DIFESA, evoluzione della guerra e nuove necessità. Due approfondimenti per un’unica conclusione

Lo scorso 11 giugno nella Capitale hanno avuto luogo due diversi convegni, eventi di approfondimento promossi dalla Link Università degli Studi e dal Centro Studi politici e strategici Machiavelli il primo, dall’Istituto Affari Internazionali il secondo (registrazioni audio insidertrend.it A647A, A647B e A647C). Base di partenza per entrambi sono state le «lessons learned» dagli eventi bellici attualmente in corso, che hanno definitivamente concluso la lunga fase delle «operazioni di pace» e aperto nuovi e incerti scenari. Questo in considerazione del mutato (dis)ordine mondiale e, anche e soprattutto, dell’evoluzione dei sistemi d’arma disponibili e dal loro impiego che ne è stato fatto e tuttora si fa sui campi di battaglia. Non solo, sia alla Link che allo IAI, sono stati affrontati e approfondite le tematiche relative alle guerre ibride e alle operazioni multi dominio e distribuite. Inoltre: quali soldati combatteranno «boots on ground» nei futuri campi di battaglia? E ancora: l’Italia è pronta a scenari del genere di quello ucraino? Intanto il Governo, mentre organizza un efficace battage pubblicitario per ottenere un 2% di Pil da destinare a stanziamenti per le spese militari, invia velivoli da combattimento e navi da guerra nei mari dell’Oceano Pacifico. «Non siamo pronti, ma ci dobbiamo attrezzare», ha dichiarato uno dei qualificati relatori nel suo intervento. Certo: basterebbe trovare i soldi (…)

Gli approfondimenti in quelle sedi sono stati certamente di estremo interesse, seppure il refrain sia ormai noto e affatto orecchiabile fin dai tempi la carica di ministro della Difesa veniva ricoperta da Roberto Tremelloni: «Attualmente siamo di fronte a un gap capacitivo nella componente (…), una lacuna che andrebbe colmata nel breve-medio periodo», si ripete come un disco rotto.

IL REFRAIN EVERGREEN

Basta mutare convegno e relatori (oltreché i politici di riferimento di una determinata lobby o di un determinato territorio) che al posto dei puntini di sospensione si potrà benissimo scrivere «terrestre», «navale» ovvero «aeronautica». Un po’ come agli spensierati tempi della prima Repubblica, quando Aeronautica e Marina litigavano sulla futura portaerei Garibaldi (ooops! si voleva dire: incrociatore portaeromobili), oppure, in anni più recenti, quando a litigare (ma, si badi bene, sempre con estrema discrezione) furono invece certi ambienti di vertice dell’Esercito con la Marina, prendendosela con il ministro della Difesa Roberta Pinotti, alla quale si attribuì la colpa di avere riversato su Fincantieri (che costruisce navi militari) una consistente parte del bilancio che, invece, avrebbe dovuto coprire le spese di rinnovo della componente terrestre, in particolare dei corazzati, in vista di impegni sempre più intensi dalle parti dei Paesi baltici.

UNA COPERTA SEMPRE TROPPO CORTA

Ma quelli, appunto, erano altri tempi, e l’ex kagebešník assiso sul suo trono al Cremlino vendeva ancora il suo gas a tutta Europa, facendo affari lui e facendoli fare a non poche economie del Vecchio continente. Oggi i nodi sarebbero venuti al pettine, tuttavia, di che lamentarsi troppo: in fondo somme eccessive per armi e Forze armate in Italia non ce ne sono state mai così tante (a parte la funzione personale, divenuta sempre più vecchia mentre assorbiva una notevole fetta del bilancio) e, di risulta, abbiamo imparato a fare i conti con una coperta che per quanto la si tirava risultava essere sempre troppo corta e lasciava scoperta qualche cosa. Nel corso del convegno “La forza terrestre e la sfida dell’innovazione” è stata sottolineata una grave carenza nel segmento pesante delle forze terrestri, insomma: carri armati e veicoli corazzati per la fanteria. Evidentemente, i resoconti del conflitto ucraino hanno spaventato non pochi e la vulnerabilità delle tradizionali unità corazzate e meccanizzate (a parte lo strame fatto dei mezzi blindati e corazzati russi, in quella guerra, però, sono stati impiegati anche mezzi di penultima generazione forniti a Kiev dagli occidentali, in parte attualmente in servizio con gli eserciti occidentali) unitamente alla micidiale minaccia proveniente dalla terza dimensione.

