Si tratta certamente di un’iniziativa impegnativa e ardimentosa, poiché affrontare un tema come quello della pace in un contesto dilaniato come quello mediorientale attuale, riferendosi poi in modo particolare a Israele, Palestina e Libano, potrebbe addirittura apparire impossibile. Ma, proprio per questo risulta necessario farlo, anche a fronte delle diuturne notizie che da quelle terre puntualmente ci giungono, brevi e freddi lanci di agenzia che rendono noti uno strike aereo o un attentato.
CRONACHE DI MORTI QUOTIDIANE
Per restare al Libano, l’ultimo episodio in cronaca risale a questa mattina, con l’eliminazione mirata di un comandante di Hamas da parte delle Forze di difesa israeliane, fatto avvenuto nel villaggio di Ghazzeh, nella parte occidentale della Valle della Beqaa, una località situata a quaranta chilometri dal confine con Israele. Sia gli islamisti palestinesi di Hamas che al-Jama’a al-Islamiyya (o Gruppo Islamico, organizzazione terroristica libanese), hanno in seguito reso noto che Muhammed Jabara (questo era il nome dell’uomo ucciso, originario di Qaraoun) era un loro membro e rivestiva un ruolo di livello apicale. Per l’intelligence e i militari dello Stato ebraico era responsabile, tra l’altro, dell’esecuzione di attacchi, tra cui il lancio di razzi nel nord di Israele, quindi «la sua eliminazione è un duro colpo per la capacità di Hamas di compiere attacchi contro Israele».
«METTERE UN PUNTO»
Come è dunque possibile mettere un punto da cui poi ripartire, anche a piccoli passi, per avviare un dialogo tra le parti in guerra? Ma non solo: dove reperire in una fase come quella attuale le risorse economiche necessarie per risolvere la critica situazione ed evitare che se ne verifichino di successive in futuro? Questi sono stati gli interrogativi che si sono posti i promotori dell’iniziativa presentata ieri alla Sala Stampa della Camera dei Deputati, ai quali se ne aggiunge imprescindibilmente un altro: oggi è davvero praticabile un approccio dialogico? Tutto farebbe ritenere il contrario, tuttavia, spiragli di aperture potrebbero anche aprirsi, seppure appaia in tutta la sua chiarezza la criticità del contesto di riferimento.
LO STATO DELLE COSE
Se nella striscia di Gaza il relativo controllo assunto dalle forze armate israeliane anche sulla parte meridionale del Territorio palestinese implica una effettiva riduzione delle capacità di manovra di Hamas e di ciò che resta delle altre formazioni armate palestinesi (sono quasi totalmente chiuse anche le linee di rifornimento dall’Egitto attraverso la Philadelphi Road), in Libano è in corso un conflitto a bassa intensità che rischia però di innescare una escalation. Esso prosegue dall’8 di ottobre dello scorso anno, quando le forze guidate da Hezbollah hanno attaccato il territorio dell’Alta Galilea fornendo un sostegno agli islamisti palestinesi di Gaza che si erano appena resi responsabili del pogrom nel sud di Israele.
REALI OBIETTIVI DI HEZBOLLAH
La componente militare del movimento sciita filoiraniano libanese ha assunto l’iniziativa allo scopo di contenere gli attacchi israeliani e, allo stesso tempo, di mantenere in essere una forma di supporto ai palestinesi in guerra a Gaza. Ai lanci di razzi e ai colpi di mortaio seguono puntualmente i bombardamenti israeliani su obiettivi mirati. Spesso si tratta, come nel caso di oggi nella Beqaa, di elementi di spicco della rete del comando operativo o della struttura logistica di Hezbollah e dei suoi alleati presenti e attivi in Libano. Si parla sempre più spesso di un possibile attacco israeliano a Hezbollah condotto da forze aeroterrestri oltre la Linea Blu, una ipotesi tanto suggestiva quanto inquietante, che tuttavia non parrebbe concretamente esplorabile.
