CINEMA, lutti. La scomparsa di Donald Sutherland

Il celebre attore è venuto a mancare all’età di ottantotto anni. Era nato in Canada e la sua vita cinematografica è stata lunga più di mezzo secolo

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A dare conferma della sua scomparsa è stato il figlio Kiefer, anch’egli attore come il padre, tuttavia non ha fornito particolari dettagli sull’evento. «Personalmente lo ritengo uno degli attori più importanti nella storia del cinema – ha questi dichiarato -, mai scoraggiato da un ruolo, buono, cattivo o brutto che fosse. Amava ciò che faceva e faceva ciò che amava, non si può chiedere di più alla vita».

GIGANTE IRONICO E UN PO’ PAZZO

Alto e magro, ama sempre imponente, ironico o drammatico, dal sorriso dolce o diabolico, era divenuto famoso per avere interpretato personaggi del tutto particolari quali Hawkeye Pierce in “M.A.S.H.”, film di Robert Altman, il comandante hippie del carro armato Sherman in “Kelly’s Heroes” e il professore fatto in “Animal House”. Lavorò in poco meno di duecento pellicole, iniziando la propria lunga carriera in quella fase anti-establishment della cinematografia degli anni Settanta. In seguito avrebbe recitato in ruoli meno informali, seppure sovente eccentrici. Si ricordano le partecipazioni in “Ordinary People” di Robert Redford e “JFK” di Oliver Stone, come nel film denuncia del Sudafrica dell’apartheid “Dry white season”. Più di recente aveva lavorato a “Hunger Games”, mentre un suo libro autobiografico, “Made Up, But Still True”, verrà distribuito nelle librerie il prossimo novembre.

IL GIOVANE «DONNIE»

«Adoro lavorare, amo appassionatamente lavorare – aveva confidato Charlie Rose nel 1998 -, amo sentire entrare in qualche altro personaggio e ciò mi dà un’enorme libertà. Il tempo per me si ferma. Non sono più pazzo come una volta, ma sono ancora un po’ pazzo». Figlio di un commerciante e di una insegnante di matematica, Donald McNichol Sutherland aveva avuto i suoi natali St. John, nel New Brunswick, ed era cresciuto nella Nuova Scozia. All’età di tredici anni faceva il era un disc jockey in una sua propria stazione radio. «A quell’età ero convinto che tutto ciò che provavo fosse sbagliato e pericoloso, e che Dio mi avrebbe punito per questo», rivelò al quotidiano “New York Times” nel 1981. «Mio padre diceva sempre: “Non parlare chiudi il becco Donnie, così forse la gente penserà che hai carattere”». Sutherland iniziò a studiare ingegneria presso l’Università di Toronto, però presto mutò indirizzo e quindi recitò in produzioni teatrali scolastiche. Fu in quel periodo che incontrò Lois Hardwick, una aspirante attrice che poi sposò nel 1959, divorziandone sette anni dopo.

UN CANADESE A LOS ANGELES

Nel 1956, una volta conseguita la laurea, frequentò la London Academy of Music and Dramatic Art e si applicò alla recitazione, cominciando ad apparire in alcune commedie messe in scena nel West End e anche dalla televisione britannica. Trasferitosi a Los Angeles, venne ingaggiato per interpretare diversi ruoli in alcuni film di guerra, una fase che cambiò il corso della sua carriera. Il trampolino del suo successo fu “Quella sporca dozzina”, girato nel 1967, in cui interpretava Vernon Pinkley, uno psicopatico spacciato per generale di brigata. Nel 1970 fu la volta di “Kelly’s Heroes” e di “M.A.S.H., successo che lo proiettò Sutherland nella celebrità. Sutherland si identificò personalmente con il messaggio contro la guerra lanciato dal film di Altmann, egli fu militante pacifista attivo e si batté contro la guerra in Vietnam. Nel 1971 assieme all’attrice Jane Fonda e ad altri fondò il Free Theatre Associates, ma, estromessi dalle strutture militari a causa delle opinioni politiche che propagandavano, nel 1973 si esibirono in luoghi in prossimità delle basi militari nel Sud-est asiatico.

L’IMPEGNO CONTRO LA GUERRA

«Pensavo che avrei preso parte a una rivoluzione che avrebbe cambiato il cinema e la sua influenza sulle persone», riferì in una occasione al quotidiano “Los Angeles Times”. La sua carriera da protagonista raggiunse l’apice negli anni Settanta, quando ebbe parti di rilievo in film dei migliori registi del periodo. Lavorato con Federico Fellini (Casanova, 1976), Bernardo Bertolucci (Novecento, 1976), Claude Chabrol (Parenti di sangue, 1978) e John Schlesinger (Il giorno della locusta, 1975). Una delle sue migliori interpretazioni fu senza dubbio quella del detective in “Klute”, film di Alan Pakula del 1971. Nel corso delle riprese conobbe Jane Fonda, con la quale in seguito avrebbe avuto una relazione sentimentale durata tre anni, iniziata alla fine del suo secondo matrimonio con l’attrice Shirley Douglas. Da quest’ultima aveva avuto due figli gemelli, Rachel e Kiefer, che prese il nome da Warren Kiefer, lo scrittore del primo film che Sutherland aveva interpretato, “Il castello dei morti viventi”.

IL TEATRO E LA TELEVISIONE

Da allora numerose furono le pellicole che lo videro protagonista, mentre il debutto teatrale sarebbe giunto (a New York) nel 1981, tuttavia con deludenti risultati. In quell’occasione interpretò Humbert Humbert nell’adattamento di Edward Albee di “Lolita” di Vladimir Nabokov. Negli anni Ottanta seguì poi un periodo non del tutto felice, caratterizzato sovente da fallimenti. Sutherland continuò comunque a lavorare, anche in televisione. Si ricorda al riguardo “Path to War”, serie trasmessa della HBO nella quale interpretava il ruolo di Clark Clifford, segretario alla Difesa del presidente Lyndon Johnson. Dopo che il figlio Kiefer divenne una star del grande schermo, Donald Sutherland apparve in numerosi film assieme a lui, come in “A Time to Kill” (1996) e “Forsaken” (2015), tuttavia rifiutò l’offerta di interpretare il padre nella serie di successo “24”.

LE PROFONDE RIFLESSIONI DELL’ANZIANO SUTHERLAND

Divenne famoso alle giovani generazioni per la sua interpretazione del Presidente Snow nella serie “The Hunger Games”. Al riguardo confidò a “GQ” di aver riflettuto a lungo sul fatto che «potesse essere un film incredibilmente importante» del quale voleva farne parte, poiché «speravo che il film ispirasse i giovani politicamente dormienti». Nei suoi ultimi anni rifletté spesso sulla possibilità di morire sullo schermo, in scena. «Spero davvero che possano usare il mio funerale e la mia bara in qualche film – dichiarò all’Associated Press -, sarebbe assolutamente l’ideale. L’idea mi piacerebbe».

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