LESSONS LEARNED

In realtà, qualche primo inquietante segnale era già pervenuto dal conflitto in Siria, con il Leopard 2 turchi distrutti dai droni. Ma, in fondo, si potrebbe anche ridurre il tutto all’interminabile lotta tra il cannone e la corazza. Resta in ogni caso il fatto che all’esito della disamina delle attuali crisi in atto emerge un quadro oltremodo fosco, una tempesta perfetta che investe Ucraina, striscia di Gaza, azioni degli Houti, Indo-Pacifico, Sudan e Sahel, oltre alle minacce cibernetiche. Che fare? Riarmarsi? Se sì, in che modo? Se la Difesa è oggi un tema centrale nel dibattito pubblico e politico, si riscontra un difficile dialogo in seno alla NATO, mentre per quanto concerne l’Italia e il suo 2% di bilancio (oggi si attesta all’1,58%), si pronostica una riduzione della quota di stanziamento nella prossima Legge di Stabilità, nonostante le pressioni esercitate in senso inverso da Washington. Seppure la propaganda tenti di accreditare una realtà di tipo diverso, l’Italia sta attraversando una fase caratterizzata da marcate difficoltà sul piano economico, inoltre, per restare all’approvvigionamento di sistemi d’arma moderni e sofisticati, non è in grado di produrre autonomamente né l’acciaio necessario a costruire nuovi corazzati e neppure gli esplosivi necessari al munizionamnto adeguato ai bisogni.

AI PIEDI DI PILATO?

In Europa si importa sempre più dall’America e oggi l’interrogativo prioritario da porsi è quello concernente il raggiungimento di una capacità di produzione di massa di sistemi tecnologicamente avanzati in tempi relativamente ridotti. Ora, se dunque il must risiede obbligatoriamente nella collaborazione internazionale, quest’ultima dovrebbe essere di pari dignità tra industrie forti, altrimenti si tratterà di off set e semplice attività di carpenteria. E qui però si torna al punto centrale: i finanziamenti, quantificati in almeno dodici miliardi in più. Il modello sarebbe quello di una dimensione multipolare del settore della Difesa, estrinsecato in termini concreti in prevalenti collaborazioni nel campo terrestre con la Germania, in quello aeronautico con Regno Unito e Stati Uniti d’America e navale con la Francia. Attenzione però, poiché allo stato attuale sono già in essere programmi di studio avanzati che vengono finanziati dall’Unione europea e che vedono protagonisti Francia e Germania, il che pone dei dubbi sulla misura dell’eventuale ruolo residuale italiano.

NUOVI PARADIGMI

Egualmente di «necessario ammodernamento e rinnovamento» si è trattato nell’altro convegno del quale insidertrend.it rende fruibile la registrazione (A647C), quello organizzato sempre a Roma l’11 giugno 2024 dall’Istituto Affari Internazionali, “Il presente e il futuro dell’artiglieria nei conflitti ad alta intensità”. E anche qui la guerra in Ucraina ha cambiato le carte in tavola, poiché si tratta di un conflitto nel quale non si rinviene un definito dominio dei cieli da parte dei belligeranti, aspetto che ha reso l’artiglieria terrestre, anche in virtù degli elevati volumi di fuoco espressi a un certo punto del conflitto e dell’ambiente reso inospitale dai russi nei termini del GPS denied, della guerra elettronica e delle capacità controfuoco. Si impongono nuovi paradigmi che attribuiscono all’artiglieria non più un ruolo di arma di supporto, bensì anche di manovra, soprattutto nelle azioni in profondità, grazie alla mobilità che pone le batterie in grado sottrarre spazi di praticabilità all’azione controfuoco nemica.

