Una lucida analisi delle cause che spingono alcuni giovani a non andare a scuola (o che nei fatti glielo impediscono) e la concreta predisposizione di programmi e strumenti per contrastare il pernicioso fenomeno della dispersione scolastica e della povertà educativa, di questo si è parlato nel pomeriggio di ieri a Palazzo Senatorio in Campidoglio, in occasione della presentazione del programma “W la scuola!”, promosso e sviluppato dalla Comunità di Sant’Egidio assieme a Con i Bambini e Valori in Circolo, grazie al sostegno fornito da Roma Capitale.
COLMARE I «GAP»
Lo sforzo profuso è teso (almeno nei limiti del possibile) a colmare i due gap di natura territoriale e sociale, per usare le parole di Paolo Ciani (parlamentare della Repubblica e capogruppo di Demos all’Assemblea capitolina) «un grande tema di giustizia, di eguaglianza verso una piena attuazione della Costituzione, che eguaglianza e diritto allo studio, appunto, stabilisce». Un lavoro, quello svolto nel quadro del progetto W la scuola, che ha luogo su tutto il territorio nazionale, che rinviene nella Comunità di Sant’Egidio il propulsore principale, che rinviene nell’associazionismo e in alcune Istituzioni dei fondamentali sostegni.
DIETRO LE FREDDE STATISTICHE CI SONO LE PERSONE
la durezza delle cifre non lascia troppo spazio al temporeggiamento, poiché il fenomeno ha raggiunto picchi di gravità allarmanti. Sono infatti continue le segnalazioni (seppure non sempre le Istituzioni si interfaccino adeguatamente) relative agli abbandoni, che vedono gli italiani in preminenza quantitativa, mentre i cosiddetti «proattivi», cioè coloro i quali vorrebbero andare a scuola ma non ci riescono per una serie di impedimenti di natura amministrativo-burocratica, si rinvengono soprattutto nella popolazione immigrata. Nel primo caso si tratta principalmente di ragazzi che hanno problemi di rendimento scolastico, come nel caso di chi viene bocciato alle elementari e alle medie o si assenta frequentemente dalle lezioni, una condizione personale che è elemento di rischio abbandono.
UNA CASISTICA OLTREMODO VARIA
Ma al riguardo la casistica è estremamente vasta. Si pensi ad esempio ai cosiddetti «ritirati sociali», giovani che si chiudono nelle loro abitazioni perché hanno il terrore di affrontare una quotidianità all’esterno che essi percepiscono come “ostile”; fenomeno quest’ultimo la cui maggiore incidenza viene rilevata in modo particolare in quei quartieri della città che si caratterizzano per l’elevata età media dei residenti, che sono quindi popolati in buona parte da anziani. Non è invece così marcata tra chi abbandona gli studi la differenza in termini di genere: 53% di maschi e 43% di femmine. Le cause della dispersione scolastica e della conseguente povertà educativa sono molteplici: problemi di natura amministrativa (come i ritardi nelle iscrizioni agli anni scolastici, che interessano soprattutto i giovani immigrati), problemi nelle iscrizioni ordinarie, problemi degli stranieri non nati in Italia, i casi problematici dei bambini rom, i casi delle persone con problemi di salute o con disabilità.
AVVIARE IL DIALOGO PER L’INCLUSIONE
Il progetto W la scuola, oltre a porre a disposizione della cittadinanza un call center e diversi centri di ascolto, contempla anche una visione di più ampio respiro che implementi il dialogo avviato con le Istituzioni, con i policy maker, e metta in contatto costoro con chi materialmente opera sul territorio (insegnanti, educatori, eccetera) e con i potenziali beneficiari degli interventi. Comprendere i perché alla base degli abbandoni scolastici da parte di questi giovani mediante l’intervento di facilitatori. Il progetto, il cui sviluppo risale alla critica fase della pandemia, ha proseguito nel suo sviluppo a fronte delle pressanti esigenze riscontrate sul territorio. Anche se molto c’è ancora da fare, oggi il consuntivo di questi anni di impegno è in ogni caso confortante: una volta fatto ricorso al punto di contatto (call center o centro di ascolto), nella maggior parte dei casi gli operatori in un periodo intercorrente tra i due giorni e i tre mesi riescono a trovare una soluzione ai problemi rappresentati loro.