SIRIA, dissenso. Drusi: un anno di proteste e instabilità a Suwayda

La crescente violenza del regime di Damasco contro la minoranza drusa, un tempo a lui fedele, costituisce un segnale del fallimento delle politiche di «normalizzazione» delle relazioni poste in essere dal presidente Bashar al-Assad

L’argomento viene ampiamente trattato nell’analisi elaborata da Erik Yavorsky, già assistente di ricerca nel programma sviluppato da Linda e Tony Rubin presso il Washington Institute for Near East Policy, articolo pubblicato il 16 agosto 2024, https://www.washingtoninstitute.org/policy-analysis/year-suwayda-protests-show-assad-no-partner#utm_term=READ%20THIS%20ITEM%20ON%20OUR%20WEBSITE&utm_campaign=Suwayda%20Protests%20Show%20Assad%20Is%20No%20Partner%20%28PolicyWatch%203916%29&utm_content=email&utm_source=Act-On+Software&utm_medium=email&cm_mmc=Act-On%20Software-_-email-_-Suwayda%20Protests%20Show%20Assad%20Is%20No%20Partner%20%28PolicyWatch%203916%29-_-READ%20THIS%20ITEM%20ON%20OUR%20WEBSITE Il 16 agosto nella provincia sud-occidentale siriana di Suwayda sarà trascorso un anno dall’inizio del moto di continue proteste contro il regime di Bashar al-Assad, manifestazioni guidate dalla comunità drusa, che costituisce il 90% della popolazione locale e all’incirca il 3% di quella siriana. Il movimento di protesta ha fatto breccia sia nel mosaico settario del regime che  nella narrazione di Assad, secondo la quale il presidente siriano sarebbe l’unico protettore delle minoranze del Paese.

ASSAD E LE PROTESTE A SUWAYDA

Finora, il regime ha evitato una repressione su vasta scala nella provincia e, nel tentativo di soffocare la protesta ha invece fatto ricorso a una serie di intimidazioni, eliminazioni fisiche mirate (omicidi), allestimento di posti di blocco militari e sequestri di persona. Sebbene sia improbabile che le proteste conducano alla deposizione di Assad, la loro persistenza evidenzia tuttavia due aspetti; il primo è che il regime baathista sta ancora lottando per esercitare il proprio controllo sul territorio che (presumibilmente) detiene, cioè circa il 70% di quello complessivo della Siria; il secondo è che i fattori inizialmente alla base delle proteste (un’economia povera, assenza di libertà politiche e proliferazione di bande armate nella regione) a un anno di distanza permangono in misura maggiore. In questo senso, le proteste servono assumono le forme di un segnale di avvertimento per i molti attori regionali che lavorano per riportare Bashar al-Assad nel novero degli interlocutori locali. Dato il fallimento del regime nel soddisfare le esigenze della popolazione, sia maggioritaria che minoritaria, e persino nella stabilizzazione delle aree sotto il suo controllo, Damasco non sarà probabilmente nelle condizioni di mantenere le sue promesse fatte ai suoi alleati e interlocutori, inclusa la richiesta di frenare i massicci traffici illeciti transfrontalieri, a cominciare da quelli di Captagon e di armi.

ORIGINI DELLA PROTESTA E SUA ESCALATION

Quando ebbero luogo le prime dimostrazioni a Suwayda, nell’agosto 2023, esse originarono principalmente a causa degli irrisolti problemi di natura economica che affliggevano la popolazione locale, oltre al problema della repressione politica. Due giorni prima dell loro inizio, la Presidenza annunciò che avrebbe raddoppiato gli stipendi e le pensioni pubbliche, in parte in risposta al peggioramento delle condizioni economiche (nei tre mesi precedenti la lira siriana aveva perduto l’80 percento del suo valore). Tuttavia, il regime tagliò contemporaneamente i sussidi per i carburanti, facendo schizzare alle stelle i prezzi del gasolio, maggiorati del 180 per cento. Gli indicatori economici sono rimasti pessimi anche nel corso del 2024, con la sterlina siriana che al cambio viene valutata a 14.800 per un dollaro Usa (questo rispetto alle 46 sterline per dollaro del periodo precedente la guerra civile), mentre il prodotto interno lordo reale dovrebbe contrarsi dell’1,5%, con il tasso di inflazione destinato a crescere al 99,7 per cento. Considerati assieme, tutti questi problemi hanno portato a una contrazione del potere d’acquisto che ha ridotto notevolmente gli acquisti di beni di prima necessità, divenuti fuori dalla portata del siriano medio.