ESPERIENZE MATURATE NEL MAR NERO

Per sostenere la sfida dovrà trattarsi di un’artiglieria tecnologicamente avanzata in grado di agire in stretto coordinamento e interoperabilità con il resto del dispositivo joint ai livelli strategico, tattico e operativo, interfacciandosi con tutti i vari sistemi d’arma grazie alla rete di comando e controllo (C2). Per quanto concerne invece le artiglierie navali, nel futuro la Marina militare italiana non baserà la propria filosofia d’impiego esclusivamente sui missili, infatti, affermano i suoi elementi di vertice che verranno mantenuti e potenziati sia i sistemi da 76 millimetri di calibro che le bocche da fuoco da 127, questi ultimi impiegabili principalmente contro bersagli costieri o in lento movimento. La guerra nel Mar Nero ha fatto inevitabilmente scuola: i barchini che hanno attaccato le navi russe hanno reso necessario il ricorso al munizionamento guidato dal GPS (contro bersagli fissi) e dall’infrarosso (contro quelli mobili), riservando al fuoco di sbarramento in funzione difensiva soltanto il segmento al di sotto degli 800 metri dalla nave.

CARENZE

I sistemi 76/62 SR (Super Rapido) della Marina militare italiana hanno trovato impiego anche contro i sistemi a pilotaggio remoto degli Houti, quando non sono stati i missili Aster a colpire i bersagli lenti e manovrieri, si è fatto ricorso a raffiche dai dieci ai venti colpi di cannone, a un costo di circa 30.000 euro, dunque relativamente contenuto. In questo modo risultano abbattuti almeno tre droni, ma il loro impiego viene ritenuto efficace anche nei confronti dello swarming. Resta il comune problema della carenza di acciaio e di materie prime per la produzione di esplosivi, risorse che invece la Russia possiede per intero. Questo rende impossibile produrre e cromare le bocche da fuoco in Italia, idem per il munizionamento, e si tratta di un gap che non sarà possibile colmare neppure attraverso adeguati finanziamenti e nonostante gli sforzi eventualmente profusi dell’industria. Tutto questo prescinde quindi dall’incremento al 2% della quota in bilancio destinata alla Difesa.

