POLITICA, anniversari. Il 10 giugno 2024 cadeva il centenario del martirio di Giacomo Matteotti

In questa giornata di celebrazioni ha dapprima avuto luogo la commemorazione ufficiale dell’assassinio dell’uomo politico socialista, evento organizzato dal Circolo Saragat-Matteotti sul Lungotevere Arnaldo da Brescia, laddove egli venne rapito e dove ora sorge il monumento che lo ricorda. La sera dello scorso 10 giugno, nel centenario dell' assassinio, è andato in scena al Teatro Argentina lo spettacolo

a cura di Gianluca Ruotolo – Alle ore 10:30 è giunto sul posto il Presidente della Repubblica Sergio Mattarella, che ha deposto una corona, quindi, a seguire, varie autorità, tra le quali il ministro Antonio Tajani (vicepresidente del Consiglio dei ministri), che in un ispirato discorso ha deplorato l’inane violenza politica da una parte e la forza della memoria di Matteotti dall’ altra, memoria ancora viva che ci parla a un secolo di distanza. Successivamente sono intervenute le vicepresidenti del Senato Licia Ronzulli e della Camera dei Deputati, Anna Ascani; tra gli oratori anche le nipoti di Matteotti e lo storico della Resistenza Aladino Lombardi, da sempre presente a questa cerimonia, cha ha dato lettura del testo redatto da Filippo Turati a Parigi nel settimo anniversario dell’assassinio.

 LE COMMEMORAZIONI NEL CENTESIMO ANNIVERSARIO

Nel pomeriggio la commemorazione è proseguita al Comune di Riano, dove in località Quartarella il 16 agosto 1924 il cadavere del parlamentare venne rinvenuto. Dopo la deposizione della corona al monumento sulla Flaminia l’ amministrazione comunale ha anche organizzato un convegno con la partecipazione del sindaco e di studenti ed insegnanti, che hanno recitato insieme la storia di Matteotti fino a tarda serata. La storiografia ha ormai dimostrato che Matteotti, deputato e segretario trentanovenne del Partito socialista unitario, fu rapito e ucciso a pugnalate da elementi della Ceka (detta anche «banda del Viminale») che prendeva il nome dalla polizia politica sovietica, ma obbediva agli ordini di Mussolini. Il gruppo era guidato dal criminale Amerigo Dumini, in seguito condannato a pene detentive lievi e quindi stabilitosi in Africa, dove sarebbe poi stato catturato dalle truppe britanniche nel 1941, che in seguito lo condannarono a morte in quanto ritenuto una spia.

IL DISCORSO DI MATTEOTTI

A quanto sembra all’esecuzione non fu colpito in parti vitali e riuscì a sopravvivere; una volta dato per morto rimase a terra per un po’, riuscendo ad allontanarsi da una porta secondaria della caserma, porta che era rimasta aperta. In seguito rientrò in Italia, dove il governo fascista gli riconobbe un cospicuo assegno mensile. Soltanto dieci giorni prima di venire assassinato, Giacomo Matteotti aveva pronunciato in parlamento il suo ultimo discorso in cui aveva denunciato con chiarezza ed estrema decisione le violenze fasciste. Il successivo 11 giugno era previsto un suo nuovo intervento parlamentare, che a quanto sembra avrebbe diffusamente trattato gravi casi di corruzione (il caso Sinclair Oil) che avrebbero chiamato in causa Arnaldo Mussolini (fratello del duce) e lo stesso Benito Mussolini, nel frattempo divenuto presidente del Consiglio.

LA TRAGEDIA IN SCENA AL TEATRO ARGENTINA

La sera dello scorso 10 giugno, nel centenario dell’assassinio, è andato in scena al Teatro Argentina lo spettacolo “Giacomo. Un intervento d’arte drammatica in ambito politico”, interpretato da Elena Cotugno con la regia di Pietro Borgia. La piece prende le mosse da alcuni interventi parlamentari di Matteotti, precisamente quelli del 31 gennaio 1921 e  l’ultimo del 30 maggio 1924, a pochi giorni dal suo assassinio. Riportiamo di seguito un passo del primo: «Oggi in Italia esiste una organizzazione pubblicamente riconosciuta e nota nei suoi aderenti, nei suoi capi, nella sua composizione, nelle sue sedi di bande armate, le quali dichiarano apertamente (hanno questo coraggio, che io volentieri riconosco) che si prefiggono atti di violenza, atti di rappresaglia, minacce, violenze, incendi, e li eseguono non appena avvenga, o si pretesti che avvenga, alcun fatto commesso dai lavoratori a danno dei padroni o della classe borghese. È una perfetta organizzazione della giustizia privata». Parole lapidarie.