LA DURA REPRESSIONE

Non molto tempo dopo la formazione del movimento Suwayda, le richieste della piazza si sono spostate verso la cacciata di Assad, in parte a causa del peggioramento delle prospettive economiche, ma anche  per la violenta risposta di Damasco. Sulla falsariga del vecchio armamentario del regime per il mantenimento dell’ordine, le forze di sicurezza di al-Assad hanno usato fin dall’inizio la mano pesante per reprimere le proteste, proseguendo secondo questo approccio anche nel 2024. Allo specifico scopo, dall’inizio della scorsa estate Damasco ha fatto ricorso a un’ampia gamma di metodi, alcuni dei quali inducevano a pensare che il regime avesse preso coscienza che Suwayda, area dominata dalle minoranze i cui residenti erano comunque tradizionalmente fedeli agli Assad, rischiava di passare definitivamente dalla parte dell’opposizione, qualora a Damasco fosse stata ordinata una dura repressione su vasta scala. Altri osservatori, invece, riflettevano il desiderio del regime di tenere le proteste fuori dai titoli della stampa, nel quadro del crescente sforzo teso alla normalizzazione della posizione regionale della Siria.

IL NUOVO GOVERNATORE MILITARE

Il 12 maggio Damasco annunciava la nomina del maggiore generale Akram Ali Muhammad quale nuovo governatore di Suwayda, una mossa che in loco molti hanno considerato una minaccia al movimento di protesta. Sebbene i precedenti governatori avessero avuto anche loro dei trascorsi personali negli apparati di sicurezza del regime, il generale Muhammad risultava profondamente coinvolto nella violenta repressione dei civili durante nel corso della guerra. La sua nomina rispecchiava dunque quella di Firas Ahmed al-Hamid nell’agosto 2023, altro importante funzionario dell’intelligence divenuto governatore di Tartus dopo che le proteste erano iniziate ad aumentare sia quella provincia che a Latakia. Quest’ultima, in particolare, è la provincia di origine della comunità alawita cui appartiene la famiglia Assad, altra minoranza chiave del Paese. A giugno, gruppi di manifestanti armati si sono scontrati con le forze di sicurezza del regime dopo che un invasivo checkpoint era stato allestito nella città capoluogo di Suwayda. Gli incidenti si sono protratti alcune ore e hanno provocato numerosi feriti da entrambe le parti. A seguito della mediazione di notabili locali, Damasco ha accettato di mantenere il checkpoint, evitando per di effettuare blocchi allo scopo di fermare e interrogare la popolazione civile in transito. All’epoca, gli analisti avevano sottolineato che quegli scontri costituivano il primo incidente del genere di una gravità tale verificatosi da anni a Suwayda.

SCONTRI ARMATI AI CHECK POINT E SEQUESTRI DI PERSONA

Le detenzioni di sicurezza e i sequestri per ritorsione sono un fenomeno in fase incrementale che nel prossimo futuro potrebbe innescare un’escalation. Uno dei casi più eclatanti è emerso il 21 giugno scorso, dopo che le forze di sicurezza avevano sequestrato Raed al-Matni, un’importante elemento del movimento di protesta. In risposta, i suoi sodali rapirono quattro ufficiali della sicurezza del regime. Matni venne rilasciato il giorno dopo e, successivamente, anche gli uomini della sicurezza di Assad. Sebbene la storia di Suwayda si caratterizzi per il frequente verificarsi dei sequestri di persona, questo incidente ha messo in luce quanto rapidamente gli eventi sono in grado di degenerare se Damasco dovesse proseguire nella sua politica repressiva contro i notabili locali.

DIVIDE ET IMPERA, MA PERMANE LA VIOLENZA

All’inizio del mese di agosto una nuova fazione in legami con l’intelligence militare siriana è apparsa a Mafaleh dichiarando la sua lealtà al presidente Bashar al-Assad. I manifestanti contro il regime avrebbero voluto manifestare contro di loro, ma altri cittadini del luogo si sono interposti tra i due gruppi per paura di un’escalation. Il regime ha anche tentato di dividere la leadership religiosa drusa di Suwayda attraverso l’azione del suo principale alleato, Yusuf Jarbou, uno sceicco che nel corso di un suo intervento pubblico che ha avuto luogo nell’agosto 2023 e diretto contro la protesta anti-Assad (discorso ampiamente diffuso dai media filogovernativi), ha dichiarato che la provincia «non contrasterà mai le decisioni dello Stato siriano». Quando le elezioni parlamentari siriane del 15 luglio vennero annunciate per la prima volta, le proteste locali poste in essere dagli attivisti di Suwayda furono anche una occasione di incontro nel corso del quale organizzare forme di boicottaggio. Duerante le giornate del voto alcuni dimostranti diedero alle fiamme le urne di alcuni seggi elettorali e le forze di sicurezza spararono sulla folla.