A647A – DIFESA, EVOLUZIONE DELLA GUERRA E NUOVE NECESSITÀ: DUE APPROFONDIMENTI PER UN’UNICA SOLUZIONE. Lo scorso 11 giugno nella Capitale ha avuto luogo un convegno di approfondimento promosso dalla Link Università degli Studi e dal Centro Studi politici e strategici Machiavelli. Base di partenza le lessons learned dagli eventi bellici attualmente in corso, che hanno definitivamente concluso la lunga fase delle cosiddette «operazioni di pace» e aperto nuovi e incerti scenari.
Questo in considerazione del mutato (dis)ordine mondiale e (anche e soprattutto) dell’evoluzione dei sistemi d’arma disponibili e dal loro impiego sui campi di battaglia. A venire affrontate e approfondite sono state le tematiche relative alle guerre ibride e alle operazioni multi dominio distribuite. Inoltre: quali soldati combatteranno boots on ground nei futuri campi di battaglia? E ancora: l’Italia è pronta a scenari del genere di quello ucraino? Intanto il Governo, mentre organizza un efficace battage pubblicitario per ottenere un 2% di Pil da destinare a stanziamenti per le spese militari, invia velivoli da combattimento e navi da guerra nei mari dell’Oceano Pacifico. «Non siamo pronti, ma ci dobbiamo attrezzare», ha dichiarato uno dei qualificati relatori nel corso del suo intervento. Certo: basterebbe trovare i soldi (…)
Al convegno sono intervenuti VINCENZO IELLAMO (avvocato, membro dell’Ufficio legale della Università degli Studi Link), ELISABETTA MANTUANO (delegata del rettore alla Ricerca, Dipartimento medicina e Chirurgia), DANIELE SCALEA (presidente del centro Studi Machiavelli), SALVATORE CAMPOREALE (generale, sottocapo di stato maggiore dell’Esercito italiano), GIANLUCA DI FEO (giornalista de “la Repubblica”), LORENZO CESA (parlamentare della Repubblica, presidente della delegazione parlamentare italiana presso la NATO), GIANANDREA GAIANI (giornalista, direttore di “Analisi Difesa”), LORENZO MARIANI (co-direttore generale di Leonardo SpA), ALESSANDRO ERCOLANI (amministratore delegato di Rheinmetall Italia).
A647B – DIFESA, EVOLUZIONE DELLA GUERRA E NUOVE NECESSITÀ: DUE APPROFONDIMENTI PER UN’UNICA SOLUZIONE. Lo scorso 11 giugno nella Capitale ha avuto luogo un convegno di approfondimento promosso dalla Link Università degli Studi e dal Centro Studi politici e strategici Machiavelli. Base di partenza le lessons learned dagli eventi bellici attualmente in corso, che hanno definitivamente concluso la lunga fase delle cosiddette «operazioni di pace» e aperto nuovi e incerti scenari.
Questo in considerazione del mutato (dis)ordine mondiale e (anche e soprattutto) dell’evoluzione dei sistemi d’arma disponibili e dal loro impiego sui campi di battaglia. A venire affrontate e approfondite sono state le tematiche relative alle guerre ibride e alle operazioni multidominio distribuite. Inoltre: quali soldati combatteranno boots on ground nei futuri campi di battaglia? E ancora: l’Italia è pronta a scenari del genere di quello ucraino? Intanto il Governo, mentre organizza un efficace battage pubblicitario per ottenere un 2% di Pil da destinare a stanziamenti per le spese militari, invia velivoli da combattimento e navi da guerra nei mari dell’Oceano Pacifico. «Non siamo pronti, ma ci dobbiamo attrezzare», ha dichiarato uno dei qualificati relatori nel suo intervento. Certo: basterebbe trovare i soldi (…)
Al convegno sono intervenuti PAOLO MAURI (giornalista de “Il Giornale”), GIORGIO BATTISTI (generale dell’Esercito italiano in ausiliaria, Senior Fellow del Centro Studi Machiavelli), CHRISTIAN DI BIAGIO (ingegnere, dirigente di MBDA), GIUSEPPE MORABITO (generale dell’Esercito italiano in ausiliaria, membro della NATO Defense College Foundation e Senior Fellow del centro Studi Machiavelli), MANUELA MINOZZI (docente, referente scientifica dell’Ufficio Ricerca di Ateneo), MARCO ANGELINI (docente di Ingegneria informatica Human-centered AI presso l’Università degli Studi Link), FRANCESCO BELTRAME QUATTROCCHI (docente ordinario di Bioingegneria del Dipartimento di Ingegneria dell’Università di Genova), GUGLIELMO PICCHI (direttore Relazioni internazionali del Centro Studi Machiavelli), GIUSEPPE COSSIGA (presidente di AIAD).
A647C – DIFESA, EVOLUZIONE DELLA GUERRA E NUOVE NECESSITÀ: DUE APPROFONDIMENTI PER UN’UNICA SOLUZIONE. Lo scorso 11 giugno nella Capitale ha avuto luogo un convegno di approfondimento promosso dall’Istituto Affari Internazionali (IAI), “Il presente e il futuro dell’artiglieria nei conflitti ad alta intensità”. Base di partenza le lessons learned dagli eventi bellici attualmente in corso, che hanno definitivamente concluso la lunga fase delle cosiddette «operazioni di pace» e aperto nuovi e incerti scenari.
Questo in considerazione del mutato (dis)ordine mondiale e (anche e soprattutto) dell’evoluzione dei sistemi d’arma disponibili e dal loro impiego sui campi di battaglia. I temi al centro dello studio presentato sono stati discussi da autorevoli rappresentanti delle Forze armate, dell’industria e delle Istituzioni. Presso la Sala Altiero Spinelli dello IAI sono intervenuti ELIO CALCAGNO (ricercatore del programma Difesa dello IAI: presentazione del Documento “Artillery in present and future high intensity operations”; registrazione parziale dovuta a difficoltà di collegamento da remoto della redazione), FLAVIA GIACOBBE (direttrice delle riviste Airpress e Formiche, moderatrice), MATTEO PEREGO DI CREMNAGO (sottosegretario alla Difesa), GIUSEPPE BERUTTI BERGOTTO (ammiraglio, sottocapo di stato maggiore della Marina militare italiana), CARLO LAMANNA (generale dell’Esercito italiano, comandante per la Formazione, Specializzazione e Dottrina), FABIO AGOSTINI (capo Reparto pianificazione ed esercitazioni del COVI), CLAUDIO DI LEONE (responsabile della Direzione degli armamenti terrestri), LORENZO MARIANI (co-direttore generale di Leonardo SpA), CARLO FESTUCCI (AIAD).
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