SPETTACOLO, Teatro Vascello Roma. Stagione 2024-25

Presentato il programma completo degli spettacoli che verranno messi in scena nei prossimi mesi nel teatro della Capitale. Numerosi i classici

Presentato il programma completo degli spettacoli che verranno messi in scena nei prossimi mesi nel teatro della Capitale. Numerosi i classici

DE PROFUNDIS

In cartellone dal 26 al 29 settembre 2024, un’opera di Oscar Wilde, traduzione di Camilla Salvago Raggi, versione teatrale di Glauco Mauri, Con Glauco Mauri, musiche Vanja Sturno, luci Alberto Biondi, allestimento scenico Laura Giannisi, produzione Compagnia Mauri Sturno; durata 60’; guarda il video di presentazione:  https://youtu.be/65Fv4cj5rvI. Il “De Profundis” è una lunga lettera dedicata al suo giovane amico Alfred Douglas con il quale ebbe per qualche anno un’intima relazione. Ma in due anni di carcere Alfred non gli scrisse mai una sola riga. Verso la fine della sua condanna Oscar Wilde ebbe il permesso di scrivere una lettera. Al mattino gli veniva consegnato un foglio e alla sera quel foglio gli veniva ripreso riempito dalle parole di solitudine, di angoscia ma anche dalla speranza che la maturazione del dolore può dare ad un’anima disperata. Solo alla fine della prigionia gli furono consegnati tutti i fogli da lui scritti. «È una lettera di dura verità e di dolcissimo dolore. Poesia, poesia di vita vera, tra le più vere che ho avuto la gioia di incontrare nei miei lunghi anni. Spero sia così anche per voi. È uno spettacolo particolare dove so di correre dei rischi, lo so e di questo ne sono entusiasta perché umilmente convinto di proporre al teatro qualcosa di nuovo».  (Glauco Mauri)

Mauri, uno dei più grandi artisti teatrali italiani, porta in scena De Profundis di Oscar Wilde, sua la versione teatrale della lunga lettera, quasi una autobiografia, che Wilde con la sua arte arguta e intelligente ha trasformato in una parabola universale della sofferenza, del valore dell’arte e dell’amore. Con il suo lavoro di elaborazione ha mirato innanzi tutto a eliminare le parti troppo letterarie, le non poche imperfezioni (dovute alle pesanti restrizioni carcerarie), le omissioni e gli spazi temporali non rispettati nell’epistola, per renderla scenicamente più efficace. Non un romanzo, ma una lunghissima lettera indirizzata al giovane Bosie (Alfred Douglas) che Wilde scrisse durante gli ultimi mesi della prigionia nel carcere di Reading.  Con l’arrivo del nuovo direttore, più sensibile nei suoi riguardi, gli fu concesso l’uso di carta e penna, severamente proibito dal durissimo regime carcerario a cui erano sottoposti gli omosessuali. Tuttavia Wilde poté leggere per intero quanto aveva scritto solo all’uscita dal carcere, quando gli furono consegnati tutti i fogli. Nel 1895 Oscar Wilde, notissimo scrittore e commediografo all’apice del successo (tre sue commedie erano contemporaneamente rappresentate nei teatri londinesi) fu condannato a due anni di lavori forzati, il massimo della pena per i reati legati all’omosessualità. Al carcere duro, che minò fortemente il suo fisico, si unirono la bancarotta finanziaria (i suoi libri non si vendettero più e le commedie ritirate dei cartelloni), la perdita dei due figli, che non rivide mai più, e la sua casa e i suoi beni sequestrati. Oscar Wilde che aveva incantato i salotti letterari e mondani di Londra e Parigi fu messo al bando e sarebbe morto in miseria tre anni dopo l’uscita dal carcere, lontano dall’Inghilterra. Acquista on line https://www.vivaticket.com/it/ticket/de-profundis/237703

LA FABBRICA DELL’ATTORE 50 ANNI DI (R)ESISTENZA

Dall’1 al 6 ottobre 2024 al teatro nelle cantine degli anni ’70 al Teatro Vascello, 50 anni della nostra storia e della nostra vita, sospesi fra immaginazione e realtà. Drammaturgia e regia Manuela Kustermann con la collaborazione di Gaia Benassi; con Manuela Kustermann, Massimo Fedele, Gaia Benassi, Paolo Lorimer; cura delle immagini Paride Donatelli; produzione La Fabbrica dell’Attore – Teatro Vascello; uno spettacolo immersivo di immagini, video, luci, musiche, ricordi e aneddoti per celebrare il cinquantesimo anniversario della compagnia La Fabbrica dell’attore e rivivere insieme le atmosfere magiche di spettacoli che hanno segnato un’epoca. Dalle cantine degli anni ‘70 al Teatro Vascello, cinquant’anni della nostra storia e della nostra vita, sospesi fra fantasia e realtà. Dedicato a Giancarlo Nanni e a tutti gli artisti che hanno fatto parte della nostra avventura. Acquista on line https://www.vivaticket.com/it/ticket/la-fabbrica-dell-attore-50-anni-di-r-esistenza/237717

UCCELLINI

Dal 9 al 13 ottobre 2024 andrà in scena “Uccellini”, di Rosalinda Conti, un progetto di lacasadargilla per la regia di Lisa Ferlazzo Natoli e Alessandro Ferroni; con Emiliano Masala, Petra Valentini, Francesco Villano; paesaggi sonori e ideazione spazio scenico Alessandro Ferroni; ambienti visivi Maddalena Parise; scene Marco Rossi; luci Omar Scala; costumi Anna Missaglia; suono Pasquale Citera; coordinamento artistico al progetto Alice Palazzi; assistente alla regia Matteo Finamore; assistente scenografa Francesca Sgariboldi; collaborazione alle immagini in ombra Malombra; foto di scena Claudia Pajewski; produzione La Fabbrica dell’Attore/Teatro Vascello; in coproduzione con Romaeuropa Festival, Piccolo Teatro di Milano – Teatro d’Europa in collaborazione con AMAT & Comune di Pesaro, lacasadargilla, PAV Fabulamundi; Playwriting Europe, RAM – Residenze Artistiche Marchigiane, con il sostegno di ATCL / Spazio Rossellini; durata 1 h e 15’. Una casa nel bosco. Una casa del bosco. Un bosco che allo stesso tempo esiste e non esiste, non esattamente. La casa è un ambiente e pure ha qualcosa di organico. Una trama e un trauma la sorreggono. Una riunione familiare vi accade, imprevista e accidentale. Uccellini racconta di presenze e assenze, di umani (morti e vivi) e animali (vivi e morti). Di rimossi e fratture, di sguardi discordi nel dare senso al mondo, alle relazioni e alle perdite. E soprattutto di cosa c’è nel mezzo, sulla sottile linea di confine. Uccellini è un esercizio notturno tra i fantasmi, dove qualcun(altro) sembra scrivere la storia, stando in ascolto, nascosto nel bosco.

Lacasadargilla è un ensemble. Composta da Lisa Ferlazzo Natoli (autrice e regista), Alessandro Ferroni (regista e disegnatore del suono), Alice Palazzi (attrice e coordinatrice dei progetti) e Maddalena Parise (ricercatrice e artista visiva), lavora su spettacoli, installazioni, progetti speciali e curatele. E riunisce intorno a sé un gruppo mobile di attori, musicisti, drammaturghi, artisti visivi. lacasadargilla innesta i propri lavori sulle scritture, siano esse originali, adattamenti letterari o testi di drammaturgia contemporanea. Una riflessione intorno al tempo, alle mitografie e alle eredità linguistiche, psichiche e familiari che ci legano al passato e a un futuro che possiamo solo intravedere. Nel 2019 lacasadargilla vince due premi UBU per miglior regia e miglior testo straniero con When the Rain stops Falling. Nel 2023 lacasadargilla riceve i premi UBU per miglior spettacolo e miglior testo straniero con Anatomia di un suicidio e per miglior regia con Anatomia di un suicidio e Il Ministero della Solitudine. Acquista on line https://www.vivaticket.com/it/ticket/uccellini/237728

ATTI LIBERTINI

Prima nazionale nei giorni 15 e 16 ottobre 2024. Altri Libertini: di Pier Vittorio Tondelli, regia di Licia Lanera; Compagnia Licia Lanera con Giandomenico Cupaiuolo, Danilo Giuva, Licia Lanera, Roberto Magnani; luci di Martin Palma; sound design: Francesco Curci; costumi: Angela Tomasicchio; aiuto regia: Nina Martorana; tecnico di Compagnia: Massimiliano Tane; prodotto da Compagnia Licia Lanera con il sostegno di Ravenna Teatro Romaeuropa Festival 2024, in co-realizzazione con la Fabbrica dell’Attore Teatro Vascello; durata 1 h e 20’; linguaggio esplicito.

Opera prima di Pier Vittorio Tondelli, pubblicata per la prima volta nel 1980 dalla casa editrice Feltrinelli, “Altri Libertini” apparve come un fulmine a ciel sereno nel panorama italiano e internazionale. Strutturato in sei racconti o episodi, il romanzo (così lo definiva il suo stesso autore) raccolse un enorme successo in Italia e all’estero per la sua trasgressione e attualità unite a un linguaggio vivo, giovanile e dialettale, non senza riferimenti a citazioni artistiche e culturali. Caratteristiche che contribuirono ad annoverare Tondelli tra gli autori più importanti della letteratura contemporanea e “Altri Libertini” come parte del suo patrimonio nonostante le prime incomprensioni della critica e gli ostacoli giudiziari (il romanzo fu sequestrato per oscenità e Tondelli fu processato e assolto con formula ampia dal Tribunale di Mondovì). La regista e attrice Licia Lanera (prima in Italia a ottenere i diritti per la messa in scena dell’opera) si concentra su tre racconti della raccolta (Viaggio, Altri Libertini e Autobahn) e interviene drammaturgicamente riunendoli in un unico spettacolo che la vede in scena con Giandomenico Cupaiuolo, Danilo Giuva e Roberto Magnani.

Compagnia Licia Lanera nasce nel 2006, cofondata da Licia Lanera con il nome Fibre Parallele. Opera nel teatro sperimentale e nel teatro di prosa ed e? finanziata da MIC e da Regione Puglia come Impresa Culturale. Il core business della compagnia è produrre spettacoli teatrali e portare avanti la tournee rispecchiando la grande tradizione delle compagnie di giro. Sono sedici gli spettacoli prodotti e portati in tournee dal 2006 ad oggi. Attualmente il repertorio ha all’attivo otto spettacoli: “The Black’s Tales Tour”, “Mamma” (primo premio al Troia Teatro Festival), la trilogia “Guarda come nevica”, “Venere/Adone”, “Con la carabina” e “Love me”. Due pezzi di Antonio Tarantino. Tra i riconoscimenti ottenuti negli anni, lo spettacolo teatrale “Cuore di cane” arriva finalista ai Premi Ubu 2019 rispettivamente per la categoria miglior attrice e miglior progetto sonoro e nel 2022 lo spettacolo “Con la carabina” ottiene due Premi Ubu per la miglior regia e miglior nuovo testo straniero messo in scena da una compagnia italiana. Dal 2012 la Compagnia si occupa anche di formazione teatrale.

CIME TEMPESTOSE

In prima nazionale il 19 e 20 ottobre 2024 Cime tempestose, di Emily Brontë, un progetto di Martina Badiluzzi, per la regia e la drammaturgia di Martina Badiluzzi; con Arianna Pozzoli e Loris De Luna; dramaturg Giorgia Buttarazzi; collaborazione alla drammaturgia Margherita Mauro; scene Rosita Vallefuoco; suono e musica Samuele Cestola; luci Fabrizio Cicero; drammaturgia del movimento Roberta Racis; produzione Cranpi, CSS Teatro stabile di innovazione del Friuli Venezia Giulia, Romaeuropa Festival in co-realizzazione con La Fabbrica dell’Attore – Teatro Vascello, con il contributo di MiC – Ministero della Cultura, con il sostegno di Teatro Biblioteca Quarticciolo; durata 75’.

Il potere trasformativo della scrittura femminile si manifesta attraverso autrici come Emily Brontë che hanno ridefinito il panorama letterario e plasmato l’immaginario di generazioni. Attraverso romanzi come “Cime tempestose”, la scrittrice ha saputo esprimere il fervore per l’emancipazione che ha permeato la sua esperienza nella brughiera dello Yorkshire vittoriano. Cresciuta in un contesto che mescolava la selvaggia natura della regione con i fermenti della rivoluzione industriale, costretta a celare la sua attività di autrice sotto uno pseudonimo maschile, Brontë rifletteva profondamente sull’alienazione emergente nella società capitalistica dell’epoca. Non è quindi un caso se la regista Martina Badiluzzi si sia rivolta a questo romanzo e alla sua autrice per il quarto capitolo del suo ciclo sulle identità femminili (“Cattiva sensibilità”, “The making of Anastasia” – vincitore del bando Biennale di Venezia Registi Under 30 nel 2019 – e “Penelope” – co-prodotto da Romaeuropa Festival 2022). Il suo “Cime Tempestose” è un dialogo tra interiore ed esteriore, una riflessione sull’ambivalenza della natura umana. Trasportando gli spettatori al centro dell’universo tormentato di Catherine e Heathcliff (qui interpretati da Arianna Pozzoli e Loris De Luna), Badiluzzi rende omaggio alla potenza intrinseca della letteratura e dell’arte, concludendo il suo percorso sulle identità con due figure tragiche del contemporaneo «mito fondante della nostra società, racconto del profondo fraintendimento tra femminile e maschile, tra natura e civiltà».

Martina Badiluzzi: Regista, autrice e interprete. Si è formata studiando con Anatolij Vasil’ev, il duo artistico Deflorian/Tagliarini, Lucia Calamaro, la regista brasiliana Christiane Jatahy, Joris Lacoste e Jeanne Revel, Agrupación Señor Serrano e Romeo Castellucci. Nel 2019 ha vinto il bando “Biennale College Registi Under 30” della Biennale di Venezia con lo spettacolo “The making of Anastasia”, di cui ha curato regia e drammaturgia che si sviluppa a cavallo tra teatro e cinema. Come interprete, è stata impegnata nella tournée internazionale di “Avremo ancora l’occasione di ballare insieme”, spettacolo della compagnia Deflorian/Tagliarini. Nel marzo del 2022 ha debuttato presso la Fondazione Haydn di Bolzano, l’opera di teatro musicale “Silenzio”; suo il libretto originale e la regia. Dirige e scrive “Penelope”, spettacolo co-prodotto da Roma Europa Festival, e “Cattiva sensibilità”, ispirato all’opera di Charlotte Brontë. É aiuto regia di Nanni Moretti per lo spettacolo “Diari d’amore” sui testi di Natalia Ginzburg. Negli ultimi anni si è dedicata allo studio dei linguaggi performativi, alla ricerca di un dialogo possibile tra la scrittura, l’interprete e la scena. Acquista on line https://www.vivaticket.com/it/ticket/cime-tempestose/237702

ROBERTO ZUCCO

In prima nazionale dal 25 al 27 ottobre 2024 il lavoro di Bernard Marie Koltés, realizzato su un progetto di Giorgina Pi /Bluemotion; traduzione di Francesco Bergamasco; adattamento, regia, scene e video: Giorgina Pi; colonna sonora originale: Valerio Vigliar; ambiente sonoro: Collettivo Angelo Mai; con Valentino Mannias e Andrea Argentieri, Flavia Bakiu, Sylvia De Fanti, Gaia Insenga, Giampiero Judica, Monica Demuru, Dimitri Papavasiliou, Alessandro Riceci, Alexia Sarantopoulou; produzione: Teatro Nazionale di Genova, Teatro Metastasio di Prato e Romaeuropa Festival; in corealizzazione con Fabbrica dell’Attore – Teatro Vascello; in accordo con Arcadia; Ricono Ltd, per gentile concessione di François Koltès;

Dopo Tiresia, Filottete e Pilade, dopo aver attraversato le visioni di Kae Tempest, Sofocle, Adrienne Rich, Heiner Müller e Pier Paolo Pasolini, Giorgia Pi si rivolge a Bernard Marie Koltès. Il suo sguardo si concentra questa volta su un antieroe, su un personaggio che del mito prende la capacità di mettere in luce pieghe oscure dell’umano. Basato sulla storia reale di un giovane, Roberto Zucco è l’ultima opera del drammaturgo francese, il racconto di un criminale che, dopo essere stato accusato della morte violenta dei propri genitori, fugge dal carcere, sfida la polizia di tre diverse nazioni e infine, arrestato, muore suicida. Con un numeroso cast formato da Valentino Mannias, Andrea Argentieri, Flavia Bakiu, Sylvia De Fanti, Gaia Insenga, Giampiero Judica, Monica Demuru, Dimitri Papavasiliou, Alessandro Riceci e Alexia Sarantopoulou, Giorgina Pi scava nella dimensione corale del testo, nel raffinato tessuto psicologico dei personaggi che circondano il protagonista, negli universi oscuri abitati da donne, reietti e corrotti e  trova in Zucco e nel suo mondo l’incarnazione contemporanea dell’ossessione della sfida, forma di follia del nostro presente.

Giorgina Pi è un’artista nata e cresciuta a Roma. Si laurea in Dams, si specializza a Parigi con una tesi sugli spettacoli shakespeariani del Théâtre du Soleil. Autrice di saggi e articoli è dottoranda in comparatistica presso le Università di L’Aquila e Paris 8. Regista, attivista, videomaker, femminista, fa parte del collettivo artistico Angelo Mai – spazio indipendente per le arti di Roma. Con il gruppo Bluemotion realizza spettacoli e immagina ambientazioni, in una ricerca che coniuga arti della scena, ricerca visuale e musica dal vivo. La regista dal 2018 è accompagnata da 369gradi, produzione apprezzata in Italia e all’estero nell’ambito delle nuove drammaturgie e del teatro di innovazione.

Bluemotion è una formazione nata a Roma all’interno dell’esperienza artistica e politica dell’Angelo Mai. Performer, registi, musicisti e artisti visivi si uniscono per creare a partire dalle proprie suggestioni, confrontando i propri sguardi sul presente e sull’arte. Le opere di Bluemotion sono sempre creazioni collettive, risultato dello scambio e delle visioni dei membri del gruppo. Gli artisti di Bluemotion sono anche attivisti nel campo dei diritti umani e dei diritti dei lavoratori dello spettacolo. A marzo 2014 gli artisti di Bluemotion hanno subito accuse molto gravi che tentavano di tradurre il loro impegno politico in atti criminosi. Dopo più di un anno sono stati scagionati da ogni accusa e si è conclusa una incresciosa indagine che ha tentato di limitare la loro libertà e di ridurre le intense e decennali attività dell’Angelo Mai. L’Angelo Mai e Bluemotion nel 2016 ricevono il premio UBU Franco Quadri.

LA VEGETARIANA

Dal 29 ottobre al 3 novembre scene dal romanzo di Han Kang, adattamento del testo Daria Deflorian e Francesca Marciano; una co-creazione con Daria Deflorian, Paolo Musio, Monica Piseddu, Gabriele Portoghese; regia Daria Deflorian; scene Daniele Spanò; luci Giulia Pastore; suono Emanuele Pontecorvo; costumi Metella Raboni; collaborazione al progetto Attilio Scarpellini; aiuto regia Andrea Pizzalis; regia Daria Deflorian; una produzione INDEX; Emilia Romagna Teatro ERT / Teatro Nazionale; La Fabbrica dell’Attore – Teatro Vascello in corealizzazione con Romaeuropa Festival; TPE – Teatro Piemonte Europa; Triennale Milano Teatro, in coproduzione con Odéon Théâtre de l’Europe; Festival d’Automne à Paris; théâtre Garonne, scène européenne Toulouse, con il supporto di MiC – Ministero della Cultura; durata 100’; guarda il trailer https://www.youtube.com/watch?v=cgCVKQxtGW8

Daria Deflorian torna al Romaeuropa Festival in veste di regista e attrice per portare in scena insieme a Monica Piseddu, Paolo Musio e Gabriele Portoghese il gesto misterioso, potente, irrazionale quanto politico di Yeong-hye, protagonista de “La vegetariana”, romanzo della scrittrice sudcoreana Han Kang. Un testo sensuale, provocatorio, ricco di immagini potenti, colori sorprendenti e domande inquietanti: il rifiuto radicale, categorico quanto violento di una donna che sceglie di non mangiare più carne dà il via a un graduale processo di metamorfosi. Mentre Yeong-hye cambia, cercando di diventare essa stessa vegetazione, ecco che è l’intero mondo che la circonda a vivere l’impatto della sua trasformazione: dall’irritazione sconcertata del marito, all’esaltazione artistica del cognato fino alla consapevolezza addolorata della sorella. L’umanità è dannosa, furiosa, assassina, violenta, tutte cose che Yeong-hye non vuole essere. Lei non vuole smettere di vivere. Vuole smettere di vivere come noi.

Daria Deflorian Attrice, autrice e regista, tra i nomi di spicco della scena teatrale contemporanea. Come attrice lavora tra gli altri con Nanni Moretti, Stephane Braunschweig, Massimiliano Civica, Lotte Van Den Berg, Lucia Calamaro, Martha Clarke, Fabrizio Arcuri, Mario Martone, Remondi e Caporossi. Vince il Premio Ubu 2012 come miglior attrice e il Premio Hystrio2013. Dal 2008 al 2021 condivide i progetti con Antonio Tagliarini. I loro spettacoli girano l’Europa e vincono molti premi: Premio Ubu 2014 come miglior testo, miglior spettacolo straniero in Canada nel 2015, Premio Riccione 2019 e Premio Hystrio 2021. I loro testi sono pubblicati da Titivillus, Cue Press e Luca Sossella. Nel 2022 firma la drammaturgia e la regia di En finir dai testi di Edouard Louis per La Manufacture/Alta scuola di formazione di Losanna e poi per l’Accademia Silvio D’Amico di Roma. Nel 2023 firma drammaturgia e regia di Elogio della vita a rovescio, prima tappa del progetto biennale attorno a La vegetariana. Dal 2021 cura la direzione artistica di INDEX (index-productions.com) insieme alla compagnia Muta Imago.

Acquista on line https://www.vivaticket.com/it/ticket/la-vegetariana/237721

IL SEN(N)O

Il 4 novembre 2024,  in collaborazione con Flautissimo, “Il Sen(n)o, di Monica Dolan, titolo originale The B*easts; con Lucia Mascino; adattamento e regia Serena Sinigaglia; traduzione Monica Capuani; scene Maria Spazzi; luci e suoni Roberta Faiolo; assistente alla regia Michele Iuculano; tecnico di produzione Christian Laface; produzione Centro d’Arte Contemporanea Teatro Carcano; distribuzione a cura di Mismaonda; durata 100’. Alla fine tutto si riduce a una sola domanda: pensiamo che il seno sia una cosa oscena oppure che sia quello che è e basta?

Una psicoterapeuta si trova a dover valutare un gesto mai compiuto prima. Una madre ha preso una decisione sul corpo di sua figlia e questa decisione scatena intorno a lei una serie di conseguenze e di reazioni sempre più fuori controllo. Un monologo volutamente sfidante, Il Sen(n)o ci conduce nell’esplorazione di un tema terribilmente attuale: come l’esposizione precoce alla sessualizzazione e alla pornografia nell’era di internet abbiano inciso profondamente sulla nostra cultura. Scritto da Monica Dolan e tradotto da Monica Capuani, dopo un enorme successo in Inghilterra Il Sen(n)o debutta per la prima volta in Italia interpretato da Lucia Mascino con la regia di Serena Sinigaglia. Lucia Mascino, attrice poliedrica e sui generis, la cui carriera spazia dal teatro, alla televisione, al cinema sia d’autore che popolare, ha ottenuto riconoscimenti prestigiosi tra i quali: 4 candidature ai Nastri d’argento, il Premio Anna Magnani per il cinema nel 2018 come miglior attrice protagonista e il Premio Flaiano per il teatro nel 2023.

«Quando ho letto il testo un anno fa, ho pensato che fosse urgente portarlo in scena. Abbiamo impiegato un anno con Serena per addentrarci in una materia così toccante, complessa e piena di riverberi come la manipolazione continua della nostra identità che viviamo, immersi come siamo, in modelli di marketing più che in situazioni reali, e come questa manipolazione sia ancora più violenta e fuori controllo nella zona dell’infanzia e dell’adolescenza», afferma Lucia Mascino. Serena Sinigaglia regista eclettica e trasversale, la cui carriera dura da più di venticinque anni. Dirige opere liriche e prosa, classici e contemporanei. Collabora coi più importanti drammaturghi italiani nella creazione di testi originali, tra questi Roberto Saviano, Fausto Paravidino, Letizia Russo, Emanuele Aldrovandi. Riceve numerosi riconoscimenti tra i quali «Donnediscena» come migliore regista dell’anno, premio «Hystrio» alla regia, e il premio Hystrio Twister 2023 per Supplici. «Cerco testi che sappiano cogliere le questioni più urgenti della contemporaneità – afferma -, “Il Senno” apre uno squarcio, mai retorico, mai scontato, nelle contraddizioni profonde della nostra società. Il teatro per me è questo: un testo urgente, un’attrice straordinaria e un pubblico desideroso di vedere la realtà con limpidezza, capace di trovare un senso e una direzione autonoma e responsabile di vera umanità». Acquista on line https://www.vivaticket.com/it/ticket/il-sen-n-o/237716

CAPITOLO II

Di Neil Simon, dal 12 al 17 novembre 2024, uno spettacolo di Massimiliano Civica; con Maria Vittoria Argenti, Ilaria Martinelli, Aldo Ottobrino, Francesco Rotelli; regia Massimiliano Civica; scene di: Luca Baldini; costumi di: Daniela Salernitano; luci di Gianni Staropoli; produzione Teatro Metastasio di Prato in corealizzazione con Romaeuropa Festival e La Fabbrica dell’Attore – Teatro Vascello. Il regista Massimiliano Civica porta in scena al Romaeuropa Festival il suo allestimento di “Capitolo II”, commedia tra le più autobiografiche della vasta produzione di Neil Simon. George, quarantaduenne, scrittore di gialli che non riesce a superare il dolore per la morte della moglie, e Jannie, attrice di teatro che ha appena divorziato, si conoscono grazie al fratello di lui e alla migliore amica di lei. Dopo aver superato dubbi, crisi e problematiche sentimentali, decide di sposarla inaugurando così il secondo capitolo della sua vita. Con “Capitolo due”, scritto dopo la morte della moglie, Neil Simon mette in commedia una dolorosa esperienza personale e inaugura il “secondo capitolo” della sua vita artistica, iniziando a scrivere storie con protagonisti che fanno cose buffe in contrasto con la tristezza che provano.

Massimiliano Civica dopo la Laurea in Storia del Teatro all’Università La Sapienza, si diploma in Regia presso l’Accademia Nazionale d’Arte Drammatica Silvio D’Amico. Nel 2007 vince i premi “Lo Straniero” e “Hystrio-Associazione Nazionale Critici Teatrali” per l’insieme della sua attività teatrale e diventa Direttore Artistico del Teatro della Tosse di Genova, dando vita al progetto triennale “Facciamo Insieme Teatro”, che vince il Premio ETI Nuove Creatività. Vincitore di tre Premi Ubu per la miglior regia: “Il mercante di Venezia” (2008), “Alcesti” (2015) e “Un quaderno per l’inverno” (2017), al quale viene assegnato anche il premio per il miglior testo italiano (Armando Pirozzi). Dal 2013 tiene il corso di alta specializzazione in recitazione presso l’Accademia Nazionale d’Arte Drammatica Silvio D’Amico di Roma, di cui, dal 2015, è membro del Consiglio d’Indirizzo. Nel gennaio 2018 diventa consulente artistico della direzione del Teatro Metastasio di Prato e a novembre 2021 ne diventa Direttore. Nel 2023 vince il Premio Nicolini per “il virtuoso utilizzo di un’istituzione teatrale, il Teatro Metastasio di Prato”.

Acquista on line https://www.vivaticket.com/it/ticket/capitolo-2/237701

LA SCORTECATA

Dal 19 novembre all’1 dicembre 2024, liberamente tratto da Lo cunto de li cunti, di Giambattista Basile, testo e regia Emma Dante; con Salvatore D’Onofrio, Carmine Maringola; elementi scenici e costumi Emma Dante; luci Cristian Zucaro; assistente di produzione Daniela Gusmano; assistente alla regia Manuel Capraro; produzione Atto Unico / Compagnia Sud Costa Occidentale, e Carnezzeria; coordinamento e distribuzione Aldo Miguel Grompone; durata 60’.

«Oh, Valentine, un favore – disse Maximilien -, il vostro dito mignolo, che io possa baciarlo attraverso queste assi!» Valentine salì su una panchina, e passò, non il mignolo attraverso l’apertura, ma tutta la mano al di sopra del recinto. Maximilien mandò un grido, e, arrampicandosi con un balzo sullo steccato, afferrò quella mano adorata, e vi impresse le labbra ardenti; ma subito la piccola mano sgusciò dalle sue, e il giovane sentì fuggire Valentine, spaventata forse per quella sensazione a lei sconosciuta. Il conte di Montecristo Alexandre Dumas. Lo cunto de li cunti overo lo trattenimiento de peccerille, noto anche col titolo di Pentamerone (cinque giornate), è una raccolta di cinquanta fiabe raccontate in cinque giornate.  Prendendo spunto dalle fiabe popolari, Giambattista Basile crea un mondo affascinante e sofisticato partendo dal basso. Il dialetto napoletano dei suoi personaggi, nutrito di espressioni gergali, proverbi e invettive popolari, produce modi e forme espressamente teatrali tra lazzi della commedia dell’arte e dialoghi shakespeariani.

Come una partitura metrica, la lingua di Basile cerca la verità senza rinunciare ai ghirigori barocchi della scrittura. La scortecata è lo trattenimiento decemo de la iornata primma e narra la storia di un re che s’innamora della voce di una vecchia, la quale vive in una catapecchia insieme alla sorella più vecchia di lei. Il re, gabbato dal dito che la vecchia gli mostra dal buco della serratura, la invita a dormire con lui. Ma dopo l’amplesso, accorgendosi di essere stato ingannato, la butta giù dalla finestra. La vecchia non muore ma resta appesa a un albero. Da lì passa una fata che le fa un incantesimo e diventata una bellissima giovane, il re se la prende per moglie. In una scena vuota, due uomini, a cui sono affidati i ruoli femminili come nella tradizione del teatro settecentesco, drammatizzano la fiaba incarnando le due vecchie e il re. Basteranno due seggiulelle per fare il vascio, una porta per fare entra ed esci dalla catapecchia e un castello in miniatura per evocare il sogno.

Le due vecchie, sole e brutte, si sopportano a fatica ma non possono vivere l’una senza l’altra. Per far passare il tempo nella loro miseria vita inscenano la favola con umorismo e volgarità, e quando alla fine non arriva il fatidico: «E vissero felici e contenti» la più giovane, novantenne, chiede alla sorella di scorticarla per far uscire dalla pelle vecchia la pelle nuova. La morale: il maledetto vizio delle femmine di apparire belle le riduce a tali eccessi che, per indorare la cornice della fronte, guastano il quadro della faccia; per sbiancare le pellecchie della carne rovinano le ossa dei denti e per dare luce alle membra coprono d’ombre la vista. Ma, se merita biasimo una fanciulla che troppo vana si dà a queste civetterie, quanto è più degna di castigo una vecchia che, volendo competere con le figliole, si causa l’allucco della gente e la rovina di sé stessa.

Acquisita on line https://www.vivaticket.com/it/ticket/la-scortecata/237720

IL CANTO DELLA SIRENA

Per un pubblico di famiglie e bambini a partire dai sei anni in su, il 23, 24 e 30 novembre 2024, Il canto della sirena, liberamente tratto da “La Sirenetta” di H.C. Andersen; testo e regia Emma Dante; con Viola Carinci, Davide Celona, Stephanie Taillandier; luci Cristian Zucaro; coordinamento e distribuzione Daniela Gusmano; produzione Atto Unico / Sud Costa Occidentale; durata 60’

«Ogni volta che un bambino muore, scende sulla terra un angelo, prende in braccio il bimbo morto, allarga le grandi ali bianche e vola in tutti i posti che il bambino ha amato» (H.C. Andersen) Il canto della sirena racconta la storia di una sirena che se ne sta ore e ore su un scoglio a contemplare il mare. L’umido del mare le trapassa le ossa e raffredda il suo corpo che ama invece la terraferma da dove il mare è una distesa bellissima con un odore buono. Ogni sera, Agnese, la più piccola di sei sorelle, con la pelle delicata come petali di rosa e gli occhi chiari come laghi profondi, canta a riva sotto le stelle, finché un giorno, a causa di una terribile tempesta, vede affondare una nave. Agnese si tuffa e salva un principe che sta per affogare. Lo riporta a riva e se ne innamora perdutamente. È a questo punto che la sirena fa la sua scelta: rinunciare alla coda di pesce per inseguire il grande amore. È disposta a tutto Agnese e chiede alla strega del mare il sortilegio. Avrà due gambe per correre dal suo principe e in cambio darà alla strega la sua voce. Ma non è tutto, il rischio è più grande: se il principe non ricambierà il suo amore, Agnese diventerà schiuma del mare. La sirena accetta tutto, anche di morire, e in una mutazione dolorosissima la sua coda si divide in due, generando le gambe di una donna senza voce. Il suo principe sarà disposto ad amarla? E la sirena si sentirà a casa sulla terraferma, oppure comincerà ad avere freddo? Si salverà Agnese o cadrà nell’abisso profondo del suo triste destino? Lo scopriremo ascoltando la sua storia, drammatica come sono le favole, ma leggera com’è la brezza del mare. Acquista on line https://www.vivaticket.com/it/ticket/il-canto-della-sirena/237711

LXI FESTIVAL DI NUOVA CONSONANZA

Prima rappresentazione assoluta in forma teatrale: 61° Festival di Nuova Consonanza, il 25 novembre 2024 alle ore 20:30, presentazione di Dacia Maraini; Syro Sadun Settimino o il trionfo della Grande Eugenia, operina monodanza in un atto di notte di Sylvano Bussotti, poema di Dacia Maraini (1974 rev. 2024); voce recitante di Manuela Kustermann; danzatore: Carlo Massari della C&C Company; ensemble Roma Sinfonietta: direttore M° Marcello Panni; EVO Ensemble ; filmati e proiezioni da Sylvano Bussotti, RARA (film) 1968/ 1970) nell’edizione restaurata dalla Cineteca Nazionale di Bologna; tema dell’Opera è la sessualità fluida di un giovane settimino che vuole diventare ballerino.

Compositore, scenografo, costumista, pittore, direttore artistico di vari teatri italiani come la Fenice di Venezia, il Festival Puccini di Torre del Lago, la Biennale Musica, Bussotti ha scritto numerose opere liriche, balletti, pagine orchestrali e una ricca produzione di musica da camera e solistica. Tra le opere ricordiamo Passion selon Sade (Genova, Carlo Felice) Lorenzaccio (Venezia, la Fenice) Rara Requiem (Parigi, Journèes Bussotti) Cristallo di Rocca (Milano, Scala) Bergkristall e Racine (Opera di Roma). Innovativo nella musica, inventivo nella scrittura e nella pittura, che lo pone tra i più originali talenti del Novecento italiano, si ricordano ancora le sue numerose messe in scena come regista, costumista e scenografo di opere di Verdi e Puccini (oltre alle sue stesse opere) all’Arena di Verona, alla Scala, a Roma, Genova, Palermo, etc. A tre anni esatti dalla sua scomparsa, Nuova Consonanza intende ricordare questo grande e multiforme artista con la prima rappresentazione assoluta di una sua opera da camera del 1974 Syro Sadun Settimino, ancora ineseguita e dimenticata, dopo la presentazione in forma di concerto al Festival di Royan del 1974, curata dallo stesso Bussotti, che ne fu anche la voce recitante.

Il poema di Dacia Maraini del 1969, rivisto nel 2024, forma la struttura dell’opera e ha come soggetto un tema scabroso per l’epoca e per i gusti del pubblico, un ragazzo che nasce settimino e vuole diventare ballerino. Le sue difficoltà però nascono dall’ambiguità della sua sessualità, che oggi si direbbe fluida, e oscilla tra maschio e femmina nel corso del poemetto con accenti abbastanza crudi. Nel corso della sua difficile adolescenza deve superare ostacoli famigliari e pregiudizi sociali per realizzarsi. L’operina monodanza alterna con grande originalità testo, balletto, cori a cappella (invisibili) e una parte strumentale per piccola orchestra. Per la novità del progetto e la scabrosità dell’argomento l’operina non trovò posto sulle scene di nessun teatro italiano e il cammino di Bussotti andò in altre direzioni. Solo quattro brani per dodici voci a cappella con il titolo Sadun furono riusati come base per un Ballet blanc. al Maggio Musicale Fiorentino del 1976.

A cinquant’anni esatti dalla prima esecuzione in forma di concerto al festival di Royan, Syro Sadun Settimino verrà ricreato al Festival di Nuova consonanza, diretto oggi come allora da Marcello Panni, amico e interprete accreditato di altre sue prime assolute (Bergkristall all’Opera di Roma, Cristallo di Rocca alla Scala, Passion selon Sade a Genova). Questo avvenimento sarà arricchito dalla presenza di Dacia Maraini come presentatrice, dalla lettura del suo poema affidata a Manuela Kustermann, anche lei amica storica di Bussotti, da un balletto monodanza creato e interpretato dal giovane coreografo Carlo Massari. Proiezioni e filmati di Bussotti stesso faranno da scenografia mobile. Acquista on line https://www.vivaticket.com/it/ticket/syro-sadun-settimino/237727

IL GIARDINO DEI CILIEGI

Dal 3 all’8 dicembre 2024 Progetto Čechov, terza tappa, di Anton Čechov; traduzione Fausto Malcovati; regia Leonardo Lidi; personaggi e interpreti: Boris Borisovic Simeonov-Piscik, Giordano Agrusta; Charlotta Ivanovna, Maurizio Cardillo; Jasa, Alfonso De Vreese; Varja (sua figlia adottiva), Ilaria Falini; Peter Sergeevic Trofimov, Christian La Rosa; Dunja, Angela Malfitano; Ljubov’ Andreevna, Francesca Mazza; Lenja Andreevna (sorella di Ljubov’), Orietta Notari; Ermolaj Alekseevic Lopachin, Mario Pirrello; Firs, Tino Rossi; Semen Panteleevic Epichodov, Massimiliano Speziani; Anja (sua figlia), Giuliana Vigogna; scene e luci Nicolas Bovey; costumi Aurora Damanti; suono Franco Visioli; assistente alla regia Alba Porto; produzione Teatro Stabile dell’Umbria; in coproduzione con Teatro Stabile di Torino – Teatro Nazionale, Spoleto Festival dei Due Mondi;

Sinossi. Scritta con grande fatica e terminata alla fine del 1903, Il giardino dei ciliegi è l’ultima commedia di Čechov, nata originariamente da un “fortissimo desiderio di scrivere un vaudeville”. Si apre nel mese di maggio, quando i ciliegi sono in fiore: Ranevskaja Liubov’ Andreevna ritorna nella sua tenuta di campagna, dopo aver dilapidato il patrimonio di famiglia. La proprietà è destinata a essere venduta all’asta per poter coprire i debiti accumulati. Il mercante Lopachin, discendente della famiglia di servi anticamente alle dipendenze dei vecchi proprietari, suggerisce di dividere la tenuta in lotti per costruire villette dalla cui vendita ricavare i soldi necessari, e salvare quindi parte della proprietà. Il giardino rappresenta per i suoi proprietari un’ancora alla giovinezza e uno scrigno per i ricordi di una vita, e questo rallenta la decisione. Insopportabile il pensiero di assistere all’abbattimento dei meravigliosi alberi del giardino. Sarà inevitabile. Nessuno, infatti, riesce a salvare la proprietà, con tutti i ricordi e i legami affettivi che contiene, dalla vendita e dalla lottizzazione. Proprio il mercante Lopachin, di cui è innamorata Varja, una delle figlie della proprietaria, acquisterà il giardino e darà l’avvio all’abbattimento necessario alla ricostruzione. Čechov traccia un quadro del suo tempo, ma anche del nostro. «Io descrivo la vita», scriveva subito dopo il successo de Il giardino dei ciliegi, per difendere il carattere delle sue commedie, tetro, forse, ma mai «stucchevole» o «lacrimevole».

Immersi nell’inutilità del nostro giardino. Leggendo il Giardino dei Ciliegi di Anton Čechov mi è sempre sembrato palese (e magari ho sempre sbagliato) che il nostro giardino è sinonimo di nostro teatro. Ed avendo avuto il progetto Čechov una validità politica dal suo principio, dal rientro post pandemico con Gabbiano per interrogarci sul come ripartire nell’incontro con il pubblico, mi sembra stimolante chiudere il cerchio con questo testo così profondo nelle sue domande. Un testo, l’ultimo di Čechov, che presenta a tratti monologhi più concettuali e smaccatamente filosofici rispetto ai precedenti, ma che continua a sballottarci da un personaggio all’altro, spostando la “ragione” su più punti e facendoci letteralmente girare la testa. Termineremo il viaggio confusi, pieni di domande e con pochissime risposte. Ecco, forse, cosa vuol dire drammaturgia. Ecco perché Čechov, sopravvissuto al tempo, dovrebbe essere il maestro di riferimento del teatro del domani: un simpatico individuo che prendendosi un po’ in giro immette generosamente una riflessione nell’altro. Con la cura verso l’altro e la noncuranza del proprio io. In un teatro dove bisogna autodefinirsi pedagoghi e maestri per salvarsi dalla mediocrità, Čechov ci rassicura nel dubbio, citando Amleto attraverso le mani troppo in movimento di Lopachin e ci ricorda che il dubbio fa parte del nostro mestiere e che senza di quello non potremmo sopravvivere, che senza il dubbio la creatività perde appetito. In un Italia che cerca sempre di più sintetiche risposte sbertucciando la complessità, il progetto Čechov rischia di non sapere. Si potrebbe scomodare il paradosso socratico del “allora capii che veramente io ero il più sapiente perché ero l’unico che non sa né pensa di sapere” ma sono certo di poter esprimere lo stesso concetto con qualche canzoncina da Festivalbar nella prossima messa inscena.

Per chi conosce il testo: se inizialmente ci sembra normale parteggiare per il monologo di Trofimov e il suo concetto di essere consapevolmente un eterno studente, colui che comprende che per avanzare nella vita non bisogna mai smettere di lavorare e di far lavorare la propria mente, non posso non saltare sulla sedia ogni volta che leggo che l’unico ad andare a teatro in questo copione è Lopachin. Lopachin, che si sveglia alle cinque del mattino, figlio di contadini, Lopachin che ha fatto i soldi e che pensa a come farne sempre di più, ieri sera è stato a teatro a differenza di tutti gli intellettuali presenti in quella casa. Ecco, tutto qui. Ecco che, per l’ennesima volta, non possiamo accomodarci sulla lettura spiccia dei buoni e dei cattivi, ma che per raccontare la complessità umana divertendoci dobbiamo ricercare i paradossi della gente.

Lopachin e Trofimov, semplificando, sono una mano destra e una mano sinistra che si stringono solo nell’incapacità di dichiararsi alla donna amata nel loro infantilismo relazionale. Ed ecco che le donne Ljubov’, Dunja, Varja e Anja, che hanno creduto nell’amore, si ritrovano sistematicamente sconfitte e deluse dai loro uomini, troppo distratti dai pensieri del proprio ombelico. Ed ecco Charlotta, sola da sempre e per sempre, che simula un infanticidio per divertimento, sbarazzandosi così di un fantoccio bambino e della retorica del ruolo teatrale donna/mamma. Un calcio nelle palle al capocomicato con i suoi personaggi femminili così semplificati. Che grande Čechov! Che bello il Giardino dei Ciliegi! Che non si può incasellare, che non può essere fatto in nessun modo se non in quello più difficile, che necessita di un credo radicale nell’atto creativo. La richiesta alla nobiltà d’animo, alla generosità come più grande forma d’arte.

Un luogo, un giardino/teatro, che aveva trovato la sua utilità cento anni fa e che adesso vive solo nel ricordo dei suoi interpreti. Che adesso non produce più la marmellata di cui i nostri nonni erano tanto ghiotti e che per questo si può tranquillamente buttare giù in favore di un parcheggio. “Bisognerebbe buttarlo giù questo teatro” tuonava il maestro del Gabbiano. Eccoci ancora qui. Sarà un piacere vederli tutti di fila. E va bene inorridire pensando alla ruspa che distruggerà i nostri alberi ma forse dovremmo coraggiosamente prendere per il bavero anche lo zio Gaev che, colpevolmente, parla di caramelle e si protegge nel ciò che è stato e che, per paura della morte e dello scorrere del tempo, si facilita l’esistenza associando il presente e il denaro alla volgarità. Senza prendere il toro per le corna, decidendo di non essere incisivo. E di perdere. Ma in questo tempo la testa va lasciata fuori dalla sabbia, in questo tempo è importante ribadire a gran voce che il nostro inutile giardino, il nostro teatro pubblico, non si può basare solo sui numeri, non si può valutare solo contando quante ciliegie produce di anno in anno. Altrimenti, ieri come oggi, tanto vale privatizzarlo e farci tante villette per i turisti. Se non c’è rischio di impresa non è Pubblico e non merita di essere sostenuto dalle persone.  E non fate i furbi su questo: non nascondetevi dietro il sipario se non amate il teatro. Se volete più ciliegie in maniera dozzinale solo per produrre fiumi di marmellata non è un grande giardino – citato anche nel dizionario enciclopedico – il posto adatto a voi. Se l’unico pensiero è avere sempre di più, accumulare in maniera autolesionista e spremere le persone accanto a noi, se crediamo in questa forma di schiavismo del nuovo millennio, se smettiamo di occuparci della qualità delle nostre vite attraverso la qualità della vita degli altri allora mi chiedo che cosa stiamo facendo, ancora, su un palcoscenico. E se lo chiedono anche gli attori, abbandonati nel tempo a dover elemosinare attenzione con lunghi monologhi emotivi ed effimeri, su armadi di cento anni fa. A dover auto affermare il valore del proprio lavoro. Ci siamo dimenticati di loro, abbiamo chiuso la porta a doppia mandata e li abbiamo lasciati agonizzanti dopo aver sfruttato il loro servizio.

Ecco l’ultima immagine che Čechov ci lascia nel finale di Giardino, nel finale di una vita spesa per il teatro. Una persona che ha servito altre persone per tutta la vita, senza se e senza ma, dimenticato. Dice a sé stesso, o al teatro che sta occupando “… Non hai più forze, non ti è rimasto proprio niente, niente… Eh, buono a nulla …”. Poi una corda tragica di violino a riempire la scena. Anche Čechov, dopo tutta questa buona marmellata regalata, ci lascia con una nota triste, come se non avesse più voglia di ridere.   E infatti c’è da piangere. O, forse, da reagire. Leonardo Lidi. Acquista on line https://www.vivaticket.com/it/ticket/il-giardino-dei-ciliegi/237712

FAUST

Prima nazionale dal 10 al 22 dicembre 2024, tratto da Faust I e II di Johann Wolfgang von Goethe, di Leonardo Manzan e Rocco Placidi, con Paola Giannini, Alessandro Bay Rossi (altri attori da definire); regia Leonardo Manzan; scene Giuseppe Stellato, video e luci Paride Donatelli, Sound Franco Visioli; produzione La Fabbrica dell’Attore – Teatro Vascello, Teatro Piemonte Europa, LAC Lugano Arte e Cultura; Faust è una leggenda popolare che Goethe ha portato al grado estremo della complessità letteraria e filosofica. La sua opera-mondo, mostruosa per estensione, varietà di stili, numero di personaggi, tempi e luoghi, è praticamente irrappresentabile. Eppure, anche se leggendo le sue mille pagine uno se lo dimentica, Faust è un’antica fiaba di tradizione orale. E noi vogliamo recuperare la semplicità e insieme la forza di un racconto che potrebbe cominciare così: c’era una volta un uomo che fece un patto col diavolo. Partiamo da qui, da un Prologo in teatro in cui Faust, l’artista moderno e infelice, con la sua compagnia, tiene una conferenza sul Faust di Goethe davanti a un sipario chiuso. Faust non può più essere rappresentato, se ne può solo parlare. Faust come artista non può più agire, non può più creare, può solo analizzarsi. Faust è talmente autoconsapevole che non sa più chi è. Direttamente dagli inferi, Mefistofele arriva a disturbare con la sua spavalda ingenuità questo consesso di sottili intelligenze.  Mefistofele è il diavolo. È veramente il diavolo. Non ci credete? E infatti è proprio questo il suo problema: nessuno gli crede più, nessuno crede che il diavolo esiste.

Mefistofele arriva in un mondo che non riconosce più, il mondo moderno che «ha bandito il Malvagio ma non i malvagi», un mondo che non si abbandona più al piacere della finzione, che rifiuta l’inganno, che non conosce la magia del teatro. Per rappresentare Faust bisogna credere nel diavolo.  Mefistofele ha bisogno che Faust creda in lui, per recuperare il suo potere. Faust ha bisogno di credere nel diavolo per recuperare la possibilità del teatro. Dall’arrivo di Mefistofele il sipario si apre e comincia il viaggio nell’immaginazione. Si può lasciare il teatro restando in teatro? Spostarsi nel tempo e nello spazio rimanendo fermi, proprio come il Faust di Goethe richiede? Si scopre una scena fatta di pannelli, superfici proiettabili e mobili. Formano un labirinto in cui Mefistofele invita Faust a perdersi. Il nostro Faust viene riproposto con il linguaggio e l’estetica della graphic novel. Questa geometria di schermi bianchi permette i cambi rapidi di ambientazione. Superfici sulle quali prendono forma disegni, paesaggi, scenari, che evocano il regno della fantasia. Sono la traduzione moderna dei fondali dipinti del teatro rinascimentale.  L’estetica del fumetto, con la sua semplicità, permette la varietà di stili che il Faust contiene e allo stesso tempo riporta la complessità stratificata di Goethe all’essenzialità della fiaba popolare. Leonardo Manzan e Rocco Placidi

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LE GRANDI COLONNE SONORE

Lunedì 23 dicembre 2024 alle ore 21:00 il maestro Paolo Vivaldi dirigerà l’Orchestra Giovanile di Roma. Le più celebri colonne sonore che hanno fatto la storia del cinema Italiano e mondiale verranno eseguite e introdotte da una breve introduzione del Maestro Vivaldi che ne spiegherà la loro attinenza al film e le loro caratteristiche espressive Il concerto sarà eseguito con il supporto delle immagini dei film sullo schermo. Acquista on line https://www.vivaticket.com/it/ticket/le-grandi-colonne-sonore/237722

FLORA

CIRCO EL GRITO

Per un pubblico di famiglie e bambini, in prima Nazionale dal 27 al 31 dicembre 2024, realizzato in collaborazione con Festival Ops! di Fondazione Musica per Roma e SIC / Stabile di innovazione circense. Semina un pensiero e raccoglierai un’azione, semina un’azione e raccoglierai un’abitudine, semina un’abitudine e raccoglierai un carattere, semina un carattere e raccoglierai un destino. Charles Reade, un progetto di Duo Kaos / ARCA; performance di Giulia Arcangeli, Clio Gaudenzi, Luis Paredes; regia Giacomo Costantini; immaginario e coreografie Giulia Arcangeli, Luis Paredes Sapper; composizioni musicali di Clio Gaudenzi; scenografie ideate da Giulia Arcangeli e Luis Paredes e realizzate da Spazio Scenico Ancona; luci Giacomo Costantini; genere Performing Arts / circo contemporaneo; discipline: danza, bicicletta acrobatica, manipolazione di oggetti, mano a mano, live music tipo di pubblico: tout public, durata 50’ circa; produzione di ARCA co-prodotto da Blucinque/Nice centro di produzione per il circo contemporane e SIC/Stabile di innovazione circense. In un paesaggio scenico dai colori terrigni due figure camminano l’una verso l’altro, mentre lo spazio ruota e immerge lo spettatore in una dimensione onirica modellata dalle lente metamorfosi e dagli equilibri silenziosi del mondo naturale. L’alba lascia spazio al giorno, il tramonto alla notte in un presente che rivela tracce di passato: reale e immaginario si fondono facendo emergere vaghe reminiscenze di storie lontane, visioni meravigliose di un “pianeta che verrà”. Con un linguaggio poetico e immaginifico, gli artisti si muovono in scena contaminando le tecniche acrobatiche del nouveau cirque con quelle della ricerca coreografica propria della danza contemporanea. Acquista on line https://www.vivaticket.com/it/ticket/flora/237708

CAST CREATIVO

DUO KAOS

Acrobati e coreografi, il Duo Kaos è una compagnia di circo contemporaneo italo- guatemalteca fondata dall’acrobata e creativa Giulia Arcangeli e dall’artista multidisciplinare Luis Paredes Sapper nel 2009 e che ha base nella regione Marche (Italia). Dal 2015 è riconosciuta e apprezzata oltre i confini nazionali con lo spettacolo “Time to Loop”, che conta oltre cinquecento repliche all’attivo ed è stato ospite di festival e rassegne in tutto il mondo. In un percorso di costante ricerca artistica, in equilibrio tra tradizione e sperimentazione, spontaneità e ricercatezza, le creazioni della compagnia si compongono di paesaggi visionari.

Clio Gaudenzi, attrice, musicista e acrobata, inizia il suo percorso professionale a Trieste con l’Accademia della Follia con la quale lavora per diversi anni. Incontra poi Emma Dante con cui collabora in qualità di attrice-acrobata. Svolge ora la sua attività teatrale come libera professionista in Italia e all’estero. Da cinque anni è parte dell’ Associazione Culturale “MestieriMisti” e gestisce un piccolo teatro sotterraneo chiamato ” Il Grottino ” nel centro di Pesaro (Marche). www.cliogaudenzi.com

Giacomo Costantini è un performer, regista e drammaturgo multidisciplinare, considerato uno dei pionieri del circo contemporaneo in Italia. Dagli anni Novanta conduce una ricerca sulla sintesi tra circo e musica. È co-direttore artistico del Circo El Grito www.elgrito.net Per un pubblico di famiglie e bambini dai sei anni in su. In cartellone dal 2 al 6 gennaio 2025.

LUZ DE LUNA

CIRCO EL GRITO TEATRO CIRCENSE

Realizzato in collaborazione con Festival Ops! di Fondazione Musica per Roma e SIC / Stabile di Innovazione Circense di e con Fabiana Ruiz Diaz, per la regia Michelangelo Campanale e Gennaro Lauro; scenografie Michelangelo Campanale e Fabiana Ruiz Diaz; costumi Beatrice Giannini; luci Tea Primiterra; macchinisti Michele Petini – Maxime Morera. Un ringraziamento a Raffaella Giordano per la sua presenza nel tempo e l’accompagnamento del percorso artistico. Produzione SIC / Stabile di innovazione circense Realizzato grazie al contributo di Ministero Italiano della Cultura e Regione Marche; durata 60’ Tout public dai sei anni; video promo Luz de luna https://vimeo.com/902198122/b85cb4a4eb

Sinossi. Nel riparo intimo di una piccola stanza colorata che sembra un dipinto, la quotidianità vibra di particolari, fuori il temporale, poco a poco l’orizzonte geometrico del mondo degli oggetti sbiadisce, diventa sfondo, sopraggiunge il lato surreale, l’oscurità è il varco per magia e stupore. Strani esseri si affacciano, bestiario dell’irrazionale, archetipi: è la fantasia che si nutre dell’inconscio o viceversa? I colpi di scena che punteggiano questo dramma circense gentile sono improntati a un’ironia delicata, una narrazione immaginifica, avvolgente, sintesi di teatro e circo. Acquista on line https://www.vivaticket.com/it/ticket/luz-de-luna/237723

Fabiana Ruiz Diaz, acrobata aerea e co-fondatrice di Circo El Grito e del SIC / Stabile di innovazione circense, propone un appassionante viaggio onirico in cui musica e volo si fondono per donare allo spettatore uno sguardo nuovo verso ignoti stati di coscienza. In punta di piedi la protagonista cerca di incoraggiare una visione del “circo di creazione”, di cui questo lavoro ne è un limpido esempio. «Dalla esperienza di Liminal, il mio primo progetto personale realizzato con la collaborazione artistica di Raffaella Giordano, approdo oggi a questo nuovo lavoro insieme a Michelangelo Campanale, regista e sapiente domatore della macchineria scenica. Nella vita il percorso della crescita a volte è speculare a quello del palcoscenico».

Fabiana Ruiz Diaz. I virtuosismi della disciplina aerea eseguiti da una delle principali interpreti europee di questa tecnica e realizzati in un contesto notturno, celebrano un’atmosfera di mistero e meraviglia, innescando nel pubblico uno stato di sospensione e contemplazione. Un lavoro che è a tutti gli effetti il sequel di Luminal, prima opera personale dell’artista uruguayana e dove la narrazione autobiografica della protagonista sfocia nei paradossi dei sogni e delle estemporanee esperienze della veglia. La Ruiz Diaz è un’artista multidisciplinare, co-fondatrice di El Grito e del SIC/Stabile di Innovazione Circense. In provincia di Macerata gestisce lo spazio di residenza artistica “Agreste”, mentre al Teatro Feronia di San Severino Marche (MC) co-dirige una fortunata rassegna di circo contemporaneo. Il suo nuovo spettacolo Luz de Luna ha debuttato a gennaio 2024 nella Sala Petrassi dell’Auditorium Parco della Musica Ennio Morricone di Roma.

Fra il 2022 e il 2023, durante i tour europei del Circo El Grito che hanno registrato il tutto esaurito e riscosso consenso dalla stampa, sono andati in scena oltre 400 spettacoli tra proprie produzioni e compagnie ospiti da tutto il mondo. Dalla Biennale Internazionale del Circo di Bruxelles all’Auditorium Parco della Musica di Roma, dal Festival di Avignon al Teatro Regio di Parma e al Teatro Pubblico Pugliese, dal Fusion Festival in Germania al Piccolo e al Teatro alla Scala di Milano, El Grito ha diffuso i propri spettacoli in Europa declinando il circo contemporaneo nei suoi tre luoghi simbolo: la strada, il teatro, lo chapiteau.

CIRCO EL GRITO

Circo El Grito nasce a Bruxelles nel 2007 dall’incontro tra Fabiana Ruiz Diaz (Uruguay) e Giacomo Costantini, considerati dalla stampa i pionieri del circo contemporaneo in Italia. La compagnia raccoglie la più chiara tradizione circense rinnovandola nel contesto contemporaneo, per presentare spettacoli che si muovono al confine fra circo, musica, danza, magia, teatro e letteratura. Nel 2022 Circo El Grito annuncia la nascita del SIC/Stabile di Innovazione Circense, il primo centro internazionale di produzione multidisciplinare dedicato al circo contemporaneo e riconosciuto dal MiC. Il progetto è stato premiato dalla Commissione ministeriale con il punteggio più alto nella qualità artistica.

BAHAMUTH

Di Flavia Mastrella Antonio Rezza, con Antonio Rezza, Manolo Muoio e Neilson Bispo Dos Santos, liberamente associato al “Manuale di zoologia fantastica” di J.L. Borges e M. Guerrero, (mai) scritto da Antonio Rezza habitat di Flavia Mastrella; assistente alla creazione Massimo Camilli luci e tecnica Alice Mollica; macchinista Andrea Zanarini; organizzazione Tamara Viola, Stefania Saltarelli; una produzione RezzaMastrella – La Fabbrica dell’Attore Teatro Vascello; durata 1 h e 20’ senza intervallo.

Dal giocattolo a Bahamuth. In una scatola appena accennata, un uomo trascorre l’agonia che lo porterà a una nuova vita fatta di rigurgiti tribali e storie passate, inquinate da problematiche contemporanee. Il lavoro di ideazione dello spazio scenico è durato due anni.

Ho concepito la scatola e gli altri elementi scultorei per l’allestimento scenico di Bahamuth pensando a un grande giocattolo, sviluppando l’idea delle sculture in tasca * (una ricerca di microscultura che porto avanti dal 2004). L’allestimento scenico è composto da pochi elementi – L’abito rosa, in stoffa e metallo, spersonalizza la materia uomo, dando vita a un personaggio antropomorfo che si muove sul palcoscenico col carisma di un essere mitologico incline a problematiche conservatrici. Il volo è un elemento simile a un ventaglio ingigantito, azzurro e arancio di stoffa e legno: la scultura non riesce a decollare per motivi di spazio e diventa componente estetica, emblema della potenzialità ignorata…. I quadri di scena mutanti frammentano il corpo recitante che si moltiplica col movimento e racconta di un sé contaminato, reattivo fino allo sfinimento. Gli oggetti sono ridotti al minimo…Bahamuth vive di atmosfere e non considera gli orpelli che umanizzano la situazione giocattolo, e dirigono la percezione alla facile comprensione. La scatola, giocattolo di metallo, legno, stoffa verde e aria, determina un vincolo formale e provoca un’urbanizzazione dello spazio composto di piani d’aria, definiti da rette quasi mai parallele. Il giallo fluorescente delle aste, le dimensioni spropositate, i rapporti di equilibrio distorti, danno all’uomo d’oro, che vive l’ambiente, la possibilità di sfinirsi nell’immobilità e in seguito di estendersi e saltare affiancato dai due ragazzi blu, intesi come elementi dinamici. I due giovani mettono in moto le possibilità meccaniche della struttura, ruotano le ali leggere e svolazzanti che chiudono la scatola e si mostrano indaffarati intorno al fardello uomo, entrano in scena frantumando la solitudine del protagonista e la staticità della scultura. La scatola, elemento filiforme dall’equilibrio bizzarro, possiede solo l’illusione della chiusura, è vibrante nello spazio e soprattutto è dipendente alle sollecitazioni dell’umano. Antonio è partito dall’immobilità di un uomo steso.

La storia dello spettacolo è nel ritmo: i passi, le frasi, I frammenti narrati, sono tenuti assieme dal corpo – parola. Il susseguirsi delle vicende è una costruzione creata con le regole del montaggio cinematografico; Bahamuth si svolge in uno spazio esterno – interno che logora la percezione del tempo e lo reimposta. La sequenza drammaturgica è costruita mettendo in relazione i frammenti di storie con i movimenti e con i ritmi sonori della parola recitata in corsa. La triade parola – corpo – spazio si manifesta in forma biforcuta, a tratti sintetica e metaforica e in altri momenti estremamente rappresentativa. La successione degli eventi nell’ambiente giocattolo, devia la percezione del reale dall’immagine persuasiva. Le sculture in tasca sono materia appena accennata composta con il criterio del mare con ironia parlano un linguaggio codificato nel particolare e stravolto nelle dimensioni. Dal 7 al 12 gennaio 2025. Acquista on line https://www.vivaticket.com/it/ticket/bahamuth/237698

ANELANTE

Di Flavia Mastrella Antonio Rezza, con Antonio Rezza e Ivan Bellavista, Manolo Muoio, Chiara A. Perrini, Enzo Di Norscia; (mai) scritto da Antonio Rezza habitat di Flavia Mastrella; assistente alla creazione Massimo Camilli Luci Mattia Vigo/Luci e tecnica Daria Grispino; macchinista Andrea Zanarini organizzazione Tamara Viola Stefania Saltarelli; una produzione RezzaMastrella La Fabbrica dell’Attore Teatro Vascello. Antonio Rezza e Flavia Mastrella Leoni d’oro alla carriera alla Biennale di Venezia 2018; durata 90’.

In uno spazio privo di volume, il muro piatto chiude alla vista la carne rituale che esplode e si ribella. Non c’è dialogo per chi si parla sotto. Un matematico scrive a voce alta, un lettore parla mentre legge e non capisce ciò che legge ma solo ciò che dice. Con la saggezza senile l’adolescente, completamente in contrasto col buon senso, sguazza nel recinto circondato dalle cospirazioni. Spia, senza essere visto, personaggi che in piena vita si lasciano trasportare dagli eventi, perdizione e delirio lungo il muro. Il silenzio della morte contro l’oratoria patologica, un contrasto tra rumori, graffi e parole risonanti. Il suono stravolge il rimasuglio di un concetto e lo depaupera. Spazio alla logorrea, dissenteria della bocca in avaria, scarico intestinale dalla parte meno congeniale. Flavia Mastrella / Antonio Rezza. Dal 14 al 19 gennaio 2024. Acquista on line https://www.vivaticket.com/it/ticket/anelante/237697

Ci si piega troppo spesso con l’assurdo dietro, e si fanno i conti dei traumi passati. Così l’essere inferiore cerca conforto nell’impegno civile. E con la morte altrui ritorna l’amor proprio. Tra balli, feste orientali, lutti premeditati ci si libera della solidarietà, pratica aziendale che genera profitto. Anche la cultura con gli occhiali piega il culo. Chi legge un libro è costretto a stare zitto da chi scrive, chi legge compra il suo silenzio, chi compra un libro fomenta e capovolge l’omertà. Ma con la mamma biologica la partita è persa: pelle della sua pelle ma fine della tua. A.R. Addio terza dimensione. Esplode il luogo comune, i viventi non si accorgono di essere prigionieri di un monitor, vecchi e giovani, spossati dal desiderio di emergere, ritrovano nel reinventarsi la spietatezza dell’infanzia e la malvagità dell’adulto. L’ Anelante vive confinato tra le muraglie, chiuso nel recinto, senza sporgersi, pretende di conoscere il mondo, lo fa per non accorgersi della vuotezza che gli riempie la vita. Disposto a tutto, per sostenere la gerarchia di sempre usa i sistemi virtuali di cui si è impadronito. F.M.

IL RITO

Dal 21 al 26 gennaio 2025 l’opera di Ingmar Bergman per la traduzione di Gianluca Iumiento e l’adattamento e la regia Alfonso Postiglione; produzione Ente Teatro Cronaca, Teatro di Napoli – Teatro Nazionale, Fondazione Campania dei Festival – Campania Teatro Festival; con Elia Schilton (Giudice Ernst Abrahmsson) Alice Arcuri (Thea Winkelmann) Giampiero Judica (Sebastian Fischer) Antonio Zavatteri (Hans Winkelmann); scene Roberto Crea costumi Giuseppe Avallone musiche Paolo Coletta; disegno luci Luigi Della Monica partitura fisica Sara Lupoli aiuto regia Serena Marziale; coproduzione Ente Teatro Cronaca Teatro di Napoli – Teatro Nazionale Fondazione Campania dei Festival – Campania Teatro Festival; durata 100’.

Il rito è tratto dal film omonimo di Ingmar Bergman del 1969. Tre artisti di varietà (i coniugi Hans e Thea, e Sebastian, amante della donna) sono denunciati per l’oscenità presunta di un numero del loro ultimo spettacolo. Il giudice Abrahmsson li interroga per decretarne l’eventuale condanna. Non riuscendo a farsi un’idea dai colloqui con gli artisti, l’uomo assiste alla performance allestita nel suo ufficio, subendone conseguenze inaspettate. Al centro del lavoro, il tema della censura e l’impossibilità di contenere la potenzialità destabilizzante dell’atto artistico. Lo spettacolo. Il rito è tratto dall’omonimo film (in originale, Riten) scritto e diretto da Ingmar Bergman nel 1968, il primo da lui realizzato direttamente per la televisione, l’ultimo girato interamente in bianco e nero. Bergman cominciò a scrivere pensandolo come allestimento teatrale per il Dramaten di Stoccolma, incoraggiato dal favore di Erland Josephson, suo sodale e consigliere. Ma il regista-autore ci ripensò e lo dirottò verso una “partitura filmata per primi piani”. Il film è una sorta di cinema da camera, girato in interni con soli quattro personaggi, ed è incentrato sul rapporto, spesso conflittuale, tra autorità costituita e azione artistica.

Lo spettacolo Il rito, nello specifico, è tratto dal testo originale integrale, da cui Bergman sviluppò in seguito la sceneggiatura. Difatti, il testo risulta più esteso e approfondito, nella parte dialogica, rispetto alla versione filmata, costituendosi come una sorta di inedito. Tre attori di teatro di varietà (i coniugi Hans e Thea, e Sebastian, amante della donna) sono stati denunciati per l’oscenità presunta di un numero del loro ultimo spettacolo. Un giudice incaricato, il Dott. Abrahmsson, li interroga per decretarne l’eventuale condanna. Dai colloqui con gli artisti – in cui si scoprono soprattutto le ambigue articolazioni dei rapporti tra i tre attori, oltre la discutibile natura dello stesso giudice – l’uomo non riesce a farsi una idea chiara della faccenda e finisce per assistere alla performance allestita nel suo stesso ufficio, al termine della quale subirà conseguenze fatali.

La performance dei tre artisti si rivela una sorta di rito dionisiaco dalle chiare va- lenze simboliche, in cui la forza della creazione artistica vince sui tentativi di censura e normalizzazione di una qualsivoglia autorità, politica o sociale. E per ciò, il rito si configura come una sorta di parodia delle Baccanti di Euripide, nel senso etimologico di una loro ricantazione entro parametri estetici e sociali contemporanei. Il giudice può corrispondere facilmente alla figura di Penteo, in aperta ostilità nei confronti dei tre artisti, dietro i quali si celano identità e funzioni da sacerdoti dionisiaci. Ma forse, nel finale, si paventa la presenza stessa del Dio, sotto le spoglie dell’eterno femminino, fascinoso e perturbante, di Thea.

Oltre la censura – subita spesso da Bergman ai suoi tempi, ed oggi strisciante in maniera sempre meno latente tra le pieghe più varie del nostro vivere sociale – nel testo è forse ancora più centrale il tema della impossibilità di contenere la potenzialità destabilizzante dell’atto artistico, votato a stanare le verità dell’essere umano, a rischio anche della morte. Il testo si sviluppa in nove scene – la prima e l’ultima con i quattro attori, le altre da coppie degli stessi – ambientate esclusivamente in interni – una camera d’albergo, un ufficio, un bar, il camerino di un teatro – spazi volutamente claustrofobici. I rapporti tra i personaggi sono tesi e affilati e posseggono una forza interlocutoria che tiene desta l’attenzione fino all’inaspettato finale.

La scena dello spettacolo, si presenta come una grande scatola interamente bianca, indefinita e assoluta, al centro della quale campeggia una piattaforma sospesa, su cui è allestito, completamente in nero, l’ufficio del giudice Abrahmsson. L’uomo è rintanato lì sopra, rifugiato dal mondo, protetto dal suo abito istituzionale. Non osa, forse non può, o non sa, allontanarsi dal suo ambito. I tre artisti agiscono sul bianco ineffabile nelle loro intime relazioni, quando non interrogati dall’autorità del magistrato, che li accoglie, alternandoli, sulla piattaforma-ufficio. In realtà, nonostante la cooptazione ufficiale, il loro è una sorta di assedio volontario, di assalto all’istituzione, di contagio artaudiano con i germi della loro libertà artistica e del loro consapevole azzardo esistenziale.

Il rito, teatralmente, è soprattutto una partitura di parole e rapporti fisici tra i personaggi. La natura muscolare e nervale delle fisionomie al centro della vicenda ne fanno materia per un moderno kammerspiele. L’aggressività è evidente, nei confronti tra le parti, e risalta la scontrosità delle identità in gioco. Il giudice si mostra dapprima rispettoso, cerimonioso, quasi adulatorio nei con- fronti dei tre artisti chiamati a dar conto del loro spettacolo. I tre sono divi, famosi, privilegiati elementi umani da preservare sul loro piedestallo, e lui è un semplice servitore della comunità. Ma già dopo la prima scena, il gioco si fa progressivamente più prepotente da parte del censore. L’azione scardinante dei vari interrogatori comincia a mostrare i meccanismi che regolano i rapporti, moralisticamente discutibili, del terzetto di artisti.

Le dichiarazioni diventano vere e proprie confessioni, sempre più intime. Ci sembra quasi di sentire i miasmi e avvertire i rumori interiori di queste individualità tenute insieme da relazioni malate, sul filo dell’eccezione. L’atto confidente diventa liberatorio. Tanto che vien quasi il sospetto che ci provino gusto a farsi umiliare. E allora sotto un’inchiesta dai vaghi toni kafkiani, con l’accusa di oscenità ci finisce la vita stessa, nel nostro caso quella di tre individui, troppo liberi e creativi rispetto alla morale comune. E si dispiegano dunque la fragilità e ipersensibilità nevrotica della bellissima Thea, la vanità violenta dell’irresponsabile Sebastian, la razionalità noiosa di un più calcolatore Hans.

Ma a poco a poco i piani iniziano a ribaltarsi. Nell’istruttoria, sempre più ambigua e crudele, il giudice svela le sue frustrazioni e sgradevolezze, abbrutito da una disperata solitudine e ricattato dalle debordanti umanità dei tre artisti. E allora tutti fanno a gara a mettere in scena la propria più marcia e intima verità. Nell’ultima scena, dove c’è il rito per antonomasia, quello dionisiaco della Elevazione, c’è il lasciarsi andare definitivo, il consegnare il peso di una intera esistenza. Il rito di cui forse ci parla davvero Bergman è dunque quello dello svelarsi, raccontarsi, esibirsi continuamente e sfacciatamente e così facendo consegnare le proprie colpe a qualcuno, fosse anche la colpa ultima di vivere, rischiando anche di perderla, la vita.

Il giudice qui diventa spettatore privilegiato di un teatrino personale e segreto, che esibisce progressivamente le nature autentiche e dunque inesorabili delle persone (dei personaggi). Ma egli stesso ne approfitta, in uno scambio delle parti, per manifestarsi soprattutto a sé stesso, verso un atto catartico che afferma la necessità, fin dalle notti dionisiache, dell’atto ineludibile della (auto)rappresenta- zione. Allo stesso tempo, denunciare come osceno un rito (seppur di origine ellenica, per cui pagana) accusando l’arte e gli artisti di essere portatori (in)sani dell’atto mi- sterico, ci spinge a sospettare, ancora oggi, dopo anni dalle riflessioni bergmaniane, che l’unica sacralità possibile (intesa come summa di valori universali a cui è sempre più difficile appellarsi) sia contenuta, prima ancora che nell’atto, nello sforzo artistico. E ciò, in un mondo che si impegna a celebrare quotidianamente, pure compiacendosi, la lunga agonia dell’estinzione di Dio. E dell’uomo. Alfonso Postiglione. Guarda il trailer: https://youtu.be/VJGDHVqaBd0.

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IL GRANDE VUOTO

Dal 28 gennaio al 2 febbraio 2025 uno spettacolo di Fabiana Iacozzilli, regia Fabiana Iacozzilli, drammaturgia Linda Dalisi, Fabiana Iacozzilli; dramaturg Linda Dalisi; con Ermanno De Biagi, Francesca Farcomeni, Piero Lanzellotti, Giusi Merli e con Mona Abokhatwa per la prima volta in scena; progettazione scene Paola Villani; luci Raffaella Vitiello; musiche originali Tommy Grieco; suono Hubert Westkemper; costumi Anna Coluccia; video Lorenzo Letizia; aiuto regia Francesco Meloni; scenotecnica Mauro Rea, Paolo Iammarrone e Vincenzo Fiorillo; fonico Jacopo Ruben Dell’Abate, Akira Callea Scalise; direzione tecnica Francesca Zerilli; assistenti Virginia Cimmino, Francesco Savino, Veronica Bassani, Enrico Vita; collaborazione artistica Marta Meneghetti, Cesare Santiago Del Beato; foto di scena Laila Pozzo; ufficio stampa Linee Relations; produzione Cranpi, La Fabbrica dell’Attore-Teatro Vascello Centro di Produzione Teatrale, La Corte Ospitale, Romaeuropa Festival; con il contributo di MiC – Ministero della Cultura, Regione Emilia-Romagna,con il sostegno di Accademia Perduta / Romagna Teatri, Carrozzerie n.o.t, Fivizzano 27, Residenza della Bassa Sabina, Teatro Biblioteca Quarticciolo; durata 90’.

Terzo capitolo della Trilogia del Vento. Il Grande vuoto indaga l’ultimo pezzo di strada che una famiglia percorre prima di svanire nel vuoto e, questo dissolversi, è amplificato dal progressivo annientamento delle funzioni cerebrali della madre a causa di una malattia neurodegenerativa. Al progressivo svuotarsi del cervello della madre fa eco lo svuotarsi di esseri umani dalla casa, mentre questa si popola di oggetti, di ricordi che aumentano pesano e riempiono tutte le stanze. Il lavoro trova risonanze e spunti in “Una donna” di Annie Ernaux, e nel romanzo “Fratelli” di Carmelo Samonà ed è il tentativo di raccontare una grande storia d’amore: quella tra una madre, i suoi figli e un padre che muore.

Ne Il Grande vuoto la narrazione teatrale si contamina con il video per raccontare che grazie alle fotocamere Tapo e i loro video ad alta risoluzione con visione notturna fino a trenta piedi, un figlio può continuare a vivere la propria vita ed entrare senza essere visto in quella del proprio genitore. Guardare la madre giocare al solitario, fissare la televisione spenta, parlare con persone che non esistono, non farsi il bidet, piangere, stare seduta e ferma sul bordo del letto, passare la notte a tirare fuori dai cassetti fotografie pezzi di carta mutande sporche per poi rimetterli dentro. Tante le domande che ci hanno spinto a sprofondare in questa materia artistica, ad addentrarci in questa ricerca su cosa rimane di noi e se resta qualcosa di quello che siamo stati mentre ci approssimiamo alla fine, ma una su tutte è forse la più incandescente bella e giusta per il lavoro ed è quella letta in un fumetto della autrice Giulia Scotti: «Il punto è trasformare il dolore in bellezza. Ci riusciremo ancora?» Acquista on line https://www.vivaticket.com/it/ticket/il-grande-vuoto/237713

Trilogia del vento. La Trilogia del vento è un trittico in cui Fabiana Iacozzilli si interroga su tre tappe dell’esistenza umana: l’infanzia e il rapporto con i maestri che ci mostrano o ci impongono delle vie da percorrere (La classe); la maturità e il rapporto con la genitorialità e la cura (Una cosa enorme) e, infine, la vecchiaia in rapporto con il vuoto e il senso della memoria (Il grande vuoto). I punti di partenza sono stati da un lato – e per la prima volta – il dato biografico dell’autrice e dall’altro il lavoro di nutrimento della materia artistica, condotto attraverso le interviste a donne e uomini pronti a condividere una scheggia della propria vita.

BOCCONI AMARI – SEMIFREDDO

Scritto e diretto da Eleonora Danco; cast in via di definizione Cinque personaggi. Padre, madre, tre figli; produzione La Fabbrica dell’Attore – Teatro Vascello e Teatro Metastasio di Prato. Prima parte. Casa dei genitori. La famiglia si riunisce per il compleanno della madre. Siamo nella lira nel 1999. Il padre la madre e la figlia trentenne Paola vivono insieme.  Li raggiungono i due fratelli Luca 40 anni Pietro 38 anni. Una volta tutti insieme nella casa paterna si mangiano l’un l’altro come pesci in un acquario. Battute serrate dai ritmi travolgenti. I meccanismi dei conflitti familiari espressi in un linguaggio universale, in cui tanti si potranno riconoscere. Seconda parte.  Vent’anni dopo. Siamo nell’euro. La famiglia si ritrova nella stessa casa per festeggiare il compleanno del padre. Luca, sessant’anni, Pietro cinquantotto anni, invecchiati e travolti dalla crisi economica, patiscono l’egoismo del padre, un Re Lear del terzo piano che si schiera ora con un figlio, ora con l’altro. La scena diventa un’arena dove le ombre e i ricordi si agitano come lembi. I flash, come in un film, rendono i personaggi giovani e vecchi, a tratti tornano bambini e adolescenti. Cadono in uno stato di trans allucinatorio, non si accorgono di esprimere le immagini più profonde del loro subconscio. Una regia fisica. Una danza, un movimento continuo, visionario e commovente. Dal 7 al 16 febbraio 2025. Acquista on line https://www.vivaticket.com/it/ticket/bocconi-amari-semifreddo/237700

IL MINISTERO DELLA SOLITUDINE

Uno spettacolo di lacasadargilla: parole di Caterina Carpio, Tania Garribba, Emiliano Masala, Giulia Mazzarino, Francesco Villano; drammaturgia del testo Fabrizio Sinisi; regia Lisa Ferlazzo Natoli e Alessandro Ferroni; con Caterina Carpio, Tania Garribba, Emiliano Masala, Giulia Mazzarino, Francesco Villano; drammaturgia del movimento Marta Ciappina; cura dei contenuti Maddalena Parise; spazio scenico e paesaggi sonori Alessandro Ferroni; luci Luigi Biondi; costumi Anna Missaglia; aiuto regia Alice Palazzi / Caterina Dazzi; assistente al disegno luci Omar Scala; scene costruite nel laboratorio di scenotecnica di ERT, responsabile del Laboratorio e capo costruttore Gioacchino Gramolini; costruttori Davide Lago, Sergio Puzzo, Veronica Sbrancia; scenografie decoratrici Ludovica Sitti con Sarah Menichini, Benedetta Monetti, Rebecca Zavattoni; costumi realizzati da Officina Farani; consulenza alle scenografie Annalisa Poiese; foto di scena Claudia Pajewski; produzione Emilia Romagna Teatro ERT / Teatro Nazionale, Teatro di Roma-Teatro Nazionale, Teatro Metastasio di Prato, La Fabbrica dell’Attore – Teatro Vascello; in collaborazione con lacasadargilla con il sostegno di ATCL, si ringrazia per l’ospitalità in residenza Carrozzerie ǀ n.o.t., con la collaborazione di Teatro Asioli – Correggio. Il testo Il Ministero della Solitudine è pubblicato nella collana Linea di Emilia Romagna Teatro Fondazione ERT / Teatro Nazionale e Luca Sossella editore a cura di Sergio Lo Gatto e Debora Pietrobono. Il libro è stato curato da Maddalena Parise / lacasadiargilla e Fabrizio Sinisi. Interpreti e personaggi: Giulia Mazzarino, Alma; Francesco Villano, F.; Emiliano Masala, Primo; Tania Garribba, Simone; Caterina Carpio, Teresa; durata 95’.

Lisa Ferlazzo Natoli firma insieme al regista e disegnatore del suono Alessandro Ferroni, Il Ministero della Solitudine, nuovo spettacolo di lacasadargilla. Il lavoro, una scrittura interamente originale a cura di tutto l’ensemble, si avvale della collaborazione di Fabrizio Sinisi, che cura la drammaturgia del testo, e di Marta Ciappina che cura invece la drammaturgia del movimento.  Lo spunto dello spettacolo nasce da una notizia di cronaca politica internazionale. Nel gennaio 2018, la Gran Bretagna ha nominato ufficialmente un ministro della Solitudine, il primo al mondo, per far fronte ai disagi che questa può̀ provocare a livello emotivo, fisico e sociale. L’anno successivo viene inaugurato il relativo Ministero, «istituzione dalla natura politicamente ambigua e dalle finalità̀ incerte». A partire da questa vicenda, la compagnia lacasadargilla inaugura una riflessione su un luogo – reale e immaginifico – capace di operare con linguaggi e dispositivi narrativi intorno ai desideri, ai rimossi e alle immaginazioni di un’epoca che sempre più̀ richiede di ragionare con cura sulle comunità̀ dei viventi.

Una scrittura originale di, con e per cinque attori, strutturata per flash, incontri, incidenti e costituita da partiture fisiche all’orlo di una danza. Una storia che indaga la solitudine innanzitutto come incapacità̀, come difficoltà del desiderio – oggetto non controllabile per definizione – a trovare una corrispondenza, avendo in sé una speranza troppo alta, spericolata o eccessiva, per potersi mai realizzare. O ancora quella solitudine in cui si sprofonda perché́ ciò̀ che è successo è irrecuperabile, e non interessa a nessuno. Scrive lacasadargilla: «Mantenendone ferma la natura “leggera” e incidentale – come nell’improvviso rendersi conto che la propria vita è racchiusa in un acquario – abbiamo immaginato una struttura articolata attorno a cinque vicende, cinque storie di solitudine. Dell’Istituzione Ministero ne viene definita la natura politica sostanzialmente ambigua e tragicamente comica. È un luogo dove la liberazione del desiderio può attutire l’isolamento? Come si classifica una persona sola? C’è un sussidio di solitudine? In cosa consiste e chi ne ha diritto? Con cosa bisogna coincidere per essere definiti soli e dunque appartenere a una categoria riconosciuta? È lo scandalo della solitudine. È l’affollamento degli assenti nelle nostre vite, siano essi vivi, deceduti, spettri o tutta la moltitudine degli incontri mancati. Solitudine tutta contemporanea, di un’allegrezza insidiosa e irragionevolmente lieve. Solitudine come atlante di ricordi, catalogo di gesti, per percorrere il mondo e trattenere qualcosa di un noi; solitudine incarnata in alcuni oggetti, quasi dei kit di sopravvivenza: uno scatolone con tutta la vita dentro, un barattolo di miele fatto in casa, una pianta di plastica verde acceso, un set da pic-nic pronto all’uso, come se fossero ‘sacche di storie’, utensili eccessivi e numinosi per un’esistenza fuori dal normale».

Alma (Giulia Mazzarino) esce poco, le fa paura la materia che esplode, scompare e si trasforma. Raccoglie ogni traccia del proprio presente: il rumore di un’ape quando muore o come suona il mondo fuori dalla sua stanza. Dorme per sognare, a lungo e a colori. F. (Francesco Villano), è l’unico di cui non sapremo mai il nome completo, sempre alle prese con difficoltà economiche, chiede a più riprese un sussidio al Ministero per la costruzione di un alveare; è ossessionato dal pensiero dell’estinzione. Primo (Emiliano Masala) è di poche parole. Ha come unico partner una Real Doll, Marta, con cui parla e accanto a cui silenziosamente sogna. Per professione è un “cleaner-moderatore”, pulisce i social network da contenuti giudicati non ammissibili. Simone (Tania Garribba) è un’impiegata del Ministero. È una sorta di emanazione stessa del Luogo: incarna i cataloghi, le procedure, i protocolli di tutti gli specifici casi di solitudine che le passano tra le mani. È una figura che intercetta, organizza e riscrive le tracce e le “vite degli altri”. Teresa (Caterina Carpio) è fatta di atti mancati, oscilla tra aspirazioni borghesi e bovarismo. Scrive un lunghissimo romanzo che presto presenterà̀ al mondo – o almeno così lei crede. Ha un linguaggio ridondante, acceso, letterario, che sembra girare a vuoto. Dal 18 al 23 febbraio 2025. Guarda il trailer: https://youtu.be/oCHKwwkU6fk; acquista on line https://www.vivaticket.com/it/ticket/il-ministero-della-solitudine/237714

RECOLLECTION OF A FALLING

Trenta anni di Spellbound Contemporary Ballet, programma in due parti: Jacopo Godani Forma mentis; Mauro Astolfi Daughters and angels. Interpreti: Maria Cossu, Giuliana Mele, Lorenzo Beneventano, Alessandro Piergentili, Anita Bonavida, Roberto Pontieri, Martina Staltari, Miriam Raffone, Filippo Arlenghi; una produzione Spellbound in collaborazione con Comune di Pesaro & AMAT per Pesaro capitale italiana della Cultura 2024, Festival Torino Danza; durata 30’ e 38’ con intervallo di 15’.

Viviamo in un pianeta pieno di ricordi. Abbiamo impiegato circa trent’anni per imparare come assemblare i nostri e non diventarne schiavi. Il ricordo della prima caduta, quell’attimo prima e soprattutto quell’attimo dopo che ci ha fatto capire che è stato un bene spingerci verso esperienze più profonde. Questo è il nostro punto di partenza, nato dall’idea e dal tentativo di parlare dell’interconnessione di tutto quello che abbiamo attraversato.

Trent’anni per capire che non saremo mai delle isole indipendenti ma parte di un tutto. Probabilmente avremo ricordi più ricchi di cui nutrirci, forse sempre più disordinati, ma pur sempre qualcosa che mettiamo dentro e poi tiriamo fuori da noi stessi. Recollection of a falling è il nostro sistema di dati accessibili e infinitamente espandibili. Come esseri umani abbiamo fornito prove sufficienti delle nostre capacità di distruggere tutto: il ricordo di una caduta, piccola o pericolosamente grande può essere il modo per riconnetterci al mondo naturale, saltarci dentro e ricostruirlo ogni giorno.

Parte prima, Forma mentis. coreografia, art direction, luci, costumi di Jacopo Godani; musica originale di Ulrich Müller; musica dal vivo di Sergey Sadovoy; assistente alle coreografie Vincenzo De Rosa. Forma Mentis, un’esperienza coreografica che celebra giovani danzatori straordinari che partecipano alla creazione di un manifesto artistico per le nuove generazioni. In questa nuova creazione, Jacopo Godani utilizza l’arte della “danza intelligente” come strumento di realizzazione e come mezzo di comunicazione diretta con le nuove generazioni. Consapevole delle molteplici sfaccettature che siano state attribuite all’arte negli ultimi decenni, Jacopo Godani ricerca un equilibrio tra la presentazione di un formato d’arte contemporanea definito da un terreno etico e la creazione di un dispositivo che possa fungere da sostegno per giovani artisti per trasformare la loro creatività in idee concrete e progettualità. Forma Mentis è una piattaforma vibrante per esplorare il potenziale della danza come linguaggio universale per mezzo della propria intelligenza. Ogni passo, ogni movimento, è un’opportunità per esprimere idee e visioni, creando un dialogo dinamico con sé stessi, il pubblico e le generazioni future. In questo spazio creativo, Godani riconosce il valore del talento e della determinazione professionale. Ogni danzatore, ogni artista, è un faro di ispirazione per coloro che anelano a realizzare i propri sogni. Forma Mentis non è solo una performance, ma un impegno a creare un impatto duraturo usando la danza come strumento di incoraggiamento a una pluralità di idee e prospettive. Ogni movimento sul palcoscenico è un passo avanti verso la scoperta e la celebrazione del potenziale umano. Forma Mentis è un invito a esplorare, a sognare e a creare, è un’opportunità per le nuove generazioni di concretizzare i pensieri, alimentare le visioni e le aspirazioni.

Parte seconda – Daughters and angels: coreografia e regia di Mauro Astolfi, set e disegno luci di Marco Policastro; musica originale Davidson Jaconello; costumi di Anna Coluccia; assistente alle coreografie Elena Furlan. Daughters and Angels è un lavoro ispirato dalla lettura di Knowledge and Powers di Isabel Pérez Molina pubblicato da Duoda, un centro di ricerca interdisciplinare dell’Università di Barcellona riconosciuto a livello internazionale nel campo degli Women’s Studies. Il testo incrocia un interesse di Mauro Astolfi, coltivato fin da adolescente, rispetto all’immaginario legato alle “streghe”, oltre la spettacolarità della cinematografia e alla patina della magia e più rivolto ai costrutti culturali, gli stereotipi di genere, di linguaggio, gli abusi di potere radicati ancora oggi. Secondo Isabel Pérez Molina le donne in ambito medico furono le prime nella storia occidentale a conoscere e a praticare soluzioni terapeutiche di diverso tipo. Durante il Medioevo furono guaritrici, anatomiste e farmacologhe, intenditrici di piante medicinali e conoscitrici dei segreti della medicina empirica tramandata da generazione in generazione. Riconosciute dalla comunità come “donne sapienti”, ma “chafarderas” (pettegole), prima che “streghe” dalle istituzioni, destabilizzavano un certo sistema organizzato e soprasseduto dagli uomini, sfidando i limiti imposti dai modelli dominanti di genere al punto da divenire un problema per l’élite maschile feudale e patriarcale.  Durante il Rinascimento la tensione misogina si consolida, insieme alle dinamiche di esclusione per le donne in ogni campo. È in quel momento che la lotta per il controllo maschile della conoscenza e della scienza si inasprisce e comincia la caccia alle streghe. In Daughters and Angels Mauro Astolfi rielabora storia, sensazioni e percezioni personali, per mettere in evidenza l’automatismo folle che porta a trasformare in violenza, negazione e annichilimento tutto ciò che non si conosce. In scena, una grande seta nera rappresenta il confine immaginario di un luogo dove riunirsi di notte, per nascondersi e decidere come sopravvivere all’ignoranza legittimata. Il nero come blocco, negazione, opposizione, protesta al potere, al controllo, al mistero. Ma anche luogo di sicurezza, riservatezza e misteriosa inaccessibilità. «In Daughters and Angels, non parlo di magia, ma della possibilità di intraprendere un percorso di conoscenza da parte del genere maschile del proprio femminile, smantellando gli stereotipi di genere e mettendo in discussione alcune rocche forti della mascolinità. Cerco di recuperare un’informazione antica, il semplice potere della conoscenza, senza appartenenza né primati. La donna che immagino è stata una figlia che ricorda ed amplifica ciò che ha imparato dalla sorgente, l’uomo, sembra aver dimenticato quasi tutto». (Mauro Astolfi). Dal 25 febbraio al 2 marzo. Acquista on line https://www.vivaticket.com/it/ticket/recollection-of-a-falling/237725

EDIPO RE

Dal 4 al 9 marzo 2025 l’opera di Sofocle tradotta da Fabrizio Sinisi; adattamento e regia Andrea De Rosa; con Francesca Cutolo, Francesca Della Monica, Marco Foschi, Roberto Latini, Frédérique Loliée, Fabio Pasquini; scene Daniele Spanò; luci Pasquale Mari; suono G.U.P. Alcaro; costumi Graziella Pepe; realizzati presso Laboratorio di sartoria del Piccolo Teatro di Milano – Teatro d’Europa; produzione TPE – Teatro Piemonte Europa, Teatro di Napoli – Teatro Nazionale, LAC Lugano Arte e Cultura, Teatro Nazionale di Genova, Emilia Romagna Teatro ERT / Teatro Nazionale; durata 75 minuti. La verità che Edipo sta cercando è chiara. Ma la luce di quella verità, per lui che è il campione della chiarezza, è troppo forte e infine lo acceca. Considerato uno dei testi teatrali più belli di tutti i tempi, Edipo re di Sofocle rappresenta il simbolo universale dell’eterno dissidio tra libertà e necessità, tra colpa e fato. Arrivato al potere grazie alla sua capacità di “far luce attraverso le parole”, abilità che gli aveva permesso di sconfiggere la Sfinge che tormentava la città di Tebe, Edipo è costretto, attraverso una convulsa indagine retrospettiva, a scoprire che il suo passato è una lunga sequenza di orrori e delitti, fino a riconoscere la drammatica verità delle ultime, desolate parole del Coro: “Non dite mai di un uomo che è felice, finché non sia arrivato il suo ultimo giorno”. In una città che non vediamo mai, un lamento arriva da lontano. È Tebe martoriata dalla peste. Un gruppo di persone non dorme da giorni. Come salvarsi? A chi rivolgersi per guarire la città che muore? Al centro della scena, al centro della città, al centro del teatro c’è lui, Edipo. Lui, che ha saputo illuminare l’enigma della Sfinge con la luce delle sue parole, si trova ora di fronte alla più difficile delle domande: chi ha ucciso Laio, il vecchio re di Tebe? La risposta che Edipo sta cercando è chiara fin dall’inizio, e tuona in due sole parole: “sei tu”. Ma Edipo non può ricevere una verità così grande, non la può vedere. Preferisce guardare da un’altra parte. Sarà la voce di Apollo, il dio nascosto, il dio obliquo, a guidarlo attraverso un’inchiesta in cui l’inquirente si rivelerà essere il colpevole. Presto si capirà che il medico che avrebbe dovuto guarire la città è la malattia. Perché è lui, Edipo, l’assassino e quindi la causa del contagio. La luce della verità è il dono del dio. Ma anche la sua maledizione. La nuova regia di Andrea De Rosa, che torna per l’occasione a lavorare con Fabrizio Sinisi dopo la fortunata collaborazione sul testo di Processo Galileo, parte dalla storia di Edipo re che ruota attorno alla verità, proclamata, cercata e misconosciuta. “Il sapere è terribile, se non giova a chi sa.” Nello spettacolo di De Rosa, Edipo è interpretato da Marco Foschi, affiancato da Roberto Latini nel ruolo di Tiresia, da Frédérique Loliée nella parte di Giocasta, Fabio Pasquini di Creonte e da un coro dalle molteplici voci di Francesca Cutolo e Francesca Della Monica. La messa in scena di Edipo re si avvale dell’intervento artistico di Graziella Pepe ai costumi, Pasquale Mari alle luci e di G.U.P. Alcaro ai suoni, questi ultimi, tra le molte collaborazioni, hanno affiancato De Rosa in Solaris. Le scene sono state affidate a Daniele Spanò. guarda il trailer: https://www.youtube.com/watch?v=b0C4IkpRU6A&t=13s

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MOBY DICK ALLA PROVA

Di Orson Welles, adattato prevalentemente in versi sciolti dal romanzo di Herman Melville; traduzione Cristina Viti; uno spettacolo di Elio De Capitani; costumi Ferdinando Bruni; musiche dal vivo Mario Arcari, direzione del coro Francesca Breschi; maschere Marco Bonadei, luci Michele Ceglia, suono Gianfranco Turco; con Elio De Capitani e Cristina Crippa, Angelo Di Genio, Marco Bonadei, Enzo Curcurù, Alessandro Lussiana, Massimo Somaglino, Michele Costabile, Giulia Viana/Giulia Di Sacco (in via di definizione), Vincenzo Zampa, Mario Arcari; coproduzione Teatro dell’Elfo e Teatro Stabile di Torino – Teatro Nazionale; durata 2 ore e 20 minuti più l’intervallo.

Lo spettacolo è dedicato alla memoria di Gigi Dall’Aglio. Moby Dick alla prova, scritto (oltre che, a suo tempo, diretto e interpretato) da Orson Welles, è lo spettacolo a cui Elio De Capitani ha lavorato nel corso dell’inverno del 2020/21 e che è giunto al debutto l’11 gennaio ’22 all’Elfo Puccini di Milano, ottenendo un notevolissimo successo. «Il testo di Welles, inedito in Italia, è un esperimento molteplice» sottolinea il regista «Blank verse shakespeariano, una sintesi estrema del romanzo, personaggi bellissimi, restituiti in modo magistrale e parti cantate. Noi abbiamo realizzato questo spettacolo totale, con in più la gioia di una sfida finale impossibile: l’apparizione del capodoglio. E con un semplice trucco teatrale siamo riusciti a crearla in scena». La produzione di questo spettacolo di dimensioni corali vede associati il Teatro dell’Elfo e il Teatro Stabile di Torino – Teatro Nazionale. In scena accanto a De Capitani (che interpreta Achab, padre Mapple, Lear e l’impresario teatrale) troviamo Cristina Crippa, Angelo Di Genio, Marco Bonadei, Enzo Curcurù, Alessandro Lussiana, Massimo Somaglino, Michele Costabile, Giulia Viana, Vincenzo Zampa. Il cast salda le eccellenze artistiche di tre generazioni di interpreti. La musica dal vivo di Mario Arcari e i canti diretti da Francesca Breschi (vibranti rielaborazioni degli sea shanties) riempiono intensamente la scena generando emozioni profonde, in uno spazio dominato da un fondale enorme, eppure leggero, cangiante e mutevole, capace di evocare l’immensità del mare e la presenza incombente del capodoglio. Orson Welles portò al debutto il suo testo il 16 giugno 1955, al Duke of York’s Theatre di Londra. Lo mise in scena in un palco praticamente vuoto, scegliendo di non dare al pubblico né mare, né balene, né navi. Solo una compagnia di attori e sé stesso in quattro ruoli, Achab compreso. E vinse la sfida di portare in teatro l’oceanico romanzo di Melville gettando un ponte tra la tragedia di Re Lear e Moby-Dick: l’ostinazione del re – che la vita, atroce maestra, infine redimerà – si rispecchia in quella irredimibile, fino all’ultimo istante, dell’oscuro e tormentato capitano del Pequod. Splendidamente tradotto per l’Elfo dalla poetessa Cristina Viti, il copione di Welles restituisce con forza d’immagini la prosa del romanzo. Dalle note di regia: Achab, come Kurtz in Cuore di tenebra, per devastare la natura, soggioga i suoi simili e ne fa strumento del suo odio, con estrema facilità: compito agevole, dopotutto… La mia unica ruota dentata sa mettere in moto i loro diversi meccanismi… ed eccoli tutti in moto… Vitalismo rapace, prepotentemente – ma non esclusivamente – occidentale, che rappresenta quella parte d’umanità che ci porta al disastro, al gorgo mortale che inghiotte la Pequod. Siamo alla sesta estinzione di massa, siamo al riscaldamento globale, siamo sull’orlo del baratro e continuiamo a correre. Generando odiatori meno mitici ma altrettanto ferali di Achab. Diciamolo: Moby-Dick parla di noi, oggi. Ne parla come solo l’arte sa fare. Cogliendo il respiro dei secoli – tra passato e futuro – nel respiro di ogni istante della nostra vita. Elio De Capitani.  Dall’11 al 16 marzo 2025. Acquista on line https://www.vivaticket.com/it/ticket/moby-dick-alla-prova/237724

guarda il trailer: https://vimeo.com/manage/videos/580278056/5892caa461

BEHIND THE LIGHT

Coreografia, drammaturgia e interpretazione Cristiana Morganti, regia Cristiana Morganti e Gloria Paris; disegno luci Laurent P. Berger; creazione video Connie Prantera; datore luci Matteo Mattioli; audio/video Alessandro Di Fraia; una produzione Teatri di Pistoia Centro di Produzione Teatrale in coproduzione con Fondazione I Teatri – Reggio Emilia, Théâtre de la Ville – Paris, MA scène nationale-Pays de Montbéliard e con il sostegno di Centro Servizi Culturali Santa Chiara di Trento; distribuzione per l’Italia Roberta Righi. Durata 70’. Gemo in un pianto e fremo. Fosco mi sembra il giorno. Ho cento affanni intorno. Ho mille furie in sen. Pietro Metastasio, L’Olimpiade, musica di Antonio Vivaldi. Dopo il successo di “Moving with Pina” e “Jessica and Me”, tutt’ora in tour, e dopo aver firmato altri quattro spettacoli come autrice e coreografa (A Fury Tale del 2016, Non sapevano dove lasciarmi del 2017 , Another Round for Five del 2019 e Young Birds del 2023) e dopo il Trio In Another Place creato nel 2021 in collaborazione con il danzatore Kenji Takagi e la violoncellista Emily Wittbrodt , ecco un nuovo assolo dell’artista italiana di base a Wuppertal, che fin dalle prime battute conferma e rilancia, alla luce di una nuova maturità interiore, la grande ironia alternata a momenti di intensa poesia che sono la sua cifra distintiva. Spettacolo fortemente autobiografico, che racconta di una crisi familiare, professionale e intima, una sequela di eventi con il tipico effetto domino nel quale una disgrazia pare chiamarne un’altra, in cui sembra venga meno ogni singolo punto di riferimento, ogni certezza. La vicenda personale risuona con intensità in chi guarda, dalla platea, in un momento storico che, una crisi economica e di valori, si può definire fra i più destabilizzanti della contemporaneità. Questa “personale crisi globale” viene mostrata, presa in giro, aggirata, attraversata, evasa, superata grazie al potere rigenerativo della confessione e soprattutto dell’arte, ora urlata, ora sussurrata tra le lacrime, con il capo adagiato sul pavimento. Scorre un montaggio di quadri, che vede la protagonista recitare, danzare, cantare su una scena bianca e sospesa in cui irrompono, per dialogare con l’interprete, gli originali e raffinati video di Connie Prantera. È una danza che fa venire voglia di danzare quella di Cristiana Morganti, complice l’esplosione di energia che fa seguito alla catarsi di questa confessione aperta, sincera, sofferente ma di un dolore mai autocompiaciuto, anzi immediatamente lenito dalla risata, anche di sé, con il pubblico. Accompagnati da un collage musicale che spazia da Vivaldi al punk-rock di Peaches, da Giselle, di Adolphe Adam alla musica elettronica di Ryoji Ikeda, si alternano momenti di danza e di parola, come l’irresistibile sfogo sui divieti stilistici che imbrigliano chi è cresciuto sotto la direzione di uno dei più grandi nomi della danza di sempre, Pina Bausch, o il tentativo ripetuto, e inevitabilmente sempre fallito, di spiegare lo spettacolo a chi guarda, così che poi «ci si possa rilassare». Numerose altre piccole, deliziose storie conducono a un finale che è un delicato ritorno all’interiorità. Lo spettacolo non va spiegato, sembra dire Cristiana Morganti, meglio godersi il viaggio, esattamente come nella vita. dal 21 al 23 marzo 2025. Acquista on line https://www.vivaticket.com/it/ticket/behind-the-light/237699

MASTER CLASS TEATRO DANZA

Sono aperte le iscrizioni per la Master Class di Teatro Danza con Cristiana Morganti per danzatori e attori professionisti per un massimo di venti partecipanti che si terrà martedì 18 e mercoledì 19 marzo 2025 dalle ore 15:00 alle ore 19:30 presso il Teatro Vascello. La Master Class si svolgerà in due giorni con lo stesso gruppo: quindi due classi di quqttro ore l’una, dalle ore 15:00 alle ore 19:30 (quattro ore di lezione più una pausa di trenta minuti). Costo d’iscrizione 150 euro a persona. Per poter partecipare è necessario inviare la richiesta con il curriculum a produzione@teatrovascello.it si richiede ai partecipanti di garantire la loro presenza in entrambi i giorni per tutte le ore.

ERODIADE

Erodiade, di Giovanni Testori: con Francesca Benedetti; regia di Marco Carniti; Musiche Originali David Barittoni; Video Artist Francesco Scandale; aiuto regia Francesco Lonano. Erodiade per Giovanni Testori si fa corpo, metà Dio, metà donna che scopre il lato ambiguo e fluido della sua virilità. Francesca Benedetti, musa dell’autore milanese, affronta la scrittura testoriana facendosi carne e sangue e immergendosi in un flusso verbale senza precedenti per restituire al pubblico, il mito ribaltato di un personaggio controverso e trasgressivo come Erodiade, che oggi si fa. 25-26 marzo 2025                                                                                            Acquista on line https://www.vivaticket.com/it/ticket/erodiade/237705

LA PULCE NELL’ORECCHIO

Di George Feydeau; traduzione, adattamento e drammaturgia Carmelo Rifici e Tindaro Granata; regia Carmelo Rifici; con Giusto Cucchiarini, Alfonso De Vreese, Giulia Heathfield Di Renzi, Ugo Fiore, Tindaro Granata, Christian La Rosa, Marta Malvestiti, Marco Mavaracchio, Francesca Osso, Alberto Pirazzini, Emilia Tiburzi, Carlotta Viscovo e un attore in via di definizione; scene Guido Buganza; costumi Margherita Baldoni; luci Alessandro Verazzi; musiche Zeno Gabaglio; assistente alla regia Giacomo Toccaceli; coaching movimenti acrobatici Antonio Bertusi; coaching clownerie Andreas Manz; realizzazione maschera Alessandra Faienza; supporto realizzazione scene e attrezzeria Matteo Bagutti; costumista assistente Ilaria Ariemme; direttore di scena e capo macchinista Ruben Leporoni; macchinista e movimentazione pedana girevole Fabrizio Cosco; capo elettricista Alessandro Di Fraia; fonico Nicola Sannino; sarta di scena Margherita Platé; aiuto sarta Ottavia Castellotti; trucco e parrucco Enrico Maria Ragaglia; costumi realizzati presso il Laboratorio di Sartoria del Piccolo Teatro di Milano – Teatro d’Europa ; produzione Lugano Arte e Cultura (LAC), Piccolo Teatro di Milano – Teatro d’Europa; durata 2 h 35′ più intervallo; in scena dal 28 marzo al 6 aprile 2024. Carmelo Rifici affronta la regia di una commedia facendo cadere la sua scelta su un esilarante vaudeville di Georges Feydeau, La pulce nell’orecchio, di cui cura adattamento e traduzione insieme a Tindaro Granata. Un lavoro che, pur mantenendo l’impianto originale del testo, rispettandone la vocazione, sottolinea lo spirito giocoso e selvatico della scrittura di Feydeau, ne cerca i piani nascosti, libera i singoli personaggi dal contesto borghese e valorizza i ruoli femminili. Al centro della vicenda, interpretata da un brillante cast di dodici attori, vi è una moglie, Raimonda, la quale, allarmata dal comportamento piuttosto freddo e distratto da parte del marito, l’assicuratore Vittorio Emanuele, sospetta che egli abbia un’amante. Il dubbio (la “pulce nell’orecchio”) le è nato dopo il ritrovamento di un paio di bretelle, simili a quelle indossate abitualmente dal consorte, presso l’Hotel Feydeau, un albergo assai equivoco nei pressi di Parigi. Per mettere alla prova la presunta infedeltà del marito, gli spedisce tramite un’amica, Luciana, un’appassionata e anonima lettera d’amore, cosparsa di profumo, in cui dà appuntamento all’uomo in quello stesso albergo, dove Raimonda si recherà per vedere se il coniuge cadrà nella trappola. Vittorio Emanuele, credendo però che il destinatario effettivo della lettera sia il suo migliore amico, Tornello, la consegna a quest’ultimo. Da qui si creerà una serie di fraintendimenti che indurrà tutti i personaggi ad incontrarsi all’Hotel Feydeau, dove, tra situazioni bizzarre, pareti girevoli, vecchietti che fungono da alibi, inaspettati sosia, sudamericani gelosi e travestimenti vari, cercheranno disperatamente di salvare le apparenze e di uscirne indenni. Negli anni, il lavoro di indagine registica di Rifici si è focalizzato sul tema del linguaggio e sulle sue ambiguità. Con La pulce nell’orecchio siamo di fronte ad una farsa sul linguaggio, o meglio ad una farsa di linguaggi. I rapporti umani tracciati da Feydeau sono costruiti sulla sagacia delle parole ma, a differenza delle grandi commedie di Shakespeare, il commediografo francese impone allo spettacolo una macchina comica perfetta: un orologio di rara precisione che porta i suoi personaggi e il loro modo di parlare oltre il ‘gioco’ linguistico fine a sé stesso, di puro intrattenimento ed evasione, con lo scopo di estrapolarne il massimo potenziale teatrale e la massima ridicolaggine umana.

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I FANTASMI DELLA NOSTRA STORIA

Un progetto di Fabrizio Gifuni. Il male dei ricci. Ragazzi di vita e altre visioni Pier Paolo Pasolini: da un’idea di Fabrizio Gifuni, tratto da Ragazzi di vita, Poesia in forma di rosa, Scritti corsari, Lettere luterane, Seconda forma de La meglio gioventù di Pier Paolo Pasolini; durata 1 h e 20’, atto unico. A quasi vent’anni dal debutto di ‘Na specie de cadavere lunghissimo (2004) spettacolo culto, andato in scena per dieci anni consecutivi, ideato e interpretato dall’attore, con la regia di Giuseppe Bertolucci, Fabrizio Gifuni ritorna alle pagine di Pasolini con una nuova drammaturgia originale. La rilettura di Ragazzi di vita romanzo d’esordio dello scrittore interpolata e storicizzata con altri scritti pasoliniani (poesie, lettere, editoriali, interviste) dà vita a un racconto molto personale che l’attore autore trasferisce in teatro, dialogando ogni sera con i rappresentanti della città, i cosiddetti spettatori, in un gioco di inedite prospettive e vertiginosi sdoppiamenti. L’attore si fa carico di portare dentro le giornate di questi giovani ragazzi, restituisce la loro generosità e i loro egoismi, il comico, il tragico, il grottesco, la violenza di questo sciame umano che dai palazzoni delle periferie si muove verso il centro, in un percorso che è anche un rito di passaggio dall’infanzia alla prima giovinezza. Ma il corpo/voce di Gifuni ci costringe al contempo a misurarci con un fantasma poetico, una voce inquieta che continua a reclamare un ascolto. Ancora oggi in direzione ostinata e contraria. Dal 9 al 13 aprile 2025. Aquista on line https://www.vivaticket.com/it/ticket/i-fantasmi-della-nostra-storia-il-male-dei-ricci/237710

CON IL VOSTRO IRRIDENTE SILENZIO

Studio sulle lettere dalla prigionia e sul memoriale di Aldo Moro ideazione e drammaturgia di Fabrizio Gifuni. Si ringraziano Nicola Lagioia e il Salone internazionale del Libro di Torino, Christian Raimo per la collaborazione Francesco Maria Biscione e Miguel Gotor per la consulenza storica; durata 1 ora e 40 minuti circa, atto unico. Aldo Moro durante la prigionia parla, ricorda, scrive, risponde, interroga, confessa, accusa, si congeda. Moltiplica le parole su carta: scrive lettere, si rivolge ai familiari, agli amici, ai colleghi di partito, ai rappresentanti delle istituzioni; annota brevi disposizioni testamentarie. E insieme compone un lungo testo politico, storico, personale – il cosiddetto memoriale – partendo dalle domande poste dai suoi carcerieri. Le lettere e il memoriale sono le ultime parole di Moro, l’insieme delle carte scritte nei cinquantacinque giorni della sua prigionia: quelle ritrovate o, meglio, quelle fino a noi pervenute. Un fiume di parole inarrestabile che si cercò subito di arginare, silenziare, mistificare, irridere. Moro non è Moro, veniva detto. La stampa, in modo pressoché unanime, martellò l’opinione pubblica sconfessando le sue parole, mentre Moro urlava dal carcere il proprio sdegno per quest’ulteriore crudele tortura. A distanza di quarant’anni il destino di queste carte non è molto cambiato. Poche persone le hanno davvero lette, molti hanno scelto di dimenticarle. I corpi a cui non riusciamo a dare degna sepoltura tornano però periodicamente a far sentire la propria voce. Le lettere e il memoriale sono oggi due presenze fantasmatiche, il corpo di Moro è lo spettro che ancora occupa il palcoscenico della nostra storia di ombre. Dopo aver lavorato sui testi pubblici e privati di Carlo Emilio Gadda e Pier Paolo Pasolini, in due spettacoli struggenti e feroci, riannodando una lacerante antibiografia della nazione, Fabrizio Gifuni attraverso un doloroso e ostinato lavoro di drammaturgia si confronta con lo scritto più scabro e nudo della storia d’Italia. Acquista on line https://www.vivaticket.com/it/ticket/i-fantasmi-della-nostra-storia-con-il-vostro-irridente-silenzio/237709

SALVEREMO IL MONDO PRIMA DELL’ALBA

Uno spettacolo di Carrozzeria Orfeo per la drammaturgia di Gabriele Di Luca, con Sebastiano Bronzato, Alice Giroldini, Sergio Romano, Roberto Serpi, Massimiliano Setti, Ivan Zerbinati; Regia Gabriele Di Luca, Massimiliano Setti, Alessandro Tedeschi; assistente alla regia Matteo Berardinelli; consulenza filosofica di Andrea Colamedici (TLON); musiche originali di Massimiliano Setti, scenografia e luci di Lucio Diana; costumi di Stefania Cempini; direzione tecnica di Alice Mollica e Andrea Gagliotta; tecnico elettricista Ermanno Marini; creazioni video Igor Biddau con la partecipazione video di Elsa Bossi, Sofia Ferrari e Nicoletta Ramorino; una coproduzione Marche Teatro, Teatro dell’Elfo, Teatro Nazionale di Genova, Fondazione Teatro di Napoli – Teatro Bellini, in collaborazione con Centro di Residenza dell’Emilia-Romagna L’arboreto Teatro Dimora, La Corte Ospitale; durata dello spettacolo 120’ con intervallo. Trailer: https://www.youtube.com/watch?v=fZkXkc3xyjQ Dopo aver esplorato in diversi spettacoli il mondo degli ultimi, dei reietti, degli esclusi e dei perdenti, in questa nuova produzione Carrozzeria Orfeo indaga il mondo del benessere e dell’apparente successo, attraverso il racconto dei primi, dei vincenti, della classe dirigente, dei ricchi, paradossalmente, però, imprigionati nello stesso vortice di responsabilità asfissianti, doveri castranti, sensi di colpa e infelicità che appartengono a tutti e, quindi, frantumati da tutto ciò che la mentalità capitalista non può comprare: l’amore per se stessi, la purezza dei sentimenti, gli affetti sinceri, la ricerca di un senso autentico nell’esistenza.