IL COMITATO POLITICO DELLA PROTESTA

Lo stesso mese numerosi residenti locali presero parte a uno scrutinio separato allo scopo di eleggere gli undici membri del nuovo organismo della protesta, il Comitato politico del movimento popolare di Suwayda. Il 18 luglio, il leader della protesta, Murhaj al-Jaramani, è stato assassinato mentre dormiva nella sua casa, presumibilmente con un’arma da fuoco silenziata. L’omicidio ha assunto tutti i tratti distintivi dell’eliminazione da parte di agenti del regime, con la gente del posto che lo ha ritenuto un tentativo di alimentare la paura all’interno del movimento. Jaramani era al vertice di Liwa al-Jabal, una milizia di rilievo attiva nel contrasto del dilagante contrabbando di droga gestito dal regime e dai suoi alleati locali. Tre settimane dopo questo omicidio, un altro leader della protesta, Rawad Sadiq, è sfuggito a un altro tentativo di assassinio da parte di uomini armati in seguito non identificati.

L’APPROCCIO DI DAMASCO

Tutte queste dinamiche inducono a ritenere probabile una prosecuzione delle proteste a Suwayda, dove i gruppi armati locali hanno dimostrato di essere disposti a combattere contro le forze di Assad ogni qualvolta  quando ritengono venga superata la linea rossa. I continui rapimenti, in particolare di personalità di alto profilo che godono di ampio seguito popolare, non faranno che aumentare la possibilità di un’escalation degli scontri. A distanza di un anno dal suo manifestarsi, la repressione del regime damasceno non è riuscita a piegare il movimento di protesta, ma ha ottenuto l’effetto contrario, lo ha alimentato. A Damasco probabilmente si ritiene che sia ancora eccessivamente rischioso incrementare il livello della repressione della minoranza drusa, conseguentemente, l’approccio alle proteste di Suwayda si configura sempre più simile a quello avuto nella vicina Deraa, dove rapimenti e assassini sono ancora più frequenti.

LE PROTESTE E GLI USA

In definitiva, queste proteste hanno poche possibilità di rovesciare il regime, poiché Damasco ha dimostrato la sua volontà di ricorrere all’impiego di qualsiasi mezzo brutale necessario a mantenere il controllo della provincia ribelle. Ma si tratta di una situazione che viene attentamente monitorata anche dagli americani, poiché, tra l’altro, Washington e i suoi alleati nutrono un vivo interesse ad arrestare il flusso di Captagon e di armi diretto dalla Siria meridionale alla Giordania e oltre. Un modo in cui gli Stati Uniti potrebbero intervenire potrebbe essere quello di amplificare il messaggio relativo alle tattiche violente del regime di Damasco, ricorrendo sia i media in lingua inglese che araba, uno strumento utile a sottolineare che tali azioni renderanno sempre più distante una soluzione definitiva alla guerra.

LA POSSIBILE VIA D’USCITA

Questa campagna di informazione andrebbe poi rafforzata con l’imposizione di sanzioni in capo ai funzionari del regime siriano e alle persone coinvolte nella repressione delle proteste, questo al fine di scoraggiare Damasco dall’addivenire a forme di repressione maggiori. In mancanza di tutto questo, l’alternativa potrebbe essere quella di ritenere responsabili specifici autori di crimini. In linea con l’enfasi dell’amministrazione Biden sulle violazioni dei diritti umani in Siria, si tratterebbe di un approccio valido anche quale duro promemoria per quegli stati che spingono in direzione della normalizzazione, sottolineando che il regime di Assad basa ancora la sua sopravvivenza sulla violenza e la repressione e che non è per altro in grado di stabilizzare il territorio siriano, tantomeno di soddisfare alcune richieste chiave quali quella relativa alla limitazione del commercio di Captagon. Idealmente, questi stati dovrebbero astenersi da ulteriori impegni finché Damasco non inizi a fare cambiamenti concreti a livello sia interno che regionale.

al riguardo si veda anche: https://www.insidertrend.it/2023/08/26/conflitti/siria-guerra-civile-e-proteste-di-piazza-affiliati-ad-hayat-tahrir-al-sham-attaccano-le-forze-di-assad-manifestazioni-di-piazza-in-diverse-citta-del-paese/

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