BANGLADESH, proteste e repressione. Il malcontento soffocato nel sangue

La causa delle proteste di massa è la politicizzazione delle quote di ammissione agli impieghi nella pubblica amministrazione voluta dal governo. Ad avviso di Amnesty International «le forze di sicurezza continuano a ricorrere alla forza illegale e mortale nei confronti delle proteste di massa degli studenti contro la riforma delle quote dell’impiego nel settore pubblico». Secondo fonti di stampa, dal 16 luglio sono stati uccisi duecento manifestanti, mentre diverse migliaia sono rimasti feriti. Altre fonti riferiscono addirittura di 61.000 persone oggetto di violenze, gli arresti sarebbero 2.500

Le proteste di piazza represse con la forza, che hanno visto polizia e militari aprire il fuoco contro i manifestanti provocando almeno 170 morti, stanno segnando l’attuale crisi politica di questo paese dell’Asia, la peggiore degli ultimi anni. Un malcontento che ha iniziato a montare all’inizio di questo mese, quando gli studenti delle università di Dacca avevano protestato contro l’entrata in vigore della legge che preserva un terzo dei posti di lavoro nel settore pubblico ai discendenti dei veterani della guerra del 1971 combattuta contro Islamabad, che portò alla separazione del Pakistan Orientale, divenuto Bangladesh. Domenica scorsa la Corte suprema aveva parzialmente accolto le istanze dei manifestanti, riducendo al 5% la quota percentuale di impieghi riservati.

LA CAUSA DELLE PROTESTE

Questa categoria privilegiata è anche parte del bacino di consenso elettorale del partito al potere da quindici anni, la Awami League. Nonostante la pronuncia favorevole della corte suprema i leader degli studenti non hanno però deciso di fermare la protesta, intimando un ultimatum di quarantotto ore al governo affinché facesse rilasciare dalla polizia le centinaia di manifestanti arrestati. Inoltre, hanno chiesto l’apertura di una indagine sui responsabili delle morti nel corso degli incidenti di piazza, che si appuri e si punisca chi ha dato l’ordine di reprimere brutalmente la protesta fino a sparare sui manifestanti; infine, anche le dimissioni di alcuni ministri dell’esecutivo in carica. Al pari del resto di un paese che conta centosettanta milioni di abitanti, anche a Dacca, la capitale (città popolata da quattordici milioni di persone), era stato imposto il coprifuoco e i militari presidiavano le strade di una città semideserta. Il 23 luglio, dopo sei giorni, l’accesso a Internet è stato parzialmente ripristinato ma il dispiegamento dell’esercito, il coprifuoco e l’ordine di sparare a vista rimangono in vigore.

LA DENUNCIA DI AMNESTY INTERNATIONAL

Il Crisis Evidence Lab di Amnesty International ha verificato per la seconda volta in pochi giorni l’impiego di armi letali (e anche meno letali) da parte delle forze di sicurezza durante le proteste. In tre riprese risalenti al 18 luglio si vede un manifestante, uno studente dell’Istituto militare di scienza e tecnologia (in seguito identificato in Shykh Aashhabul Yamin), privo di conoscenza sulla parte superiore di un veicolo blindato che sta percorrendo la strada a scorrimento veloce che da Dacca conduce ad Aricha. Due agenti di polizia cercano di tirarlo giù afferrandolo per le braccia e per le gambe, facendogli sbattere la testa sull’asfalto; il corpo viene poi trascinato sullo spartitraffico e lasciato sulla corsia opposta. Nessuno dei dodici agenti ripresi nei tre video presta soccorso al ragazzo, che muore poco dopo per ferite (visibili nei video) causate dai pallini da caccia che lo hanno raggiunto al petto.

GAS LACRIMOGENI E COLPI DI FUCILE

Sempre quello stesso giorno un agente di polizia ha lanciato candelotti di gas lacrimogeno all’interno della Brac University, ateneo privato della capitale, mentre erano in corso violenti scontri tra gli studenti e le forze di polizia. Le uscite dell’edificio erano chiuse e i poliziotti hanno sparato attraverso le grate di una cancellata. Secondo fonti di stampa locali, almeno venti studenti avrebbero subito danni a causa dell’inalazione dei gas lacrimogeni. Un video diffuso in Rete il 20 luglio mostra un agente di polizia aprire il fuoco per due volte contro un bersaglio non inquadrato; il poliziotto impugna e spara con un fucile d’assalto 56-1 di fabbricazione cinese, lo fa riparandosi assieme ad alcuni suoi colleghi dietro un veicolo blindato.

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