LA GUERRA CHE NON CONVIENE
Intanto, per procedere in questo senso, Gerusalemme dovrebbe ricevere un assenso e un supporto da Washington, aspetto al momento oltremodo difficile. secondo poi, i tre attori belligeranti (Israele, Hezbollah e Iran) in realtà non nutrirebbero affatto interesse a una recrudescenza del conflitto derivante dal suo allargamento a una scala superiore, poiché gli svantaggi da esso derivanti sarebbero superiori ai vantaggi. Il governo israeliano attraversa una fase di estrema fragilità ed è lancinato dagli scontri intestini; ma anche il Partito di Dio, per quanto potente e bene armato, seppure controlli ampie porzioni del territorio libanese, dovrebbe fare i conti con l’ulteriore deterioramento della situazione politica e sociale (già oltremodo precaria) provocato dalle distruzioni di un ennesimo conflitto; quanto a Teheran, beh, è ormai nota l’abilità della teocrazia persiana nel tirare la corda evitando di spezzarla, uno skill assai utile in frangenti come quello attuale, nel quale si evidenziano le criticità della Repubblica Islamica.
IL TAVOLO PERMANENTE PER LA PACE
E allora? Allora, i promotori del Tavolo permanente per la Pace in Medio Oriente presentato ieri a Roma forse non hanno tutti i torti. In fondo, il filo della trattativa non si è mai definitivamente spezzato e, tra mille oggettive difficoltà, astuzie e contrasti, prosegue attraverso l’azione del Gruppo dei Cinque (Arabia Saudita, Egitto, Francia, Qatar e Stati Uniti d’America), che dopo il vertice di Doha del luglio scorso, tornerà a cercare di facilitare una soluzione della crisi libanese. «L’istituzione di un tavolo per la pace in Medio Oriente mira a rilanciare il dibattito in una regione afflitta da conflitti dalle radici antiche e drammatiche – dichiara al riguardo Stefano Ticozzelli, presidente onorario dell’Istituto culturale italo-libanese -, l’Italia si sta adoperando affinché le tematiche della pace tornino a essere centrali nella politica internazionale, con particolare attenzione a quanto accade oggi in Medio Oriente».
UN’OPPORTUNITÀ
«L’istituzione del Tavolo – prosegue Ticozzelli -, costituito su iniziativa dell’onorevole Alessia Ambrosi, vicepresidente dell’UIP, rappresenta un’opportunità proficua per un luogo di incontro e confronto, mirando a trovare una via verso la pace, senza umiliazioni per nessuna delle parti coinvolte, attraverso un dialogo inclusivo con l’obiettivo di facilitare la comprensione reciproca, la riconciliazione e la costruzione di un futuro migliore per tutti i popoli di quella regione, considerando il ruolo cruciale del Libano in Medio Oriente. Auspichiamo la partecipazione a questa iniziativa, oltre ai rappresentanti delle parti coinvolte nei conflitti, anche parlamentari italiani delle Commissioni Difesa ed Esteri, rappresentanti del governo italiano e organizzazioni operanti nell’area per un confronto foriero di proposte e soluzioni che non precludano anche la recente crisi nel Mar Rosso».
SOLUZIONI CONCRETE
Esso è aperto a leader politici, diplomatici, accademici, rappresentanti della società civile e altre figure di rilievo interessate alla promozione della pace, a rinvenire soluzioni concrete ai conflitti che devastano la regione. «Non possiamo permetterci di rimanere indifferenti di fronte a tanta sofferenza – ha dichiarato al riguardo l’onorevole Alessia Ambrosi, vicepresidente UIP -, dobbiamo agire con decisione, parlando apertamente e ascoltando con attenzione. Solo attraverso il dialogo e la cooperazione possiamo sperare di costruire un futuro di pace. Il Medio Oriente è una terra ricca di storia e cultura, purtroppo segnata da divisioni e violenze. I conflitti che attraversano questa regione non solo causano sofferenze inimmaginabili, ma hanno anche implicazioni globali, influenzando la stabilità e la sicurezza internazionale».