcire i rifugiati palestinesi, però casi simili, seppure verificatisi nel passato, costituiscono delle rarità, dunque i vari governi potrebbero dimostrarsi riluttanti a impegnarsi in questo senso. I rifugiati Sahrawi potrebbero venire risarciti tramite finanze derivanti dai proventi della commercializzazione delle risorse naturali estratte da quel territorio?

INTERROGATIVI SUL DESTINO DEI SAHRAWI

E inoltre: i sahrawi che decideranno di tornare potrebbero prendere in considerazione l’ipotesi di forme aggiuntive di autonomia all’interno dello stato marocchino? Degli accordi politici raggiunti democraticamente nella regione MENA (Medio Oriente e Nord Africa, n.d.t.), come ad esempio nel caso del sistema confessionale libanese o le quote etnonazionali dell’Iraq, saranno in grado di offrire garanzie nei termini della rappresentanza delle minoranze a livello nazionale? A questo punto sarebbe interesse dei Sahrawi proporre delle soluzioni appropriate. Ad esempio, potrebbero richiedere un numero riservato di seggi nel parlamento marocchino per la propria rappresentanza, o che il primo ministro del nominato dal Re sia sempre un sahrawi.

I PROBLEMI DERIVANTI DALL’AMNISTIA GENERALE

La proposta di autonomia prevede un’amnistia generale «che esclude qualsiasi procedimento legale, arresto, detenzione, imprigionamento o intimidazione di qualsiasi tipo sulla base di fatti coperti da essa», ma al riguardo il Piano non specifica quali sahrawi ne beneficerebbero: quelli che vivono fuori dal territorio o anche quelli incarcerati in Marocco? Rabat detiene in carcere i sahrawi che hanno sostenuto l’indipendenza e i diritti umani del loro popolo, tuttavia non gli riconosce lo status di prigioniero politico in conseguenza del fatto che i tribunali del Regno li hanno condannati per reati penali. Ma il Polisario chiederà che la maggior parte di essi, se non tutti, vengano rilasciati quale parte dell’accordo.

SCONTRO GENERAZIONALE NEL POLISARIO

Oltre alle richieste del popolo saharawi in ordine al riconoscimento e alla protezione etno-nazionale, qualsiasi soluzione negoziata al conflitto richiederebbe di tenere conto anche di altri interessi in gioco, in particolare di quelli facenti capo all’attuale leadership saharawi e al governo algerino. Va inoltre tenuto in considerazione che, dopo cinquant’anni di lotta per l’indipendenza, la leadership del Polisario è oggetto di un’enorme pressione per raggiungere quell’obiettivo. Oggi non pochi sahrawi descrivono quella leadership come troppo vecchia e inefficace. Una nuova generazione di sahrawi, molti dei quali non hanno mai vissuto nel Sahara occidentale, si agita per un approccio più violento. Affinché gli attuali leader rinuncino formalmente all’indipendenza e impediscano un putsch, dovranno essere in grado di rivendicare una vittoria «altrimenti» definita, ma non è immediatamente chiaro quale exit strategy gli si renderà praticabile, qualcosa che  gli consenta di recedere dai loro obiettivi massimalisti a qualcosa di meno dell’indipendenza.

GLI INTERESSI DI ALGERI

Per Algeri la perpetuazione del conflitto nel Sahara Occidentale è un modo per porre in difficoltà il proprio rivale, il Marocco. Mentre l’Algeria ha a lungo sottolineato l’importanza della decolonizzazione, specialmente nel Sahara Occidentale, l’accettazione dell’autonomia marocchina da parte del Polisario le fornirebbe la copertura interna per accettare anche la sovranità marocchina. In privato, Algeri potrebbe (e probabilmente farebbe) agire per scoraggiare il Polisario dall’accettare l’autonomia senza anche ottenere concessioni dal Marocco che avvantaggiassero direttamente il suo vicino. Rabat e Algeri sono stati riluttanti a porre in connessione il conflitto nel Sahara Occidentale ad altri controversie bilaterali, tuttavia, tale atteggiamento potrebbe venire superato qualora gli algerini ritengano che i Sahrawi si muovano in direzione dell’accettazione unilaterale del piano di autonomia marocchino.

ELEMENTI NEGOZIALI

Ebbene, in un simile scenario quali concessioni cercherebbe di ottenere l’Algeria dal Marocco? Algeri potrebbe tentare di riavviare la fornitura di gas attraverso la condotta Maghreb-Europa a condizioni più favorevoli? Potrebbe richiedere una dichiarazione formale che denunci espressamente il sostegno transfrontaliero a gruppi e individui che cercano di indebolire o destabilizzare i rispettivi regimi? Considererebbe sufficienti queste concessioni? L’impulso internazionale è interamente dalla parte di Rabat e in un futuro non troppo lontano il controversia sul Sahara Occidentale verrà effettivamente risolta, seppure una manciata soltanto di stati continueranno a sostenere l’indipendenza dei Sahrawi. Dato il vantaggio militare del Marocco sul Polisario, il popolo sahrawi non ha altra scelta che un accordo negoziato.

IN UN FUTURO NON TROPPO LONTANO

A quel punto il Piano di autonomia marocchino diventerà l’accordo di fatto, a meno che il Polisario non riesca a negoziare qualcosa di più. Accettare questa realtà è una pillola amara da ingoiare per il popolo sahrawi e per i suoi sostenitori internazionali, ma continuare a negarla può assicurare soltanto un accordo finale meno favorevole. È dunque nel migliore interesse del popolo sahrawi e dei suoi sostenitori cogliere l’opportunità di negoziare un accordo con il Marocco che conceda più di quanto offerto in precedenza, poiché agire diversamente significherebbe negare a uno dei conflitti più duraturi dell’Africa di giungere finalmente alla sua conclusione.

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