 L’ITALIA NELLA PRIMAVERA DEL 1924

Prima di giungere all’ ultimo discorso parlamentare di Matteotti (quello del 30 maggio 1924)  occorre ricordare la situazione politica di quel momento storico. A fine ottobre 1922 il fascismo aveva preso il potere con la marcia su Roma e con la complicità della monarchia. Alle sei del mattino del 28 ottobre il governo di Luigi Facta aveva dichiarato lo stato d’assedio, ma il re dopo un’ attesa durata un paio d’ ore non volle controfirmare il decreto e Facta dovette dimettersi. Mentre il paese era senza governo ed i militi fascisti marciavano nelle vie della capitale Mussolini fu convocato dal re Vittorio Emanuele III; il futuro duce arriverà a Roma (in vagone letto) solo due giorni dopo, e solo quel 30 ottobre il re gli avrebbe ufficialmente conferito il mandato a formare un nuovo governo di coalizione. Il 16 novembre 1922 Mussolini si sarebbe presentato alla Camera con lo storico discorso del bivacco, nel quale avrebbe dichiarato senza mezzi termini: «Avrei potuto fare di quest’aula sorda e grigia un bivacco di manipoli. Potevo sprangare il Parlamento e costituire un Governo esclusivamente di fascisti. Potevo: ma non ho, almeno in questo primo tempo, voluto». Insomma era già tutto chiaro.

 A UN PASSO DAL REGIME

Ma cosa disse Matteotti nel suo discorso di quel terribile 30 maggio? E in quale occasione lo pronunciò? Era la prima riunione della nuova Camera, chiamata a convalidare il risultato delle elezioni del mese di aprile che furono le ultime pluripartitiche, anche se con molti limiti. La consultazione, infatti, si era svolta con la legge Acerbo del 18 novembre 1923 n. 2.444, che stabiliva un sistema elettorale su base proporzionale con un premio di maggioranza altissimo. Alla lista più votata a livello nazionale, con almeno il 25% dei voti validi, sarebbero spettati i ⅔ dei seggi in tutte le circoscrizioni con il risultato di eleggere in blocco tutti i 356 candidati del listone fascista. Solo i posti rimanenti sarebbero stati assegnati alle altre liste, sempre proporzionalmente ai voti ottenuti e tenendo conto delle preferenze riportate. Il presidente dell’assemblea, il neoeletto giurista Alfredo Rocco, con un colpo di teatro propose la convalida in blocco dei deputati del listone, spiazzando le opposizioni.

 LE MINACCE DI FARINACCI

Matteotti intervenne immediatamente e parlando a braccio contestò la validità delle elezioni, tenutesi sotto la minaccia di una milizia armata al servizio di Mussolini, scatenando così le reazioni del gerarca fascista Roberto Farinacci, a suo tempo anch’egli esponente socialista, il quale tuonò: «Va a finire che faremo sul serio quello che non abbiamo fatto!» La replica di Matteotti a Farinacci fu chiara e decisa: «Fareste il vostro mestiere». Il parlamentare socialista concluse la sua lunga orazione dopo un’ora, chiedendo di rinunciare alla violenza e di rispettare la legalità. Poco dopo, rispondendo ai complimenti dei compagni di partito, disse in modo lapidario: «Io il mio discorso l’ho fatto. Ora voi preparate il mio elogio funebre».

 LA LEZIONE DI MATTEOTTI: RIFIUTO DELLA VIOLENZA

In questa atmosfera drammatica le opposizioni erano divise (non vorremmo qui ricordare i poco fondati giudizi di Gramsci e di Gobetti, due future vittime del regime fascista) e i socialisti ancora di più. I gradualisti guidati da Filippo Turati, infatti, il 3 ottobre 1922 erano stati espulsi dalla debole maggioranza massimalista del XIX congresso del Psi. I riformisti seppero reagire da subito, fondando già il giorno successivo il nuovo Partito socialista unitario (Psu) con Matteotti alla  segreteria, che poteva contare su forze molto limitate. Con le parole di Matteotti lo spettacolo messo in scena al Teatro Argentina di Roma si da conto del coraggio di un uomo solo, facendo rivivere con toni coinvolgenti un momento politico terribile improntato al sopruso. Matteotti fece tutto quello che poteva per chiedere il rispetto della legalità e l’abbandono della violenza, cercando di tutelare quanto restava della democrazia con tutto il suo impegno e fino al sacrificio della vita.

SI COMPRENDE TUTTO CON CHIAREZZA

Dal palcoscenico tutto questo si comprende con chiarezza e la voce di Matteotti, oggi come cento anni fa, parla ancora a tutti noi. È questo il merito principale della rappresentazione teatrale, uno spettacolo è stato prodotto con il sostegno della Presidenza del Consiglio dei ministri, Struttura di missione anniversari nazionali ed eventi sportivi nazionali e internazionali, nell’ambito dei progetti per iniziative connesse alla celebrazione della figura di Giacomo Matteotti, con il supporto di Regione Autonoma Friuli Venezia Giulia, della Fondazione Vincenzo Casillo e con il patrocinio di Fondazione di Studi Storici Filippo Turati Onlus; oltre alla Fondazione Giacomo Matteotti e al Comune di Fratta Polesine, con il  patrocinio di Roma Capitale.

Condividi: