Seppure da Teheran affermino ufficialmente che il relitto dell’elicottero sul quale viaggiavano il presidente e il ministro degli esteri della Repubblica Islamica sia stato rinvenuto dalle squadre di soccorritori attivate a seguito della perdita di contatto e del successivo schianto dell’aeromobile, verificatosi nella regione iraniana dell’Azerbaigian orientale, a distanza di alcune ore, se si eccettuano due sopravvissuti (ma la Mezzaluna rossa ha smentito la notizia dopo la sua diffusione), l’incertezza sulla sorte delle persone che si trovavano a bordo è ancora quasi totale. Secondo l’agenzia Irna, sull’elicottero precipitato assieme a Raisi e Amirabdollahian viaggiavano Mohammad Ali Al Hashem (imam di Tabriz), Malik Rahmati (governatore dell’Azerbaigian orientale), il pilota e il copilota dell’aeromobile, il caposquadra della scorta presidenziale e una guardia.
A TEHERAN UNA SITUAZIONE NON INCORAGGIANTE
Come di consueto in questi casi, i lanci di agenzia si susseguono, tuttavia non vi sono certezze sulle condizioni dei passeggeri e il quadro non è affatto incoraggiante, quindi con ogni probabilità ci si dovrà preparare al peggio. Ma, in questa situazione su di una certezza si può fare riferimento, quella relativa al riaccendersi dello scontro intestino al sistema di potere della teocrazia, conseguenza del vuoto che aprirebbe il decesso dei due elementi del vertice politico della Repubblica Islamica. In queste ore gli analisti tendono a ricordare come quest’ultima sia un’entità legittimata e diretta da due diverse fonti, una di natura politica (meno potente) e l’altra religiosa, quella riconducibile alla Guida suprema, ruolo che venne ricoperto dall’ayatollah Ruollah Khomeini fin dalla costituzione dello stato nato dalla caduta dello shah (nel 1979) e, alla morte del religioso di Qom, dall’attuale faqih, l’ayatollah Seyyed Ali Hoseyni Khamenei.
E ADESSO COSA SUCCEDERÀ?
Gli analisti medesimi si sono affrettati a precisare che, malgrado gli sviluppi conseguenti a questo (presunto) incidente assumerebbero contorni drammatici, data la criticità della situazione sia regionale che globale, caratterizzata da conflitti in pericolosa fase di escalation, la morte del presidente e del ministro degli esteri non dovrebbe incidere significativamente sull’andamento del corso degli eventi. In poche parole: l’indirizzo in politica estera di Teheran non dovrebbe mutare e, per quanto ormai vecchio e malato, sempre nelle mani dell’ayatollah Khamenei e alla sua ristretta cerchia, permarrà il potere decisionale, incluso quello di fare o non fare le guerre. Si potrebbe però eccepire che la fazione riconducibile al presidente Raisi, per quanto perfettamente allineata alle decisioni della Guida suprema della Repubblica Islamica, se ne discostasse in interessi e cordate, ma questo finora non ha compromesso l’unità del blocco di potere, complessivamente inteso.
SI APRE UN VUOTO DI POTERE
Non vi è dubbio, però, che l’improvvisa scomparsa di due figure come quella del presidente della Repubblica e del ministro degli Esteri (in particolare del primo), aprirà un pericoloso vuoto di potere a Teheran, fatto che si ritiene possa indurre non poche figure di spicco ad attivarsi sul piano della manovra e dello scontro politico al fine di trarne vantaggio e conquistare posizioni apicali, anche in vista della futura scomparsa di Khamenei. Al momento, in attesa di ulteriori sviluppi, la cronaca giornalistica in materia è in grado quasi esclusivamente di richiamarsi al formale dettato costituzionale della Repubblica Islamica, che in questi casi rinviene la norma da applicare nell’articolo 131 (IX, Potere esecutivo), che in caso di morte del presidente statuisce la sua sostituzione da parte del Primo vicepresidente, a seguito del consenso concesso dalla Guida suprema. Egli avrà il compito di organizzare le elezioni del nuovo presidente entro il termine massimo di cinquanta giorni.
I «LEALISTI» E LA GUIDA SUPREMA
Attualmente si tratta di Mohammad Mokhber, definito come lealista dello stesso Khamenei. Tutto bene dunque? Chissà. A questo punto, come prefigurato, potrebbe accendersi una lotta che vedrebbe protagoniste le personalità maggiormente ambiziose presenti sulla scena iraniana, pronte ad approfittare della favorevole situazione per scalare posizioni di potere nella struttura di regime, con Khamenei costretto a una azione di contenimento delle spinte maggiormente disgregatrici onde garantire una transizione meno traumatica possibile. Fino all’incidente di oggi era Raisi la personalità di maggiore rilievo indicata quale probabile successore all’attuale Guida suprema. Un uomo forte che ambiva alla massima carica, avendone per altro i requisiti: la grande esperienza (maturata anche attraverso i massacri di oppositori da lui sentenziati), era (è?) un religioso, è stato a capo della giustizia, oltreché responsabile di una potente e ricca fondazione; infine la sua presidenza.
LA TRANSIZIONE È NELLE MANI DI KHAMENEI
A seguito di questi probabili «decessi eccellenti» l’Iran affronterà sconvolgimenti inattesi sul piano politico inattesi che lo costringeranno a concentrare le attenzioni internamente, distogliendo così l’attenzione dalla guerra su più fronti che sta combattendo da anni contro Israele e che ha raggiunto un’intensità da soglia di rischio? Adesso molto, forse tutto, è nelle mani di Khamenei e della sua capacità (o meno) di condurre a termine la difficile fase di transizione che si è aperta con lo schianto dell’elicottero nell’Azerbaigian orientale. Egli si dovrà inoltre misurare con la concreta forza residua applicabile ai fini del perseguimento degli obiettivi strategici che l’Iran teocratico si è posto: l’usura ai minimi termini di Israele e l’allontanamento degli americani dalla regione mediorientale.