Note di drammaturgia di Gabriele Di Luca. «Il bene non potrà mai vincere perché è sfinente. L’onestà, la sincerità, il vero amore, sono tutte cose sfinenti da praticare perché non durano, sono solo degli istanti. Mentre il male è un maledetto maratoneta, uno spietato realista senza sonno che ha la resistenza dalla sua». Salveremo il mondo prima dell’alba è il racconto della vita di alcuni ospiti in una clinica di riabilitazione di lusso situata su un satellite nello spazio, nuova meta turistica dei super ricchi, specializzata nella cura delle dipendenze contemporanee (sessuali, affettive, da lavoro, da psicofarmaci). Sono tutti vittime ognuno della propria dipendenza e del proprio egoismo, vie di fuga da una realtà opprimente. Ma le dipendenze e la riabilitazione costituiscono solo il sintomo esteriore di problemi più profondi ed esistenziali… di una sensazione di smarrimento comune ad un’intera generazione. L’intero spettacolo, infatti, vuole farsi metafora di un modello di vita ormai giunto a un punto di non ritorno, dove parole come comunità, umanità e gentilezza sono quasi del tutto scomparse e bandite se non per essere strumentalizzate a fini propagandistici, elettorali e commerciali. Ciò che ne rimane è un’umanità confusa e impaurita, sopraffatta dall’ossessione di questo continuo doversi vendere, con il terrore che nessuno ti voglia mai comprare. Il tutto viene esplorato in pieno stile Carrozzeria Orfeo, grazie a un occhio sempre lucido e, forse, disilluso, che intende cogliere, con ironia ed estremo divertimento, i paradossi, le contraddizioni e le deformazioni grottesche della realtà attraverso personaggi strabordanti di umanità, ironia e dolore. Lo spettacolo, in fondo, vuole raccontare una società sempre più triste, eppure, satura di foto felici in cui non sembra più esistere un luogo dove riconoscersi come soggetti autentici, né tantomeno in progetti sociali che richiedano la nostra dedizione e la nostra lealtà. Perché l’unico comandamento sembra essere quello di produrre; l’errore è bandito, la sofferenza individuale è percepita come una vergogna, una zavorra da nascondere agli altri, come segnale chiaro di debolezza e fallimento; mentre, in modo sempre più meschino e ingannevole, va affermandosi la nuova eroica parola portavoce del capitalismo, resilienza, che, nel cinico pragmatismo di questo sistema malato, in fondo significa solo: “Resisti nonostante tutto, ignora te stesso e il tuo dolore, nascondilo, non ascoltarti più e vai avanti. Produci, produci, produci!” E se non esiste limite alla produzione, anche individualmente, dai desideri soddisfatti nascono di conseguenza sempre nuovi desideri. Sempre più prepotenti, ossessivi e, spesso, indotti dal mondo esterno. Come se volessimo bere il mare di bicchiere in bicchiere. L’infinito. L’impossibile. Un impossibile ricerca senza tempo. Ed è da qui che viene il nostro dolore. Hegel ci parla di Cattivo infinito come di “questo continuo voler sorpassare il limite, che è l’impotenza di toglierlo e la perenne ricaduta in esso.” E il grande problema sembra essere che ormai non ci si scandalizza nemmeno più delle disfunzioni e delle atrocità del sistema, perché è un modello di vita diventato così maledettamente normale da essere riuscito a colonizzare il nostro inconscio senza lasciarci nessuna percezione di un’alternativa.  Il tema centrale di Salveremo il mondo prima dell’alba, quindi, si fonda sulla riflessione che, a nostro avviso, nei prossimi decenni, l’umanità non potrà essere assolutamente in grado di ritrovarsi unita nel combattere le grandi battaglie da tempo rimaste inascoltate, come il cambiamento climatico, l’inquinamento, la fame nel mondo e l’ingiustizia, semplicemente perché non è preparata a farlo. In un contesto alienante, dove le nuove generazioni sembrano ereditare solo valori come successo, visibilità e vittoria, diviene impossibile pensare a una grande battaglia collettiva per salvare questo pianeta e chi lo abita. Quando i politici stessi si espongono su tik tok per pubblicizzarsi e la vita politica, al pari di tutto il resto, diventa mera comunicazione, non può esistere una classe dirigente in grado di sensibilizzare la cittadinanza sui grandi temi. Forse, allora, per poter combattere delle grandi battaglie comuni, dovremo prima essere in grado di ritrovare quel senso di reciprocità e solidarietà che sembriamo aver smarrito. Potremo concentrarci sulle grandi battaglie collettive solo se riusciremo prima a riabituarci a guardare con occhi attenti ciò che ci è vicino. Potremo, forse, farcela solo se riusciremo ad arginare tutta quell’invisibile, eppur feroce, violenza quotidiana tra esseri umani. Perché lo sappiamo tutti, ci troviamo di fronte a una pandemia, sì… di indifferenza ed egoismo. Ma se riusciremo in questo, se riusciremo a riavvicinarci attraverso un gesto e un pensiero sincero, un insignificante atto di cura gratuita, se riusciremo a ritagliare, in mezzo al caos, uno spazio per il pensiero semplice, familiare e umano, forse, come proveranno a fare i ricchi e delusi ospiti del nostro rehab… beh, forse (ma chi può dirlo), potremo salvare il mondo prima dell’alba. «Non siamo in grado di riconoscere le cose importanti, siamo troppo stanchi ed esausti dal resto. Vediamo la vita solo sfiorando la catastrofe. Quando Gabriele Di Luca mi ha proposto di fare da consulente filosofico per il suo nuovo spettacolo ne sono stato entusiasta: amo il lavoro di Carrozzeria Orfeo, un mix sapiente di potenza visionaria, ironia devastante e ritratti chirurgici dei nostri abissi grotteschi. Così, ci siamo visti alcune volte per chiacchierare, abbiamo organizzato incontri con una nota astronauta italiana per capire meglio com’è la vita nello spazio, non c’è poesia nel guardare ogni giorno la Terra da lontano. È un lavoro come un altro. Se vuoi la poesia devi portartela da casa», e abbiamo condiviso letture, visioni e spunti sull’aggressività umana, sulle diseguaglianze, sul transumanesimo. Quando, poi, Gabriele mi ha mandato il testo dello spettacolo ho pensato subito al videogame degli anni Novanta Mortal Kombat, un picchiaduro violentissimo e gustoso in cui, dopo la vittoria, appariva sullo schermo la scritta con il sangue Finish him!, e il giocatore aveva a disposizione una manciata di secondi per realizzare la Fatality con cui spettacolarizzare la morte dell’avversario. Salveremo il mondo prima dell’alba è la Fatality di Carrozzeria Orfeo: finisce lo spettatore togliendogli tutte le illusioni perbeniste, le certezze su buoni e cattivi e le aspettative sull’umano mal riposte, e lo obbliga a godersi notte oscura del nostro tempo, senza speranze a fare da lucine d’emergenza e a rovinare il buio. In questo modo, però, fa accadere l’impossibile: la manifestazione di un senso della vita. Un senso forse tragico, senz’altro ironico, ma comunque un senso capace di tenerci in piedi malgrado tutto. E di far vedere, con Nietzsche, «la vita come mezzo della conoscenza: con questo principio nel cuore si può non soltanto valorosamente, ma perfino gioiosamente vivere e gioiosamente ridere». Prima, però, «vi farà molto incazzare» Andrea Colamedici – TLON. Dal 15 al 19 aprile 2025. https://www.vivaticket.com/it/ticket/salveremo-il-mondo-prima-dell-alba/237726

DONNE

Sei donne che hanno segnato la storia e sei autori che le raccontano, sei giorni per sei grandi ritratti femminili: testi originali di Viola Ardone, Maurizio De Giovanni, Norma Jeane, Dacia Maraini, Eugenio Murrali, Sandra Petrignani; con Mariangela D’Abbraccio e Manuela Kustermann; un progetto di Mariangela D’Abbraccio per la regia di Francesco Tavassi e la produzione del La Fabbrica dell’Attore / Teatro Vascello. Il progetto si articola su sei giornate, con ogni replica dedicata a una grande figura femminile. Ogni ritratto sarà opera di un autore diverso, pensato per una sola voce, in forma monologo/reading. Un viaggio attraverso il grande talento femminile che ha inciso, segnato e modificato la nostra storia, passando spesso attraverso dure battaglie sociali, discriminazioni e sofferenze. Hanno aderito al progetto, alcune delle firme più prestigiose e talentuose del nostro panorama autoriale. Camille, la scultrice geniale e incompresa, che fu tra le prime ad esprimersi attraverso una forma d’arte, fino allora maschile. Consumata dalla passione per il suo maestro e amante Auguste Rodin e rinchiusa dalla stessa madre in manicomio, dove muore dimenticata da tutti. Billie, la signora triste del jazz, cresciuta fra violenza e degrado ma capace, a soli ventiquattro anni, di sfidare con la voce le discriminazioni razziali cantando Strange Fruit. Marie, scienziata fra le più brillanti del Novecento, insignita di due Premi Nobel, per i suoi studi sulle radiazioni e per aver scoperto il radio e il polonio. Muore tradita dalle radiazioni oggetto della sua ricerca. Rosa, rivoluzionaria di professione, studiosa marxista e antimilitarista, creò il Gruppo Internazionale, che sarebbe diventato in seguito la Lega Spartachista, che entrò a far parte del Partito socialdemocratico indipendente di Germania, prima di divenire infine il nucleo di quello che diverrà poi il Partito comunista di Germania. Fu uccisa da un colpo di pistola alla testa e gettata in un canale. Marilyn, la più grande diva del cinema e icona di femminilità, prigioniera della sua immagine e della crudeltà dello star system, fu vittima del potere maschile intellettuale e politico dei suoi anni fino alla sua precoce e misteriosa morte. Maria, è stata una pedagogista, educatrice e medica italiana, internazionalmente nota per il metodo educativo che prende il suo nome, adottato in migliaia di scuole dell’infanzia, elementari, medie e superiori in tutto il mondo. Fu tra le prime donne a laurearsi in medicina in Italia, attiva nella lotta per l’emancipazione femminile e costretta ad abbandonare l’Italia per le sue idee. Sei donne di eccezionale talento e di struggente umanità, vittime di discriminazione e protagoniste di grandi battaglie, che hanno segnato in modo determinante la Storia e le storie di noi tutti. A raccontarle, attraverso differenti registri narrativi, sei autori per sei narrazioni in forma di reading pensate per due voci, quelle di Mariangela D’Abbraccio e Manuela Kustermann, protagoniste del nostro teatro, interpreti fra le più attente e sensibili della scena italiana. Sei diverse performance che compongono un percorso drammaturgico e restituiscono tutta la fragilissima potenza di donne straordinarie. Acquista on line https://www.vivaticket.com/it/search?q=6%20donne&o=date; dal 13 al 18 maggio 2025 dal martedì al venerdì alle ore 21:00, sabato alle ore 19:00 e domenica alle ore 17:00.

FELICISSIMA JURNATA

Finalista Forever Young – La Corte Ospitale 2022, vincitore del premio Giuria Popolare Dante Cappelletti 2021; drammaturgia e regia Emanuele D’Errico; con Antonella Morea e Dario Rea e con le voci delle donne e degli uomini del Rione Sanità; scene Rosita Vallefuoco, musiche originali Tommy Grieco, suono Hubert Westkemper, luci Desideria Angeloni, costumi Rosario Martone, aiuto regia Clara Bocchino, realizzazione scene Mauro Rea, macchinista Michele Lubrano Lavadera, fonico Stefano Cammarota, foto di scena Laila Pozzo, ufficio stampa Linee Relations (Valeria Bonacci, Giorgia Simonetta), produzione Cranpi, Teatro di Napoli (Teatro Nazionale, Putéca Celidònia, in collaborazione con La Corte Ospitale) Forever Young 2022, con il sostegno di Teatro Biblioteca Quarticciolo e di C.RE.A.RE Campania Centro di residenze della Regione Campania; durata 60’; trailer: https://vimeo.com/928531604. Felicissima jurnata cerca di cogliere l’essenza o, forse, l’assenza di vita reale che unisce sul filo della solitudine il basso napoletano e quel che ne resta di Giorni Felici di Beckett. Dal 2018 Putéca Celidònia vive attivamente il Rione Sanità di Napoli portando il teatro in mezzo ai vicoli bui ed abbandonati. «Ci è successo, dopo aver gradualmente preso confidenza, di entrare in alcuni bassi (la tipica abitazione al piano terra con ingresso su strada) e di trovare una situazione surreale. Così abbiamo deciso di iniziare un viaggio. Nello zaino abbiamo messo la macchina da presa, il quaderno degli appunti e le domande che il testo di Giorni Felici ci ha mosso, immergendoci nelle storie delle persone che ci hanno sorpreso, rapito e portato su di una strada imprevista. E tra un’intervista e l’altra abbiamo domandato loro chi fosse Beckett e nessuno lo aveva mai sentito nominare. Eppure ci sembravano così vicini, così familiari. Il testo è venuto da sé, lo hanno scritto loro: le storie di Assunta, Pasqualotto, Angela e di tutti gli altri sono così pregne da poterci scrivere romanzi per ognuno di loro. Questo testo è anche la storia di una donna di centonove anni che ancora si trucca, che mette lo smalto e sente la gente intorno che suona e che canta. Di queste storie si compone Felicissima jurnata, che pone l’accento sulla paralisi emotiva e fisica che queste persone si impongono per mancanza di mezzi. Molti di loro non sono mai usciti dalla loro città – nel migliore dei casi – e nel peggiore non sono mai usciti dal proprio quartiere e chissà da quanto tempo dalla propria casa. Non è prigionia questa? È una prigionia consapevole o inconsapevole?» Acquista on line https://www.vivaticket.com/it/ticket/felicissima-jurnata/237707; dal 20 al 25 maggio 2025, dal martedì al venerdì alle ore 21:00, sabato alle ore 19:00 e domenica alle ore 17:00.

LA GATTA SUL TETTO CHE SCOTTA

La gatta sul tetto che scotta, di Tennessee Williams, traduzione Monica Capuani, regia Leonardo Lidi; con Valentina Picello, Fausto Cabra e cast in via di definizione; scene e luci Nicolas Bovey, costumi Aurora Damanti, assistente regia Alba Maria Porto, Teatro Stabile di Torino – Teatro Nazionale. Dopo Lo zoo di vetro Leonardo Lidi torna a Tennessee Williams allestendone il primo grande successo teatrale: La gatta sul testo che scotta, andato in scena in prima assoluta a Chicago nel 1944. Una ricca famiglia del Sud degli Stati Uniti entra in crisi di fronte alla morte annunciata del padre-padrone, mettendo in mostra l’avidità e la debolezza di carattere dei due figli, ed in particolare il dramma di Brick e di sua moglie, la gatta del titolo. Brick e Maggie vivono insieme ma da tempo non hanno rapporti sessuali, per volere di lui, che ritiene la moglie responsabile del suicidio del suo amico Skipper. Ritratto formidabile di un uomo che lotta rabbiosamente “contro la luce che muore” (sono versi di Dylan Thomas), questa è una delle prime e più violente prese di posizione a proposito del tema dell’omosessualità, significativamente scomparso nella notissima versione cinematografica di Elia Kazan, interpretata da Paul Newman e Liz Taylor. Il teatro di Leonardo Lidi, regista residente del Teatro Stabile di Torino, si muove da tempo attraverso le pagine dei più grandi autori per la scena (García Lorca, Čechov, Molière), focalizzando il proprio lavoro sui delicati rapporti familiari e sulla tenerezza dei sentimenti negati, un punto di vista registico che gli è valso numerosi riconoscimenti da parte della critica. Acquista on line https://www.vivaticket.com/it/ticket/la-gatta-sul-tetto-che-scotta/237718

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