Coppia D’Assi al Teatro Arcobaleno: L’uomo dal fiore in bocca di Luigi Pirandello e Il canto del cigno di Anton Čechov, interpretato e diretto da Giovanni de Nava, con Piero Sarpa.
COPPIA D’ASSI
Coppia D’Assi perché si tratta di due noti atti unici che sono autentici piccoli capolavori, due “assi” della drammaturgia mondiale d’ogni tempo di Luigi Pirandello e Anton Čechov. Due modi di interrogarsi di fronte alla morte e al senso della vita, nella scrittura scenica di due giganti della drammaturgia. Ma Coppia d’assi anche perché rappresentano due pezzi forti del repertorio di Giovanni de Nava, uno degli ultimi straordinari mattatori del teatro italiano, il quale, a distanza di circa un trentennio dall’ultima volta, ha deciso di riportali in scena, un po’ per una sorta di nostalgica reviviscenza e un po’ per (afferma lui) «verificare come questi suoi “figli” scenici siano nel frattempo cresciuti e maturati».
IL FILE ROUGE CHE ACCOMUNA I PROTAGONISTI: LA PROSSIMITÀ DELLA FINE
Il file rouge che unisce i due atti unici è costituito dalla consapevolezza dei due protagonisti di essere oramai prossimi a una fine. Ne “L’uomo dal fiore in bocca” assistiamo all’incontro fortuito di due sconosciuti nel grigio bar di una stazione, al dialogo che si instaura tra i due, al dramma che corrode uno di essi (l’uomo dal “fiore” in bocca, appunto). La vita può apparire banale in ogni suo risvolto quando la sua fine ci appare lontana, ma quando essa ci abita e ne abbiamo la coscienza, quale valore assume la vita anche nel suo manifestarsi più consueto e diuturno. Ed è allora, soltanto allora, che si attacca a essa. Lo fa disperatamente, come un «rampicante attorno alle sbarre di una cancellata».
IL CANTO DEL CIGNO
Nel Canto del cigno la fine è di altro segno, quella di un vecchio attore che, dopo aver celebrato in una serata d’onore l’abbandono delle scene, ubriaco si addormenta in camerino e si sveglia, a notte fonda, nel teatro vuoto, che «vede per la prima volta». Mentre considera che la vita è passata senza che se ne sia accorto e si accinge a tornare a casa, si imbatte nel vecchio suggeritore che, a insaputa di tutti, dorme proprio in teatro. Tra i due nasce un dialogo nel quale l’attore rievoca la propria vita e le passate glorie sceniche interpretando, in un ultimo «canto del cigno» appunto, alcuni brani di opere che lo hanno visto trionfare.
IL DRAMMA E IL GROTTESCO
Va però marcata una differenza tra i due atti unici: se L’uomo dal fiore in bocca, infatti, appartiene al genere drammatico, Il canto del cigno è invece espressione massima del genere grottesco, ovvero della mistura tra tragico e comico di cui Čechov fu maestro indiscusso: «Io scrivo vaudevilles tragici», affermava. E, per un attore che pur possedendo un temperamento tragico di fondo, è parimenti gestore di penchants, se non proprio comici, di sicuro brillanti, niente è più stimolante dello scontro (amoroso, s’intende) con un personaggio grottesco. Soprattutto se si tratta di un attore.
INFO E PRENOTAZIONI
Teatro Arcobaleno: Via Francesco Redi 1/A Roma
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